di Miguel Cuartero Samperi
La notizia è arrivata negli uffici del vescovo poche ore prima della Veglia Pasquale – momento liturgico più importante dell’anno liturgico per i fedeli cattolici di tutto il mondo – e in piena pandemia da Coronavirus, tempo di dolore e di incertezza per tutto il mondo. Papa Francesco ha nominato un nuovo vescovo dichiarando la diocesi di El Callao (Perù) “sede vacante”. Così è stato “deposto” il vescovo spagnolo, nato a Madrid nel 1950, mons. José Luis del Palacio che ha guidato la diocesi negli ultimi otto anni. Il Santo Padre ha nominato Amministratore Apostolico “sede vacante”, della Diocesi di Callao S.E. Mons. Robert Francis Prevost, O.S.A., Vescovo di Chiclayo.
La notizia è stata pubblicata ufficialmente il 15 di aprile sul bollettino della Santa Sede, nella sezione “Rinunce e nomine”, dove si legge «Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Callao (Perú), presentata da S.E. Mons. José Luis del Palacio y Pérez-Medel)». Tuttavia non sembra che il vescovo spagnolo abbia rinunciato di sua spontanea volontà alla guida della Diocesi peruviana. Lo stesso giorno l’arcivescovo ha pubblicato un video messaggio di congedo indicando che per volontà del Papa, «arriverà un nuovo vescovo che guiderà la diocesi».
«Obbedite a lui come avete obbedito a me. […] Ringrazio i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i due seminari della diocesi e per i trecento sacerdoti formati in questi anni, molti di loro in missione in varie parti del mondo […] Chiedo perdono per i miei peccati. Ho sempre preteso una cosa: che l’annuncio del Vangelo arrivi ai lontani, alla pecora perduta. La nostra missione è essere santi». Nel ringraziare le Caritas, presenti in tutte le parrocchie della Diocesi, ha affermato: «Il mio desiderio è che quando Dio mi chiami, o venga la seconda venuta di Gesù Cristo, mi trovi tra i poveri, seduto ai piedi dei poveri annunciando il Vangelo. […] Perdono tutti coloro che mi hanno offeso e diffamato...».
Nessun accenno, da parte del vescovo, ad una sua presunta “rinuncia” come viene invece riportato dal bollettino della Santa Sede. Dunque una decisione presa e imposta dall’alto, non certo la benevola accoglienza di una rinuncia volontaria.
Al momento non sono noti i motivi ufficiali che hanno provocato il repentino cambio di guardia alla guida della diocesi peruviana (e probabilmente non lo saranno in futuro). Assieme alla sorpresa per l’addio del vescovo, resta l’amarezza dei fedeli della diocesi di El Callao per una decisione inaspettata e incompresa. Basterebbe leggere i molti commenti al video di mons. Palacio pubblicato sui canali Youtube e Facebook della Diocesi per capire i sentimenti di smarrimento di molti fedeli, la gratitudine per questi anni di servizio alla diocesi e l’affetto che nutrivano verso il loro pastore.
La notizia è ribalzata su alcuni media spagnoli. “Papa Francesco fulmina il vescovo ‘kiko’ spagnolo del Callao”, titola Religión Digital; Il blog Infovaticana, che propone un completo profilo biografico di Del Palacio, scrive: «Colpito un eccellente vescovo. Cade senza un rapporto canonico, senza difesa, senza udienza col Papa, ma solo con le insidie della parte peggiore di quella chiesa»; mentre Religión en Libertad racconta che «qualche momento prima della Vigilia, gli è stato intimato di rinunciare alla Diocesi».
Mons. José Luis del Palacio era stato nominato Vescovo della diocesi di El Callao il 12 dicembre del 2011 (festa della Madonna di Guadalupe) da papa Benedetto XVI dopo ben 35 anni di missione in Perù come sacerdote responsabile del Cammino Neocatecumenale del paese sudamericano. Ed è proprio il suo legame col Cammino Neocatecumenale che sembra essere tra i principali motivi che hanno provocato la fulminea deposizione del vescovo. Da diversi anni un gruppo di sacerdoti diocesani è entrato in aperta polemica contro il vescovo e contro il Cammino Neocatecumenale, con continue lamentele e pesanti accuse (anche a mezzo di interviste pubblicate su giornali e telegiornali) contro la persona del vescovo e contro i fedeli del Cammino.
Si tratta di sacerdoti progressisti, legati alla Teologia della Liberazione (nata proprio in Perù e oggi meglio conosciuta come Teología del Pueblo). Preti “di strada”, esponenti di una teologia indigena basata sull’assioma della “opción preferencial” per i poveri, che hanno mal digerito la nomina di un vescovo spagnolo (dunque straniero e colonizzatore!) e per lo più alla guida di un movimento (nato in Spagna!) che poco ha da spartire con l’assistenzialismo materiale e l’opzione preferenziale per una o un’altra classe sociale. Nel suo piano pastorale, mons. Del Palacio ha messo al primo posto non l’elemosina ma l’annuncio del Kerygma, la nuova evangelizzazione; senza però dimenticare la promozione sociale e l’educazione dei più poveri, come testimoniano le numerose opere sociali messe in atto in questi anni: il sostegno e il proliferare delle caritas parrocchiali, la creazione di scuole e centri di formazione per giovani e adulti, il lavoro di alfabetizzazione (in una regione con un altissimo grado di analfabetismo) e l’impegno pastorale nelle carceri. In varie occasioni ha parlato di una pastorale basata sul tripode: “vocaciones, educación y caritas”. In una recente intervista rilasciata a Religion en Libertad, il Del Palacio sintetizzava così il suo “motto” pastorale: «educazione ed evangelizzazione».
Per non parlare delle vocazioni diocesane e religiose. Due seminari diocesani, una Facoltà di Teologia di alto livello accademico, cresciuta e affermatasi in questi ultimi anni, molti sacerdoti attivi in diocesi ma anche in missione all’estero, un incremento vertiginoso delle vocazioni monastiche femminili.
I molti “successi” pastorali ottenuti da Del Palacio evidenziati in questi dieci anni di governo gli hanno fatto guadagnare l’affetto e l’apprezzamento dei suoi fedeli, nonostante il suo carattere difficile e il suo parlare chiaro e diretto. Ma il vescovo spagnolo ha visto progressivamente oscurata la sua posizione all’interno dell’episcopato peruviano dal gennaio del 2019, quando papa Francesco ha nominato vescovo di Lima e primate del Perù il teologo Carlos Castillo Mattasoglio, allievo di Gustavo Gutierrez, padre della Teologia della Liberazione.
La nomina di Castillo al posto del cardinale Juan Luis Cipriani (che dopo aver guidato l’archidiocesi per due decenni, è stato sostituito “con insolita rapidità” non appena compiuti i 75 anni) fu definita dal giornalista Austen Ivereigh, biografo di Bergoglio, come un “terremoto ecclesiale”. In effetti il repentino passaggio da un Primate legato all’Opus Dei (accusato pesantemente di “tradizionalismo”, di sostenere movimenti di destra e di fomentare il disprezzo per i poveri) ad un altro, figlio prediletto della Teologia della Liberazione ha rappresentato una scossa significativa all’interno dell’episcopato peruviano. Inoltre fu proprio il card. Cipriani a togliere la cattedra al prof. Castillo, sospendendolo dall’insegnamento della teologia per relegarlo al ruolo di “semplice parroco” (F. Strazzari, su SettimanaNews). Una svolta epocale salutata con grande entusiasmo dal cardinale gesuita Pedro Barreto, vescovo di Huancayo e vicepresidente della Conferenza Episcopale del Perù, che ha partecipato al Sinodo per l’Amazzonia. Barreto ha definito la nomina di Castillo come un passo decisivo per raggiungere «la Chiesa che tutti sogniamo, povera coi poveri…». Mons. Castillo predica il ritorno urgente all’opzione preferenziale per i poveri e alle comunità di base: la TdL rielaborata nel suo libro “Teologia della Rigenerazione”.
È evidente che in questo clima effervescente, di revival liberazionista anni settanta, José Luis del Palacio è diventato un vescovo scomodo, perché non allineato ai temi ora prioritari per i vescovi del Perù: il riscatto sociale dei poveri, la lotta al consumismo, la difesa del clima e della biodiversità, la lotta per una chiesa più democratica e meno gerarchica.
Resta da sottolineare che il nuovo Amministratore Apostolico nominato a El Callao – Mons. Robert Francis Prevost – è il secondo vicepresidente della Conferenza Episcopale peruviana, guidata dal vescovo di Trujillo, mons. Miguel Cabrejos, attuale presidente del Celam. Vice presidente è il cardinale gesuita Pedro Barreto. Tutti vescovi arroccati su posizioni progressiste, che contano con l’appoggio del Santo Padre e che utilizzano il loro potere per dettare legge all’interno della Conferenza Episcopale, nonostante abbiano nelle loro diocesi numerosi problemi, ad esempio, nel presbiterio tra preti sposati/conviventi e aspiranti a cariche politiche (problema ricorrente nella regione, frutto di una formazione teologica impregnata di ideologia maxista).
A quanto pare resta solo un vescovo non allineato alle gerarchie locali: il vescovo di Arequipa, mons. Javier del Rio, anche lui appartenente al Cammino Neocatecumenale. Qualcuno crede – ed è facile sospettarlo – che sarà proprio lui la prossima vittima di una revolución che neanche il Covid-19 riesce a frenare.
È triste prendere atto che chi spinge l’acceleratore per una “democratizzazione” della Chiesa Cattolica, utilizzi proprio il potere (tanto criticato) per mettere in moto i processi di riforma e non disdegni di far ricorso alla gerarchia (altre volte così vituperata) per rimuovere gli ostacoli che impediscono il trionfo della revolución. Una Chiesa degli ultimi, dei poveri, dei semplici, “del pueblo” che tuttavia evita volentieri di consultare el pueblo quando questo appoggia e sostiene un pastore che è necessario ed urgente mettere da parte.
L’articolo è stato pubblicato anche blog Testa del Serpente
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