Rilancio un interessante articolo di Filippo Savarese pubblicato su Sfero.
Il 27 luglio il progetto di legge (pdl) contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia arriverà (o dovrebbe arrivare, rispettando i tempi) nell’Aula alla Camera dei Deputati. Se di primo acchito non avete capito bene che cosa significhi qualcosa come ‘bifobia’, siete ancora persone normali con un tenore di vita certamente gravato dalle sue difficoltà ma tutto sommato ancora invidiabilmente sereno (PS: ‘bifobia’ significa che avete una paura irrazionale delle persone bisessuali, che cioè sono attratte sia da uomini che da donne).
Il fulcro dichiarato del pdl è l’intento di punire in modo più grave atti di discriminazione e violenza (o anche solo l’istigazione a commetterli) se sono motivati da “sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere” di una persona.
Dato che la distinzione tra “sesso” e “genere” ha già portato in questi decenni a conseguenze e paradossi aberranti non oso francamente immaginare quali ben più aberranti supercazzole ideologiche possano nascondersi dietro l’ulteriore, inedita e ancor più inspiegabile sottodistinzione tra “genere” e “identità di genere”.
Un dato comportamento (non si sa quale) potrà essere punito perché discriminatorio del “genere” di una persona, e un altro dato comportamento (non si sa quale ma, sia chiaro, ben diverso dal primo) potrà essere punito perché discriminatorio della “identità di genere” di una persona. Adbundandis adbundandum, direbbe Totò.
L’impossibilità di definire con esattezza quali comportamenti possono sbatterti in galera ha suscitato le “classiche” obiezioni di area conservatrice (a proposito del rischio di finire in galera, mi asterrò dall’esprimere con parole ciò che penso di quanto sto leggendo in questi giorni su Avvenire): la CEI e l’associazionismo pro-family temono la progressiva espansione, ad opera dei giudici, del concetto di “discriminazione di genere” fino a punire comportamenti fondati su convinzioni religiose, culturali, morali o filosofiche.
A parte il dubbio sul poter ancora sostenere che i bambini nascono da mamma e papà, fare un volantinaggio contro i matrimoni gay o affermare che l’omosessualità – come sostiene il Catechismo cattolico – è un grave disordine morale frutto di immaturità affettiva da rintracciare anche nel vissuto della persona (non si nasce omosessuali), ci si chiede se la famiglia Rossi potrà essere denunciata, ad esempio, per aver licenziato Tata Lucia, che dopo l’estate s’è presenta a casa come Tato Mauro sfoggiando una fluida barba ottenuta grazie al bombardamento ormonale iniziato per la transizione “di genere”. Ognuno immagini da solo la miriade di casi analoghi.
In Parlamento, Lega e Fratelli d’Italia si stanno posizionando sul fronte ‘conservatore’ (anche se vorremmo leggere dichiarazioni e soprattutto vedere opposizioni molto più convinte rispetto alla prima fase dei lavori in Commissione Giustizia, filata troppo liscia), Forza Italia, che paga la presenza di parlamentari gay-friendly come Carfagna e Bernini, “deciderà”, mentre la maggioranza Partito Democratico – Movimento 5 Stelle – Italia Viva – Liberi e Uguali è compatta nel difendere il progetto. Una compattezza che, però, soprattutto se sapientemente “provocata”, potrebbe rivelare sottili distinguo capaci di mandare tutto a gambe all’aria (le associazioni LGBT infatti potrebbero ritirare il sostegno a un progetto annacquato).
La vera novità del momento – infatti – sono le dure critiche da parte del mondo femminista, che negli scorsi anni, mentre la marea Gender montava, straripava e metteva le fondamenta di ciò che vediamo oggi, non mi pare si fosse precisamente accorto di cosa stesse accadendo, mentre noi “cattobigotti” lo gridavamo ai quattro venti portando in giro per l’Italia enormi autobus arancioni per ricordare che “i bambini sono maschi e le bambine sono femmine”. Ma come si dice, meglio tardi che mai.
Una parte autorevole di femminismo, compreso il mondo lesbico ‘storico’ – quello per cui per essere una lesbica è ancora necessario essere anzitutto una donna – contesta l’inserimento nel testo di legge del concetto di “identità di genere”, che vorrebbero fosse sostituito con il più esplicito di “transessualità” (per la serie non s’allargamo troppo). Autorevoli esponenti del Partito Democratico come Valeria Fedeli hanno già apertamente manifestato l’intenzione di fare da sponda politica a queste preoccupazioni, proponendo e votando specifici emendamenti in tal senso (che andranno senz’altro sostenuti anche da tutto il centrodestra, nella speranza di rendere il testo indigesto per il fronte arcobaleno… in ogni caso, infatti, i numeri per l’approvazione definitiva di un qualsiasi testo ci sarebbero; tanto vale provare a minare il tragitto e far saltare tutto in aria).
Il timore femminista – giustificato perché già verificato, citofonare JK Rowling – è di dover condividere spazi e dinamiche che le donne hanno faticosamente strappato alla ‘società patriarcale, maschilista e sessista’ in decenni di battaglie con… uomini che si sentono donne. Ma come – dicono – dopo tutto sto casino adesso agli uomini basta dirsi donne per ritornare al punto di partenza? Non fa una piega, ma non ho ancora capito se questo femminismo ha compreso che il concetto di identità di genere è l’asse portante dell’intera impalcatura su cui si fonda lo strapotere LGBT, senza il quale tutto crollerebbe.
Eh sì, perché le varie leggi e riforme che in questi anni continuano a distinguere tra sesso, genere, orientamento, identità, eccetera eccetera, presto o tardi (quindi presto) saranno eliminate con la più ordinata e unica categoria del Genere (o qualsiasi altra parola s’inventeranno): una scatola vuota, trasparente e immateriale (ché altrimenti avrebbe una sua propria consistenza e definibilità, ma così non dev’essere) da riempire a piacimento in termini di qualità e quantità.
Dichiararsi omosessuale, bisessuale o transessuale – segnatevi la (facile) profezia – diverrà obsoleto e retrogrado com’è oggi dichiararsi maschio o femmina. Tutte le definizioni creano limiti. Orrore. La fase attuale è quella in cui c’è bisogno di sparigliare le carte sul tavolo moltiplicando concetti e questioni per consolidare, in generale, l’idea che tutto è fluido e demolendo il fatto, solido nella sua praticità, che si nasce maschi e femmine e fine dei fronzoli.
Ma quando tutto ciò avrà assunto contorni grotteschi non più difendibili, e la bolla, a furia di espandersi, scoppierà, si opterà per una categoria unica neutrale descrittiva di … qualsiasi cosa il singolo vorrà intendere circa la propria identità e il proprio orientamento, e ovviamente solo per il dato momento in cui lo vorrà, perché dopotutto – parafrasando quella razzista impunita di Rossella O’hara – ‘domani è un altro gender’.
Pensateci: se è tutto fluido, come un torrente, che senso ha dividere i segmenti del torrente in diverse, distinte categorie? Non è sempre acqua? Non è sempre liquida e trasparente? Ecco, così sarà per qualsiasi cosa si vorrà affermare sulla sessualità umana. Un torrente senza capo né coda, in continua trasformazione (qualcuno avrà reminiscenze del ‘panta rei’: corretto).
Essere “la qualunque” e orientarsi verso “la qualunque” sarà normale, e non ci sarà bisogno di specificare alcunché. Identità e orientamento saranno, esse stesse, categorie obsolete e discriminatorie. Come ti permetti di limitarmi in qualsiasi modo dicendo che ho una identità, o anche che ne ho 50? Io non ho identità! Io sono tutto (e niente…).
Bene, questo solo per dire che i timori sulla prima parte della legge, che modifica il Codice Penale per punire queste fantomatiche “discriminazioni di genere”, sono ovviamente fondati. Sì: rischieremo la galera se faremo qualsiasi cosa nei confronti di una persona omosessuale o transessuale in maniera diversa da come la faremmo se quella persona fosse eterosessuale. Rischieremo la galera (anche se a dirla tutta la rischiamo già oggi, perché certi giudici sono già abilmente capaci di tirar fuori il coniglio dal cappello).
Personalmente ritengo però che questo non sia nel modo più assoluto l’aspetto più grave del progetto di legge. La seconda parte del testo, dedicata alla “prevenzione” dei suddetti, indefinibili fenomeni è estremamente più pericolosa e aberrante.
Sono convinto che queste disposizioni sono quelle che le associazioni LGBT bramano veramente di portare a casa, a costo di modificare la parte sul Codice Penale secondo i desideri di qualsiasi Vescovo o femminista di passaggio. Anzi, secondo me dell’aggravante penale in fondo non gliene frega proprio niente. Sanno benissimo che grazie alle norme generali del Codice Penale qualsiasi forma di discriminazione o violenza contro un omosessuale o un transessuale è (giustamente) già oggi punita dalla legge. È pieno di sentenze che lo dimostrano.
Che importa, infatti, non avere il migliore strumento per punire le idee di chi non è d’accordo con te, se hai in mano il miglior strumento per cambiargli quelle stesse idee? Perché affaticarsi a processare una generazione di “omofobi”, quando puoi impiegare il tempo per assicurarti che sia comunque l’ultima?
La seconda parte del progetto di legge dota l’associazionismo LGBT di strumenti legali e finanziamenti pubblici (4 milioni di euro all’anno) per creare nel tempo una società a loro immagine e somiglianza. Le associazioni LGBT diventeranno a tutti gli effetti una forza di polizia del pensiero unico in tema di sessualità, amore, sentimenti, famiglia, filiazione.
La missione che il progetto di legge gli affida è di bonificare, settore per settore, ogni ambito sociale nel quale possa annidarsi anche solo il potenziale rischio di una discriminazione. Quindi, qualsiasi ambito sociale.
Il pdl affida al Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (che opera al di fuori di qualsiasi controllo del Parlamento) il compito di redigere ogni tre anni una Strategia Nazionale LGBT con gli obiettivi da raggiungere nel triennio e le attività per farlo. Chi dovrà attuarlo? Le associazioni LGBT, ovviamente. Quali attività? Qualsiasi, carta bianca. In quali settori? Tutti. Pubblica amministrazione, luoghi di lavoro e aziende, ospedali, social network, radio, giornali, televisioni. E ovviamente, dulcis in fundo, le scuole di ogni ordine e grado.
Decine di migliaia di meravigliose classi straripanti di bambini e bambine lontani dal fastidioso controllo dei loro genitori, pronti ad abbeverarsi alle fonti del verbo arcobaleno, magari tramite un libretto che spieghi come due uomini possono avere un figlio (e magari letto da una Drag Queen), o ascoltando l’esperienza di un adolescente omosessuale o (meglio?) bisessuale. I bambini saranno invitati a scoprire e ‘accogliere’ la scintillante diversità dell’arcobaleno nella loro vita (cioè tutto quel che abbiamo scritto sopra sulla distruzione dell’identità sessuale).
Il progetto di legge istituisce la Giornata Nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, specificando che sia festeggiata soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado, cioè dalla materna al liceo.
Ve la immaginate la piccola Maria, 7 anni, che sente parlare in seconda elementare di “lesbofobia”, e non sa nemmeno cosa significhi essere lesbiche? Tranquilli: sarà tutto scientificamente spiegato in modo tale che la piccola Maria non cresca con una “paura irrazionale” dell’omosessualità. E poi, chissà, magari Maria è lesbica e ancora non lo sa. O magari Maria ogni tanto si fa qualche domanda sull’essere maschi o femmine, e talvolta le è capitato di invidiare un maschietto, o di essere stufa di fare la femminuccia. Ma non sarà che Maria, sotto, sotto, ha l’identità di genere di un uomo? Sono domande che bisogna farsi, a 7 anni, perché altrimenti non si fa in tempo a bloccare lo sviluppo ormonale con gli appositi farmaci e Maria potrebbe dover convivere con i fastidiosi segni di un “corpo non suo”.
Qualcuno dovrà pur aiutarla a farsi questa domanda, no?
Tranquilli, le squadre speciali arcobaleno saranno al vostro servizio, con tutto il necessario armamentario: psicologa titolata di riferimento, libretti educativi per tutte le età, giochi di “ruolo” altamente performanti, cartoni e film dedicati, eccetera, eccetera, eccetera.
Le famiglie? Brrr! Le famiglie non si azzardassero a metter bocca. Il progetto non ne prevede il coinvolgimento, e d’altro canto non si può mica pensare di coinvolgere i genitori ‘omofobi’ nel grande piano per evitare che diventino ‘omofobi’ pure i figli! Sarebbe assurdo, dai.
Tutto questo accadrà se il progetto di legge contro l’omo-lesbo-bi-trans-fobia sarà approvato, e io spero che il dibattito politico, mediatico e sociale inizi a concentrarsi col giusto peso sul drammatico pericolo costituito dalla parte sulla “prevenzione” (cioè sul lavaggio del cervello di massa) piuttosto che sulla questione – comunque serissima – delle norme penali.
La libertà educativa è la madre di tutte le libertà, perché è quella con cui tutte le altre libertà (in primis quella religiosa) vengono tramandate di generazione in generazione preservando la fiamma della speranza.
Se dovessi scegliere tra il rischio che qualche attivista, giornalista, prete o blogger finisca in galera e l’istituzione di totalitari campi arcobaleno di rieducazione scolastica, io preferirei, di gran lunga, marcire in galera il resto dei miei giorni.
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