di Pierluigi Pavone
1.
Voegelin ha presentato una delle più acute tesi di filosofia politica. L’irrinunciabile rapporto tra Scienza della Politica e Filosofia della Storia. Scriveva in LA NUOVA SCIENZA POLITICA, come introduzione metodologica: “Una teoria della politica, che voglia affrontare anche le questioni di principio, deve essere, nello stesso tempo, una teoria della storia”.
E spiegava la storia moderna come processo di secolarizzazione e laicizzazione della escatologia cristiana. Una storia moderna che preserva – di quel Cristianesimo rifiutato ideologicamente e religiosamente – l’idea lineare del tempo. Vale a dire, dotato di un senso universale e certo.
Tuttavia, per Agostino (e quindi per il Medioevo) il tempo era “ormai” quello finale, inaugurato da Cristo, contrassegnato dalla sconfitta del potere di Satana sull’uomo e dalla “prima Resurrezione” dei battezzati, e teso all’avvento conclusivo dell’Anticristo e al ritorno nella gloria di Cristo, per il Giudizio. Il tempo dell’ultima età della storia (la sesta per i padri della Chiesa) era sia il tempo del secolo che ormai volge al suo inevitabile tramonto, sia il tempo della Chiesa, nel suo procedere tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.
Per i moderni – al contrario – il tempo ha senso alla luce di una nuova età, un nuovo ordine da plasmare umanamente e materialmente. Senza Dio e/o contro Dio. La modernità cioè conserverebbe un’idea lineare in cui è pensabile un’alba radiosa. Un’età definitiva. Paradossalmente (o forse no) e insieme, laica e anti-cristica: basata sull’idea “religiosa” dell’uomo divino. Secondo Voegelin la carica progressista e/o sovversiva era data dalla eredità del pensiero di Gioacchino da Fiore e dalla sua dottrina delle “Tre età della storia” in sintonia, concordia e simmetria con le Tre Persone della Trinità.
2.
A mio modo di vedere quest’ultimo assunto non è corretto. I miei studi diretti sui testi di Gioacchino da Fiore mi hanno confermato che il monaco calabrese rimase nella “ortodossia agostiniana” del conflitto perenne tra città di Dio e città del Diavolo. Gioacchino da Fiore, cioè, pensò all’età spirituale non come millenarismo o utopia cristiana e terrena. Non come terza età successiva a quella del Figlio: a differenza di quello che supporrà Lessing, non come successiva a Cristo o contrassegnata da un terzo Testamento (dopo l’Antico e dopo il Vangelo). Per Gioacchino ci sarebbe stata una irruzione particolare da parte dello Spirito Santo, contestualizzata assolutamente dentro l’età del Figlio, nel tempo della persecuzione dell’Anticristo, “prima” del ritorno di Cristo. Sarebbe stata un’irruzione spirituale da pensare come consolazione e forza di perseveranza nella Chiesa, perseguitata “come mai” nel tempo propriamente anticristico. Gioacchino da Fiore fissava l’età dello Spirito Santo tra l’Anticristo e un’ultima persecuzione sempre di natura anti-cristica, prima del Giudizio Universale. Ho maturato la convinzione che in realtà i moderni secolarizzarono – piuttosto – la strumentalizzazione che francescani spirituali tra 1200 e 1300, e luterani, poi, fecero dell’idea tripartita della storia. Questi infatti, stravolgendo Gioacchino da Fiore, auto-riferirono a se stessi e alla propria eresia l’età spirituale, condannarono la Chiesa stessa come opera anti-critica e si posero come avvento di una chiesa spirituale, pura, primitiva e vera. I moderni lasciarono lo scheletro tripartito ma sostituirono “la Chiesa” con la Massoneria: fortemente in Lessing e prima ancora (seguendo e condividendo i magistrali studi di F. YATES) nei segreti sviluppi dell’occultismo inglese post-elisabettiano (cioè tutto il XVII secolo delle rivoluzioni puritane e gloriosa, che anticiparono i principi politici ed economici e le decapitazioni di re, che ebbero “grande successo continentale” nel 1700).
I moderni lasciarono lo scheletro tripartito ma sostituirono la prospettiva ancora religiosa dei protestanti, con una prospettiva laica, in termini di progresso e/o rivoluzione. Qui torna condivisibile Voegelin.
3.
Il marxismo fu senza dubbio una incredibile oggettivazione di ciò. Sul piano spirituale e materiale. Da un lato la religione era sì condannata come oppio dei popoli, ma dall’altro erano preservati almeno tre assunti religiosi: la fede certa nel processo redentivo della storia; l’apologia anti-utopistica del ruolo messianico del proletariato internazionale; la fiducia nell’uomo “santificato dal sangue della rivoluzione”, libero da ogni classe e struttura economica di oppressione e quindi “giusto per sempre”, senza Stato e senza legge (una Gnosi realizzata).
Non solo. Il marxismo conquistava un senso straordinario e oggettivo di materialismo, che è opportuno – per onestà – riconoscergli. L’indubbia sua forza teorica e pratica fu la capacità di pensare la politica non in astratto ma all’interno del processo storico. Il marxismo infatti non concepiva la società senza classi come utopia ma come realtà storica da plasmare concretamente con la rivoluzione proletaria; non produceva una semplice critica al sistema borghese ma ne analizzava meccanismi tecnici e economici; non idealizzava lo scontro tra classi ma ne forniva ragioni, mezzi e obiettivi concreti. Lo stesso materialismo storico non può essere assunto come banale materialismo.
Nella I Tesi su Feuerbach, Marx aveva indicato “il difetto principale di ogni materialismo” nel non concepire il reale come “attività umana sensibile, come attività pratica”, “rivoluzionaria”, attività “pratico-critica”. In questo modo il materialismo passa da essere una visione teorica, un’idea, e diviene una forza storica che trascende e supera il dato storico reale a vantaggio della rivoluzione reale.
4.
Una critica efficace e reale a questo tipo di materialismo potrebbe essere più complessa di quella che si può muovere alla versione liberale, che trae fascino più dalla capacità di alimentare (e di assicurare) la ricerca edonistica del benessere materiale.
Rispetto a questo tipo di materialismo, il Cristianesimo ha due scelte: il materialismo stesso o l’escatologia, ma nella sua forma effettiva ed efficace. Vale a dire: convertirsi al mondo o restare fedele a se stesso. Nel primo caso, non solo sarebbe manifestazione di apostasia, ma il tipo di materialismo cristiano sarebbe nella sua forma più banale, retorica, astratta. Una moda del pensiero. Non avrebbe più nulla di concreto da dire, nessuno da convertire. E salvare. E alla fine perderebbe lo stesso Cristo e la Sua eredità, perché avrebbe tradito la potenza sacramentale e la contraddizione militante con lo spirito di questo mondo.
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