La produzione di bambini utilizzando il materiale genetico di più genitori , la gametogenesi in vitro, non è una prospettiva da celebrare. È una tecnologia distopica, produrre bambini, come se fossero beni di consumo, e disfacendo la famiglia, come se non fosse essenziale per il bene comune.

Un articolo di Crhistopher O. Tollefsen, pubblicato su Public Discourse, nella traduzione di Riccardo Zenobi.

 

Bambino utero artificiale

 

Il New York Times ha recentemente pubblicato un editoriale intitolato “The Poly-Parent Households are Coming” (Le famiglie poligenitoriali stanno arrivando). È degno di nota per il suo approccio celebrativo a due prospettive future: che i bambini umani potrebbero essere creati da gameti fabbricati (sperma e uovo) attraverso un processo chiamato gametogenesi in vitro (IVG), il quale potrebbe includere il materiale genetico di più di due “genitori”; e la destabilizzazione della “struttura familiare tradizionale”, perché da quando non avremo più bisogno di quella struttura per la creazione di bambini, “è probabile che anche il nostro bisogno di quella famiglia tradizionale svanisca”.

L’autrice dell’articolo, Debora L. Spar, ha certamente ragione nel collegare le due possibilità. Un disaccoppiamento così radicale della produzione infantile dalla riproduzione sessuale porterà molto probabilmente al declino della genitorialità di due genitori, marito e moglie, madre e padre come forma paradigmatica di vita familiare in misura ancora maggiore di quanto non sia già accaduto. Ma vale la pena sondare l’etica di una simile impresa. Ritengo che lo scenario futuro prospettato da Spar implichi la realizzazione di ciò che non dovrebbe mai essere realizzato e il disfacimento di qualcosa che dovrebbe essere protetto come un inestimabile bene umano e conquista culturale.

Fare bambini

L’IVG, che crea gameti maschili e femminili dalle cellule staminali, indipendentemente dal sesso del donatore di cellule, attualmente funziona solo nei topi. “Ma”, come osserva Spar, “con pochissime eccezioni, la storia recente suggerisce che i progressi nelle tecnologie riproduttive quasi sempre saltano alla fine dal mondo animale all’uomo. Se riusciamo a capire come fare i bambini e configurare la loro creazione in modi più precisi, lo facciamo”.

Si potrebbero vedere in questo passaggio meramente descrittivo e predittivo i semi di una convergenza di critiche sia dalla destra che dalla sinistra bioetica. La destra critica (giustamente, a mio avviso) la proposta di “fare bambini”. Fare è, dopo tutto, un modo per avvicinarsi alla materialità della natura esercitando un controllo creativo su di essa in modo da realizzare un prodotto.

Come può una simile impresa essere rispettosa della realtà personale degli esseri umani? Un artefice è sempre superiore al suo (o al loro) prodotto, poiché possiede una sovranità sia sulla sua natura che sulla sua esistenza, realizzando ciascuno secondo i suoi (o i loro) desideri. Ossia, spetta all’artigiano se la cosa verrà all’esistenza e come verrà all’esistenza. Nelle prime fasi di una tecnologia, tale controllo è in una certa misura carente, ma è sempre l’aspirazione guida dell’artefice.

Questo atteggiamento è incompatibile con la fondamentale uguaglianza delle persone. In quanto libero e razionale per natura, né chi è una persona, né se quella persona esiste, dovrebbe essere soggetto alla scelta di un altro. Il nostro accordo culturale su ciò sta alla base del nostro rifiuto della schiavitù, che tratta una persona come proprietà, e in una certa misura dietro il rifiuto della pena capitale, che dà ad alcune persone la garanzia di decidere se porre fine alle vite degli altri.

In quanto libero e razionale per natura, né chi è una persona, né se quella persona esiste, dovrebbe essere soggetto alla scelta di un altro.

L’IVG tratta un essere umano in questo modo? La prova che lo farebbe è scritta in tutto il saggio di Spar, e per la sua chiarezza a questo proposito dovremmo esserle grati. Spar inizia il suo pezzo con una descrizione di Anna e Nicole, amiche non romantiche, stanche di aspettare i mariti, che “decidono di avere un bambino”. Descrive gli effetti delle precedenti tecnologie di riproduzione assistita, come la fecondazione in vitro e la maternità surrogata, come spostanti la nostra attenzione dai motivi biologici della riproduzione dei bambini “ai termini contrattuali che avevano avviato la loro nascita”. O ancora, per ripetere: “Se riusciamo a capire come fare i bambini e configurare la loro creazione in modi più precisi, lo facciamo”.

La riproduzione sessuale non è di per sé una forma di creazione del bambino, solo non efficiente quanto le moderne tecnologie di riproduzione assistita? No. I coniugi che cercano un bambino non decidono né di avere un bambino, né di avere questo bambino, colui che risulterà da questo pezzo di materiale genetico abbinato a quello. Piuttosto, nell’unione sessuale, due persone si impegnano in un atto umano che determina le condizioni in cui un essere umano potrebbe venire all’esistenza attraverso processi successivi completamente fuori dal controllo della coppia. L’atteggiamento appropriato verso questa possibilità è la speranza.

Il figlio che ne risulta, quando concepito come risultato di un atto coniugale amorevole, sperato dagli sposi, e accettato come dono e non richiesto come soddisfazione, può essere detto, come ha affermato più volte Jennifer Roback Morse, di essere stato portato ad esistere per amore.

Questo per quanto riguarda la critica da destra. Ma anche alcuni bioeticisti di sinistra obietteranno, sostenendo che portare a termine un bambino che è stato concepito attraverso IVG costituirebbe una forma immorale di sperimentazione umana. I bioeticisti liberal non hanno obiettato molto ai recenti progressi nelle tecnologie riproduttive (inclusa la clonazione) in quanto tali, ma hanno spesso obiettato che tali tecniche non dovrebbero essere utilizzate per portare a termine un bambino umano, poiché non potremmo sapere in anticipo a quali patologie mediche tale bambino potrebbe essere soggetto.

Questa preoccupazione sarà esacerbata proprio dalle possibilità che Spar considera: cellule staminali maschili utilizzate per creare ovociti, cellule staminali femminili per creare cellule spermatiche, cicli multipli di gametogenesi combinati con fecondazione in vitro per creare bambini con quattro (o più) genitori genetici. Le conseguenze complete di tali interventi, operati sui bambini senza il loro consenso, semplicemente non possono essere conosciute in anticipo.

Per quanto diverse siano le critiche di sinistra e di destra, trovano un terreno comune proprio nella caratterizzazione della sinistra di ciò che sta accadendo come (non consenso ad) un esperimento. Perché questa descrizione coglie molto bene l’atteggiamento di padronanza e manipolazione che è al centro delle critiche della destra al fare i bambini. In un certo senso, ogni atto del fare è un esperimento, un saggio sulla materia per vedere se farà come si desidera e diventerà ciò che si vuole.

Questo approccio sperimentale verso i bambini è evidente anche nelle previsioni di Spar su come emergeranno nuove strutture familiari, o anti-strutture, come risultato dell’IVG. Immagina gruppi di tre e quattro persone di qualsiasi combinazione di sesso, età e relazione: amici, amanti, membri di diverse generazioni della famiglia. Riconosce che la poli-genitorialità “non diventerà mai la norma per la maggior parte delle famiglie”, ma prosegue dicendo: “una volta che iniziamo a immaginare e poi a vivere in un mondo di genitori fluidi, diventa sempre più probabile che annulleremo o almeno rivedremo la nostra secolare convinzione che le unioni procreative – come gli animali di Noè – avvengono solo in coppia”.

Si può dire con certezza che un mondo di genitori fluidi sarà un bene per i figli di tali genitori? Non si può. Anche in questo caso, Spar sta immaginando un enorme esperimento sociale in cui le vite di bambini non consenzienti – già letteralmente iniziate in una provetta – sono ulteriormente soggette a un trattamento in cui l’interesse guida non è il loro benessere, ma la soddisfazione del desiderio di coloro variamente correlati ad essi.

Spar sta immaginando un enorme esperimento sociale in cui le vite di bambini non consenzienti – già letteralmente iniziate in una provetta – sono ulteriormente soggette a un trattamento in cui l’interesse guida non è il loro benessere, ma la soddisfazione del desiderio di coloro variamente correlati ad essi.

Disfare la famiglia

Questo mi porta al secondo punto. Spar propone che l’IVG dovrebbe essere un passo – un passo da gigante – nella distruzione della “famiglia tradizionale”. Ma le virtù della famiglia tradizionale possono essere viste confrontandola con i probabili risultati della poli-genitorialità.

Nella “famiglia tradizionale” – come viene chiarito nel libro What Is Marriage? – i coniugi sono uniti sia in una realtà morale e in un’istituzione sociale, il matrimonio, che ha queste tre caratteristiche: l’unione è esclusiva, è permanente, e trova la sua fruizione nel far nascere, allevare, educare e amare i bambini.

Come istituzione, il matrimonio, a differenza delle persone del matrimonio, è qualcosa di “fatto”. A questo proposito, è simile alla legge. La legge è fatta per scopi morali, e quando è fatta bene e attuata da persone di buona e retta volontà, quelle finalità si realizzano in una comunità: giustizia e pace. Allo stesso modo, il matrimonio, se ben curato istituzionalmente e attuato da persone di buona e retta volontà, realizza gli stessi scopi nelle famiglie. I bambini vengono cresciuti ed educati sapendo che i loro genitori li amano e che possono fare affidamento stabilmente su di loro, salvo tragedie, per vedere la loro prosperità legata alla fioritura della loro prole. Sono trattati con giustizia e vivono nella pace domestica.

Il matrimonio così inteso, nella sua realtà sia morale che istituzionale, è creato da Dio. Ma come un (mero) fatto sociale visto nel contesto storico, dovremmo riconoscere il matrimonio così inteso come una conquista culturale. Sostituiva gli accordi familiari in cui uomini ricchi potevano prendere più mogli o concubine – difficilmente adeguate all’uguaglianza delle persone – e in cui i bambini venivano trattati come proprietà dei loro padri.

Sarebbe ragionevole sospettare dell’impatto sui figli di avere genitori – diciamo tre o quattro di loro – legati solo da legami di affetto, o forse anche solo da ragioni pragmatiche, privi degli impegni di esclusività e permanenza, e legati ai loro figli a estensioni genetiche variabili e da accordi contrattuali?

Nel pensare a questa domanda, potremmo considerare l’impatto del divorzio senza colpa sui bambini. L’indebolimento della permanenza nell’istituzione del matrimonio era tutto sommato positivo per i figli? Allo stesso modo, potremmo considerare le molte famiglie in cui i figli di più padri vengono allevati da genitori single o patrigni. La fine dell’esclusività è stata nel complesso un bene per i bambini? Il riferimento di Spar al caso di maternità surrogata Baby M (in cui era in questione la parentela legale di un bambino concepito e gestita da una madre surrogata) suggerisce, come anche i casi successivi di maternità surrogata, che più genitori dello stesso bambino non hanno sempre gli stessi interessi e non sempre trovano i “termini contrattuali che avevano avviato la nascita [del bambino]” sufficienti per la risoluzione del conflitto. Si può facilmente immaginare che l’IVG porti a difficoltà simili.

Il punto, che non può essere adeguatamente perseguito nello spazio di un breve saggio, è ancora una volta che la “famiglia tradizionale”, che Spar tratta in modo beffardo, dovrebbe essere considerata come un enorme risultato culturale, non una questione di indifferenza storica.

Quando una società passa dall’illegalità alla legge, si dovrebbe resistere agli incentivi a smantellare quell’istituzione essenziale. Lo stesso vale per gli incentivi a disfare la “famiglia tradizionale”. Il fatto che queste specifiche tecnologie sarebbero disumanizzanti e irrispettose per i bambini che sarebbero soggetti ad esse rende solo il loro rifiuto una questione ancora più urgente. La “nuova normalità” proiettata da Spar è distopica, che crea e disfa contrariamente al bene comune.

 

 

Christopher O. Tollefsen è professore di filosofia all’Università della Carolina del Sud.

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