Ecco una analisi di Marco Cosentino, professore di Farmacologia all’università dell’Insubria, che spiega con calma la questione della proteina spike del coronavirus e i possibili legami con la vaccinazione. Gli ambiti di ricerca del prof. Cosentino riguardano la neuro- e immunofarmacologia con particolare riguardo alla modulazione neuroendocrina della risposta immunitaria. Si occupa anche di farmacologia clinica e farmacogenetica, farmacoepidemiologia e farmacovigilanza, farmacologia delle erbe medicinali.
Il testo è apparso su medicinapiccoledosi.
Trombi e SPIKE
La differenza con i vaccini tradizionali
La questione dell’attività biologica della proteina Spike ha tuttavia rilievo potenziale anche rispetto agli effetti dei prodotti attualmente utilizzati nelle campagne vaccinali in UE e in USA, oltre che in buona parte del resto del mondo, che sono essenzialmente dei farmaci che inducono nell’organismo la produzione di una quantità indeterminata di questa proteina.
A differenza dei convenzionali vaccini, che prevedono la somministrazione diretta di una quantità infinitesima del microrganismo o di un suo frammento, e che come tale viene dunque riconosciuto solo dalle cellule specializzate dell’immunità, innescando quindi la reazione che porta alla formazione della memoria immunologica senza – almeno in linea di principio – influenzare altri aspetti della biologia e del funzionamento di organi e tessuti, gli attuali prodotti basati sulla tecnologia RNA (Moderna, Pfizer) oppure dei vettori adenovirali (AstraZeneca, Gamaleya) hanno effetto in quanto inducono la produzione di proteina virale S da parte delle cellule del nostro organismo. Una produzione che indubbiamente stimola l’immunità, come mostrano tutti gli studi che documentano la comparsa di anticorpi anti proteina S. Ma una produzione che, almeno sempre in linea di principio, porta anche all’immissione in circolo di una quantità indeterminata (probabilmente imprevedibilmente variabile da individuo) della medesima proteina S, i cui effetti una volta liberata nei tessuti possono essere al momento ancora solo oggetto di speculazione.
Questioni ipotetiche: con un po’ di volontà si potrebbero risolvere
Ora, se davvero la proteina S interagendo direttamente con l’endotelio dei vasi innescasse fenomeni coagulativi fino eventualmente alla formazione del trombo, questa sarebbe una plausibile ipotesi anche per cercare di spiegare le trombosi che stanno seguendo – fortunatamente in una piccola frazione di casi – la vaccinazione. L’imprevedibilità della produzione e secrezione della proteina S potrebbe anche spiegare la suscettibilità di persone senza un rischio tromboembolico noto, come pure il tempo intercorso tra somministrazione del prodotto e evento (talora ore, talora giorni).
La questione è ipotetica, ma sarebbe anche in certa misura facilmente studiabile, ad esempio prima di tutto in vitro, in cellule endoteliali isolate (o anche in piastrine) studiando cosa accade nel momento in cui queste vengano esposte alla proteina S. Altrettanto. si potrebbe inoculare la proteina S in animali da laboratorio e studiarne la funzione endoteliale e piastrinica. E così via. Studi alquanto semplici, il cui limite principale è rappresentato dai costi, alquanto alti ad esempio per un istituto di ricerca pubblico, ma indubbiamente del tutto irrisori per chi – producendo vaccini e altri farmaci – redige bilanci a nove zeri e oltre. E che in termini di tempo prenderebbero pochi mesi. Vista l’importanza del tema, varrebbe forse la pena che qualcuno che può li considerasse. Poi, ovviamente, se la proteina S influenzasse davvero estesamente la funzione endoteliale, ad esempio anche in senso pro-antiangiogenico, si aprirebbero ulteriori scenari riguardanti i potenziali effetti a lungo termine. Ma, allo stato attuale delle conoscenze, qui scivoleremmo in una campo di ipotesi a sua volta basato su ipotesi, e sarebbe troppo.
C’è già abbastanza lavoro da fare con gli eventuali effetti a breve termine.
Scrivi un commento