Domenica XXIX del Tempo Ordinario (Anno C)
(Es 17,8-13; Sal 120; 2Tm 3,14 – 4,2; Lc 18,1-8)
di Alberto Strumia
Le letture di questa domenica hanno lo scopo di insegnare a tutti noi il giusto modo di intendere che cos’è la “preghiera”, così da poterla vivere per quello che è, traendone profitto.
1 – La parola insegnare la troviamo nella seconda lettura, nella quale san Paolo raccomanda a Timoteo, suo discepolo, proprio di insegnare, come Vescovo, ai cristiani che gli sono affidati. Si tratta di insegnare il modo giusto («insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia») di vivere la fede in tutti i suoi aspetti dottrinali («tu rimani saldo in quello che hai imparato») e pratici, che essa indica come un bene per rendere buona la vita, nel tempo e in vista dell’eternità («perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona»).
In particolare, oggi, ci viene insegnato il “modo giusto” di intendere la “preghiera”.
– In negativo: l’errore da correggere. Troppo spesso si intende la preghiera come una sorta di pedaggio da pagare a un Dio che la esige da noi per lasciarsi strappare qualche favore. Una “grazia”, come si dice, che viene concessa a un condannato ad una vita infame, dietro una richiesta insistente da presentare sotto forma di supplica al sovrano che detiene il potere assoluto. Questa poteva essere al più l’idea di Dio e di preghiera delle religioni pagane – o di una mitologia che vedeva Prometeo rubare il fuoco agli dèi – ma non è una concezione cristiana. Dio non è un tiranno, ma è Padre e Creatore provvidente!
La prima correzione da fare allora è proprio a questo livello.
2 – Ed è Gesù nel Vangelo ad indicarla. Se perfino il giudice tiranno della parabola, finisce per accontentare la vedova per togliersela di torno, «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di Lui?». E non per toglierseli di torno perché lo tormentano per estorcergli un po’ di giustizia e di bene!
– In positivo: la preghiera è la possibilità buona della libertà. Dio è talmente onnipotente da potersi permettere di delegare alla nostra volontà una parte della Sua Volontà. È un atto di fiducia estrema da parte di Dio nei nostri confronti, che viene da Lui compiuto anche a costo di dover poi rimediare ai nostri “errori” (“peccati”). È come un genitore che, per insegnare al bambino a camminare, ad un certo punto, lasciandolo andare con le sue gambe, è subito pronto ad aiutarlo a rimettersi in piedi quando cade.
= La preghiera come “domanda”. La preghiera, così intesa, è la libera richiesta (“domanda”) a Dio di far coincidere la nostra volontà con la Sua, sapendo bene che in questa coincidenza si realizza il nostro bene e non nel mettersi contro di Lui o nel volere fare senza di Lui. Questo è il dono più grande (“grazia”) che possiamo ricevere da Lui.
= La preghiera come “compagnia”. Perché Gesù raccomanda ai suoi discepoli di «pregare sempre, senza stancarsi mai», anzi presenta la preghiera come una «necessità» per l’essere umano? Perché la preghiera “fa compagnia”. Lo si capisce in modo estremo quando, essendo impossibilitati a fare tutto – come, ad esempio, quando ci si trova nel letto di un ospedale, o si è vecchi e senza forze per fare qualcosa d’altro – il tempo non passa mai e si può solo pregare per stare in compagnia del Signore. Allora ci si accorge che Dio, e i santi, ci sono e fanno compagnia. È un anticipo dell’esperienza della “Comunione dei santi”. La preghiera è il tempo passato in Sua e loro compagnia, e questo fa stare bene, in pace. Le estasi di taluni santi sono l’espressione più elevata di questa esperienza.
In quest’esperienza di “compagnia” la preghiera conosce insieme le dimensioni
= della “domanda”
= della “lode” di Dio
= e del “ringraziamento” per tanta bellezza. Non a caso l’inno del Gloria, che recitiamo nelle Messe festive, ci fa dire: «Ti rendiamo grazie per la Tua Gloria immensa».
3 – La prima lettura parlando di Mosè che faceva vincere Israele quando pregava e lo faceva perdere in battaglia quando interrompeva la preghiera («Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalek») ci offre una descrizione plastica di questa compagnia efficace di Dio con l’uomo che la vuole.
4 – Il salmo responsoriale raccoglie nei suoi versetti la descrizione dei frutti della compagnia di Dio per l’uomo di fede ed esprime la lode e il ringraziamento di colui che prega.
Infine, dobbiamo osservare che la preghiera come “domanda” è possibile, in qualche modo, anche da parte di colui che non è ancora giunto ad abbracciare la fede, ma è disposto a provare. Se uno è caduto in un precipizio ed è ancora vivo, se tace nessuno si accorgerà di lui, ma se grida chiedendo aiuto, può sperare che qualcuno lo senta e lo aiuti: «Dio, se ci sei aiutami!». Il Signore fa incontrare le persone giuste al momento giusto, per essere aiutati ad avere la fede.
Un’ultima considerazione viene dalla parola giustizia che troviamo sia nella seconda lettura (una volta) che nel Vangelo (quattro volte) e dal riferimento al giudice nella parabola. Questo riferimento, oltre a ricordarci il “giudizio finale” («Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti», seconda lettura), ci rimanda direttamente a Cristo Redentore che ha riparato la “giustizia originale” infranta dell’uomo/umanità con il rifiuto del “peccato originale”. La “giustizia”, così intesa è l’elemento centrale di tutta l’opera creatrice e redentrice, ed è il più grande atto di “misericordia” che Dio ha compiuto salvando ogni creatura dal “nulla” della sua non esistenza (“Creazione”) e dal modo “non giusto” di concepirsi e vivere nel cercare di opporsi a Dio (“Redenzione”). Dio è così misericordioso da lasciare all’uomo la piena libertà di compiere quell’atto buono che lo fa pregare per domandare la grazia della Salvezza («Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!», Mt 7,11).
Invochiamo Maria, che per prima, «da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19) in una preghiera continua. La tradizione della Chiesa ci insegna a pregarla con il santo Rosario che scandisce il ritmo del tempo con quell’unità di misura che è il saluto dell’Angelo Gabriele (Ave Maria) e fissa nella nostra mente i Misteri della vita di Cristo Redentore.
Bologna, 16 ottobre 2022
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