di Gian Spagnoletti
Suscitano sempre enormi polemiche le notizie relative alla Polonia. L’ultima pietra dello scandalo in ordine di tempo è la manifestazione per il centenario della costituzione della Seconda Repubblica polacca che ha avuto luogo lo scorso 11 novembre scorso, il Rosario recitato lungo i suoi confini nell’autunno 2017, ma anche la proposta di legge che vieterebbe l’uso dell’espressione “campi di concentramento polacchi”. Benché sia ovvio che la verità storica non potrà mai essere imposta dallo Stato, questa proposta di legge mira a scoraggiare il fatto che i polacchi vengano considerati “collaboratori dei nazisti”. E benché ci siano stati sicuramente alcuni polacchi che hanno aiutato i nazisti, ciò non è affatto vero a livello generale. Come ricordato dal premier polacco Duda, la Polonia non ha avuto nessun governo collaborazionista come quello di Philippe Petain in Francia o Vidkun Quisling in Norvegia, né reparti volontari nelle Waffen-SS. Al contrario, hanno un vero e proprio “record” di Giusti tra le Nazioni: più di 6000.
Probabilmente più di qualcuno si è chiesto perché i polacchi sembrino così attaccati alla loro identità fino al punto da sembrarne quasi “ossessionati”. A giudizio di chi scrive, la risposta sta nella storia di questo Paese, travagliata come poche altre. La Polonia e la sua alleata Lituania, da sempre, hanno dovuto destreggiarsi tra la Russia da una parte e Prussia e Austria dall’altra. A partire dal XVIII secolo poi, la Polonia attraversò diverse spartizioni del proprio territorio: nel 1772, 1793, 1794 e l’ultima nel 1939). Finalmente, lo Stato polacco risorse nel 1918, ma già nel 1919 si ritrovò di nuovo in guerra, questa volta con l’Unione Sovietica, riuscendo però a spuntarla quasi per miracolo.
Durante la Seconda guerra mondiale la Polonia fu invasa e smembrata in meno di un mese tra la Germania di Hitler e l’URSS di Stalin. Ma anche sotto l’occupazione nazista, i polacchi non si diedero per vinti: riuscirono a ricostituire all’estero dei reparti di fanteria che combatterono in Africa, a Montecassino e nello Sbarco in Normandia; molti piloti polacchi diedero un aiuto decisivo alla vittoria della RAF nella Battaglia d’Inghilterra; alcuni crittoanalisti polacchi furono i primi a decifrare i codici della macchina Enigma che la Germania usava per le comunicazioni militari.
Anche nella madrepatria la lotta all’occupante tedesco fu molto attiva: basti pensare all’insurrezione nel Ghetto di Varsavia e alla sollevazione dell’agosto 1944, che purtroppo fallì anche per il mancato appoggio dei russi e portò alla distruzione quasi integrale della capitale polacca. L’esistenza di Auschwitz fu svelata agli Alleati dal diplomatico Jan Karski e da Witold Pilecki, membro dell’Armia Krajova, la Resistenza fedele al Governo polacco in esilio a Londra (che esistette fino al 1990). L’infermiera Irena Sendler salvò 2500 bambini del Ghetto dando loro falsi documenti. Nella Seconda guerra mondiale morirono circa sei milioni di polacchi, di cui la metà erano ebrei; ma la sconfitta della Germania nazista non segnò la fine della Resistenza, che continuò contro un nemico diverso: l’ultimo partigiano polacco, membro dei “Fratelli della Foresta”, fu arrestato negli anni ‘60.
Nonostante l’altissimo tributo di sangue richiesto, l’opposizione al “padrone” di turno non è venuta mai meno, per il semplice motivo che la Polonia considerava prioritaria la sopravvivenza della propria identità di nazione unita e cattolica di fronte al “nemico storico”, la Russia, che imponeva l’ateismo di stato. Non per nulla si dà a Solidarnosc il merito di aver “aiutato” la dissoluzione del Blocco Orientale, e a Giovanni Paolo II il merito di aver scongiurato una guerra atomica. Benché in molte circostanze storiche la Polonia sia risultata “perdente”, è la memoria del proprio passato, che i polacchi coltivano e noi no, a rendere questa nazione un’eccezione notevole proprio mentre tutti gli altri straparlano di nazionalismo ed Europa a uso e consumo dell’omologazione generale delle masse. Sotto questo aspetto, la Polonia ha molto da insegnarci.
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