
di Alberto Strumia
Domenica XXVIII del Tempo Ordinario (Anno A)
(Is 25,6-10; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14)
– Nella seconda lettura di questa domenica salta agli occhi l’affermazione “certa” di san Paolo, il quale da uomo solido com’è ha il coraggio, la libertà e la consapevolezza di dire: «So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto». E all’interno di questa affermazione risalta, prima di tutto, quel «so vivere». Da dove gli viene questa “sicurezza” interiore e psicologica che lo rende “sereno” agli occhi di tutti e ai suoi? E perché, oggi, ben poche persone possono dire, con altrettanta tranquillità so vivere? La risposta ce la dà Paolo stesso, poche parole dopo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza», in Cristo.
Nel mondo di oggi, rimossa la “vera fede” in Cristo, sostituita con una “fede ideologico-politica”, o comunque con “fedi” costruite dagli uomini che si sono resi “idoli” di se stessi, si è persa anche la ragione. Questo è il motivo per cui il mondo è diventato “invivibile” e non si riesce più a dire «so vivere», davvero. Tutto si è fatto “apparenza” e “inconsistenza”, così che se anche uno affermasse di saper vivere, alla prova dei fatti il suo presunto sapere e il suo vivere, non reggerebbero alle prove dell’esistenza. E così molti finiscono per autodistruggersi in una catena di “errori” (cristianamente si chiamano “peccati”) nel gestire se stessi, i rapporti con gli altri e il rapporto con Dio. E oggi siamo arrivati alle “perversioni legalizzate”, e neppure queste ormai bastano, fino a che non si rischia di arrivare direttamente al culto di Satana; e allora il “gioco” sarà a carte scoperte. Ormai è risaputo che tutto questo è già iniziato per coloro che detengono i poteri sul mondo. Da questa “disfatta” della civiltà degli uomini, essi non riescono ad uscire e continuano a far girare la storia su se stessa, in una successione di prevaricazioni degli uni sugli altri, nell’illusione di trovare la “soluzione” (cristianamente si chiama “salvezza”) delle contraddizioni della storia, della contraddizione dell’uomo.
– Nella prima lettura il profeta Isaia descrive, non solo la “soluzione” (“Salvezza”) che mette l’uomo in condizione di dire seriamente «so vivere», insegnando che essa, o viene realizzata da Dio, oppure non è salvezza. Il Salvatore, il Liberatore (il Messia) sarà Cristo, Dio-Uomo. La lettura non si limita ad affermarlo, ma descrive anche l’“esperienza” che si vive in questa condizione di Salvezza, nella quale l’umanità collabora con Dio, invece di opporsi a Lui per fare tutto presuntuosamente e illusoriamente da sola, e contro di Lui, seguendo la tentazione satanica («diventereste come Dio», Gen 3,5). E lo fa, prima con il simbolismo di «un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati», per passare subito dopo al livello profondo, spirituale, dalle conseguenze “culturali”: quella della rimozione del «velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni». Il velo, la coltre sono, per usare il nostro linguaggio, l’“ideologia” e la mancanza di “realismo”, di “senso della realtà” nel valutare se stessi e il mondo.
– Nel Vangelo, troviamo ancora una parabola di Gesù che prosegue il percorso di quelle che sono state lette nelle domeniche precedenti. Il simbolismo della parabola, a prima vista ci appare piuttosto enigmatico. Mentre «ai capi dei sacerdoti e ai farisei» il riferimento diretto a loro risultò immediatamente evidente, tanto che subito dopo «tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi» (Mt 22,15).
Per noi è molto meno enigmatico se lo leggiamo alla luce dei fatti dei nostri giorni. Da qualche tempo la Chiesa ha “perso terreno” e ciò che dice non occupa di certo il primo posto negli interessi della gente. E dopo il covid l’invito del Re alla «festa di nozze per suo Figlio» interessa ancor meno. Tutti considerano più importanti le cose della vita materiale («quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari»). Il potere di Satana, che pilota gli uomini che esercitano il potere globalizzato sul mondo, attacca ormai scopertamente Cristo (distruggendo crocifissi, immagini sacre), la Chiesa (profanando chiese e incendiando cattedrali) e i suoi ministri (insultandoli e uccidendoli) e i suoi appartenenti più fedeli («presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero»), mentre gli altri li fagocitano piegandoli a sé. Oggi le chiese sono sempre più vuote e tutti hanno altro da fare. «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni». Come a dire: l’uomo non sa più che cos’è una vita degna di lui e sarà punito nelle conseguenze della sua colpa («Il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città»), almeno per richiamarlo a rientrare in se stesso («Allora rientrò in se stesso», Lc 15,17).
Curiosamente il passaggio successivo della parabola («“Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali»), che tradizionalmente viene interpretato come indicativo della “dimensione universale” del cristianesimo, oggi sembra descrivere, ancor più aderentemente, il modo “rozzo” con il quale coloro che, oggi, nella Chiesa di Cristo, rappresentano il Re, fanno entrare nelle chiese tutti indiscriminatamente («tutti quelli che trovarono, buoni e cattivi»), allestendo pranzi, bivacchi e ogni genere di spettacoli tutt’altro che sacri. Che cosa sarà diventata la festa di nozze della parabola, con tutta quella gente raccogliticcia e priva di ogni consapevolezza del luogo dove si trovava? Che cosa sono diventate le nostre chiese, oggi, nelle quali i poteri del mondo possono arrogarsi il diritto prepotente di interrompere le liturgie, mentre nel contempo si possono svolgere senza problemi le cose più profane e irrispettose del luogo sacro?
Non meraviglia, allora, che uno a caso – in rappresentanza dei più – sia stato sorpreso, nella parabola, senza l’abito nuziale («Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?»): come a dire, senza la fede, senza un minimo di senso del luogo sacro, senza un minimo di preparazione cristiana, senza un minimo di consapevolezza, di dignità e di decenza, pensi di poter partecipare a ciò che si celebra?
Allora se «molti sono chiamati, ma pochi eletti», tocca a quei pochi, tra i quali cerchiamo e ci auguriamo di essere, ripulire le chiese, far ripulire la nostra e le altrui anime, confezionare l’abito nuziale del “senso religioso” e del “senso del sacro”, vivendo in modo vero e quindi “affascinante” il cristianesimo, con il coraggio di “sfidare” il mondo facendo toccare con mano agli uomini il fallimento di un modo sbagliato di impostare la vita, la cultura e la società. Occorre imparare a vivere in vista della “vita eterna” per poter vivere bene la “vita terrena”.
La Vergine Maria, per prima, ce lo ha insegnato; i santi ce lo hanno insegnato; i maestri di vita cristiana a noi contemporanei come il nuovo giovanissimo beato Carlo Acutis, ieri proclamato, che per un dono del Signore non ci sono mancati, ce lo hanno fatto toccare con mano. «Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati» (versetto dell’Alleluia).
Bologna, 11 ottobre 2020
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
fonte: albertostrumia.it
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