
di Lucia Comelli
L’accesa discussione in atto sul disegno di legge contro l’omofobia, la transfobia e la misoginia approvato un paio di giorni fa in Commissione Giustizia mi ha spinto a precisare

termini come transessuale e transgender, dato che la proposta di legge estende le pene e le aggravanti previste dall’articolo 604 bis e ter del C.P. (la cosiddetta legge Mancino) a condotte motivate da omo – transfobia senzadefinire le parole suddette, il cui significato evidentemente si presuppone acquisito, e senza soprattutto chiarire mai l’esatto significato della nuova fattispecie di delitto (come esigerebbe invece uno stato di diritto come il nostro, nonché l’estrema durezza delle pene previste).
In realtà, consultando alcuni siti che intendono dar voce alle minoranze sessuali, ho constatato direttamente l’equivocità di termini come trasgender e transessuale, che riflettono probabilmente nel linguaggio comune – il caos etimologico maturato all’interno della stessa comunità LGBTQI+. Infatti il significato attribuito a queste parole è cambiato nel corso degli anni ed è ancora oggetto di un acceso dibattito. Comunque, secondo la guida online che ho consultato: transgender è una persona il cui sesso biologico e l’identità di genere non concordano, che si identifica con il genere opposto a quello attribuitogli alla nascita, ma che non chiede di modificare i propri caratteri sessuali primari attraverso operazioni chirurgiche (come fa il transessuale)[1].
Queste precisazioni possono sembrare irrilevanti ai fini della tutela[2] delle minoranze sessuali e delle donne (infatti ai reati di omolesbobitransfobia si sono voluti aggiungere, nel recente testo unico[3], quelli ispirati alla misoginia[4]); invece non lo sono, perché sancire per legge un diritto significa contestualmente stabilire un dovere per qualcun altro ed è per questo che i cosiddetti nuovi diritti, come la tutela dell’identità di genere, tendono a confliggere con i diritti naturali, riconosciuti come inviolabili dall’art. 2 della nostra Costituzione. Se il ‘ddl Zan’ diventerà legge dello stato, ridurrà infatti sensibilmente le libertà di opinione e di espressione, la libertà religiosa, la libertà educativa dei genitori e persino il diritto all’uguaglianza e alla pari dignità sociale tra uomo e donna (art. 3) che la proposta di legge afferma invece di voler tutelare. Proprio su quest’ultimo, contraddittorio, aspetto del testo in questione vorrei soffermarmi.

La tv nazionale norvegese ha trasmesso nel 2010 il “paradosso norvegese”, un documentario girato dal sociologo e attore Harald Eia (sopra nella foto), che ha mostrato attraverso un’inchiesta rigorosa l’infondatezza scientifica dell’ideologia gender, secondo la quale donne e uomini sarebbero diversi unicamente dal punto di vista fisico, essendo ogni altra differenza frutto di condizionamenti culturali eliminabili. Il filmato (che dura una mezz’oretta ed è reperibile online con i sottotitoli in italiano) ha suscitato un appassionato dibattito dal quale, nel 2011, è nata la decisione del Consiglio dei ministri dei governi nordici di sospendere i finanziamenti al Nordic Gender Institute. |
Come ha riconosciuto onestamente su Facebook Aurelio Mancuso, dirigente del Pd e già presidente di Arci Gay:
«L’utilizzo del termine identità di genere anziché transfobia apre oggettivamente un conflitto molto forte con il femminismo della differenza e di quello radicale. Conflitto che non si sarebbe proposto fino a pochi anni fa, ma che ora investe una dura discussione pubblica in tutto il mondo. Proprio nelle file dei partiti progressisti potrebbero esprimersi forti contrasti, tali da pregiudicare, soprattutto in Senato, l’approvazione della legge»[5]
Nel nostro Paese la legge consente già ad un uomo che abbia completato il processo di transizione (cioè si sia sottoposto a terapia ormonale e ad un intervento chirurgico di demolizione
del sesso maschile) di essere riconosciuto per legge come una donna (benché per un uomo trasformarsi realmente in donna – o viceversa – sia per ovvi motivi impossibile, allo stesso modo per cui un sessantenne non può in nessun caso ritrasformarsi in un ventenne). Il Ddl Zan, inserendo nel testo la tutela dell’identità di genere, spiana la strada alla riforma – già proposta dal Mit (movimento identità trans) – della legge 164/2, che oggi regola la materia, che mira ad ottenere un pieno riconoscimento della nuova identità sulla base della semplice ‘autocertificazione’ dei soggetti interessati[6], senza necessità di alcun intervento chirurgico/farmacologico né di alcuna perizia: imponendo a chi rappresenta lo stato e agli altri cittadini di considerare a pieno titolo come donne esseri umani biologicamente maschi a tutti gli effetti (e viceversa).
Che problema c’è? Ribattono i promotori della legge (e con loro molte anime belle): sosteniamo gli stessi diritti e libertà per tutti, senza distinzione!
Ora, che si possano estendere illimitatamente i diritti di un gruppo di cittadini senza contraccolpi negativi su altri è una convinzione logicamente insostenibile, smentita oltretutto da molteplici – spesso grotteschi – fatti di cronaca. Un paio di giorni fa, ad esempio, mi sono imbattuta in una notizia bizzarra, direi comica, se i tempi fossero meno confusi di quelli presenti: a Toronto un’estetista ha dovuto chiudere la sua attività, unica fonte di sostentamento, per essersi rifiutata di fare una ceretta inguinale a un trans (con genitali maschili). L’aspetto drammatico della vicenda, non l’unica di tal genere, è che a farle chiudere i battenti per discriminazione contro l’identità di genere della cliente è stato il tribunale per i Diritti Umani della Columbia Britannica[7]: la ceretta come nuovo diritto umano!

La giornalista e femminista Marina Terragni [nella foto]in merito al Ddl Zan ha chiarito efficacemente nel suo blog la contrarietà di molti gruppi femministi al ddl Zan.
In realtà l’aver sostituito l’identità di genere al sesso biologico nella definizione dei concetti di «uomo» e «donna» sta provocando problemi consistenti nei Paesi e nelle organizzazioni sovranazionali che hanno imboccato questa strada. In Inghilterra, punta avanzata dell’ideologia gender, alcune quote politiche riservate alle donne da tempo sono occupate da uomini che si identificano come donne: già nel 2018 Jeremy Corbin, leader del partito laburista inglese, usò le quote rosa per candidare in posizione di vantaggio alcune candidate trans, provocando l’esodo di circa 300 militanti e dirigenti donne del partito. La questione dell’identità di genere provoca da anni colossali problemi anche nel mondo dello sport: negli Usa gli sprinter o i lottatori transgender maschi che si identificano come femmine fanno man bassa delle classifiche sportive universitarie, sottraendo alle donne biologiche opportunità e borse di studio collegate ai risultati atletici[8]. Problemi anche peggiori nelle carceri: basta una dichiarazione scritta, fondata sulla percezione di sé come donna, e persone che sono fisicamente maschi a tutti gli effetti, persino se già condannati per violenza carnale, possono finire nelle sezioni femminili dei penitenziari[9] con drammatiche conseguenze per le altre detenute. Non è un caso che l’utilizzo nel ddl Zan del termine identità di genere anziché transfobia abbia causato anche in Italia, come osservato da Mancuso, un conflitto molto forte con una parte importante del femminismo. Contrasto che trova un’eco nella discussione in atto nel mondo occidentale. L’ostilità di molte femministe storiche e delle stesse attiviste dell’Arcilesbica[10], alla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’identità di genere, nel ddl in questione, è stata spiegata con chiarezza dalle protagoniste del dibattito in molteplici interventi pubblici.
Come ha scritto La giornalista e femminista Marina Terragni in merito al Ddl Zan nel suo blog[11]:
«una legge che introduce il rischio di essere perseguiti penalmente se dici, per esempio, che una donna è una donna e non un mestruatore o una persona dotata di “buco davanti”; o che solo le donne partoriscono; o che l’omofecondità è solo un delirio di onnipotenza; o che l’utero in affitto è un abominio… una legge del genere sembra voler colpire più le donne che gli uomini … L’identità di genere è il luogo in cui la realtà dei corpi – in particolare dei corpi femminili – viene fatta sparire … è la ragione per cui le donne che si vogliono liberamente incontrare tra loro non possono farlo, e subiscono aggressioni quando lo fanno. Gli spogliatoi femminili a cui devono poter accedere persone con apparati genitali maschili. Le case-rifugio per donne maltrattate che devono ospitare anche persone con pene e testicoli. L’identità di genere è … la ragione per la quale chi dice che una donna è un adulto umano di sesso femminile viene violentemente messa tacere, come è capitato a molte femministe: da Germaine Greer a Silvyane Agacinski, Julie Bindel, Chimamanda Ngozi Adichie e ora anche a J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, sotto attacco come transfobica per essersi detta donna e aver rifiutato la definizione di “persona che mestrua”. L’identità di genere è il motivo per il quale la ricercatrice Maya Forstater è stata licenziata dopo aver affermato che non è possibile cambiare il proprio sesso biologico, e altre donne in UK sono sotto processo. L’identità di genere ha a che vedere anche con altre questioni, come l’utero in affitto: le molte donne che lottano contro questa pratica vengono bullizzate come omotransfobiche che vogliono conservare il proprio “privilegio” e non accettano di cancellare la parola madre per essere definite “persona che partorisce”».”
Francesca Izzo, sempre dell’associazione SeNonOraQuando Libere (vedi in appendice la sintesi di un suo interessante articolo), riconduce il duro scontro in atto tra le stesse “femministe” a proposito della legge Zan adue opposte visioni della libertà femminile: una che punta a “neutralizzare” e a cancellare le differenze fluidificandole [cioè abbracciando la teoria gender e quindi negando la specificità dell’essere donna],l’altra che cerca di dare loro valore e senso [femminismo della differenza].
Per quanto mi riguarda, considero una scelta tragica per il bene comune quella di imporre per legge, indottrinando sistematicamente i più giovani e vulnerabili (diffondendo a tappeto nelle scuole la teoria gender) e mettendo a tacere con la forza i dissenzienti, una concezione ideologica e quindi falsa dell’essere umano e della sessualità. Negare la dimensione biologica, proprio nel momento in cui peraltro si classificano gli esseri umani in base alle loro pratiche sessuali, non aiuta veramente chi sperimenta un doloroso disallineamento tra la propria mente e il corpo, e costringe comunque i cittadini a sconfessare la realtà dei fatti, vivendo nell’equivoco e nella menzogna.
Concludo facendo pertanto mia un’affermazione della grandissima pensatrice Hannah Arendt:

“Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più” [12]
[1] Guida illustrata alla cultura queer -Transessuale cosa vuol dire? in Iosonominoranza.
[2] In realtà già assicurata dalla normativa esistente (articoli 61, 594, 595 e 612 del C.P.), come provato dalle sentenze di condanna pronunciate in tal senso negli ultimi anni.
[3] Il disegno di legge contro l’omofobia, la transfobia– che per comodità chiamo ancora ddl Zan (dal nome di uno dei proponenti) – nasce in realtà a metà luglio come sintesi di 5 proposte precedenti.
[4] Forse per rispondere alle critiche di chi, di fronte alla notevole crescita delle violenze contro le donne durante il lockdown, avrebbe voluto portare l’attenzione del governo su questa emergenza sociale, anche perché i dati forniti dall’OSCAD (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) attestano la bassa incidenza di reati omotransfobici nel nostro Paese. In questo modo le donne, la metà del cielo, sono ridotte ad una sfumatura nella variegata galassia LGBTQI+.
[5] Flavia Perina, Le battaglie per l’identità di genere rischiano di danneggiare i diritti delle donne, LinKiesta, 12 giugno 2020.
[6] Marina Terragni, Perché la legge contro l’omotransfobia è una faccenda che riguarda noi donne tutte, in FemminileMaschile, 22 giugno 2020.
[7] “È successo in Canada, a Toronto: un giorno l’estetista Marcia Da Silva ha visto arrivare nel suo centro Jessica Yaniv, un transessuale nato uomo che si identifica come una femmina, per altro lesbica. Il trans ha chiesto una ceretta inguinale.
Stando a quanto riporta il ‘Toronto Sun’, l’estetista – che all’inizio aveva accettato di fare la ceretta – ha cambiato idea quando ha capito che Yaniv aveva dei genitali maschili. La cosa non solo la turbava, ma avrebbe richiesto una procedura diversa rispetto alla ceretta inguinale femminile … Il transessuale, che continua a sostenere si tratti di discriminazione, ha scritto in un tweet: “Sono femmina. Sono una donna. Non sono un uomo. Ho diritto a OGNI servizio a cui una donna ha diritto e qualsiasi rifiuto di questo tipo costituisce una violazione dei miei diritti”. Si rifiuta di fare la ceretta inguinale al trans: lui le fa chiudere l’attività, in VoceControCorrente, 27 Luglio 2019.
[8]Annalisa Cangemi, 300 donne contro Corbyn: nel partito hanno incluso anche le trans tra le quote rosa, 2 maggio 2018 (www.fanpage.it).
[9] Nata come David Thompson era diventata Karen White. La trans, che non si aveva ancora portato a termine la sua trasformazione a donna con l’operazione ai genitali, è stata accusata di stupro dopo aver violentata una donna. Finita in carcere, e rinchiusa nel penitenziario femminile, però, avrebbe abusato anche di due detenute. È accaduto in Gran Bretagna dove il caso ha avuto una forte risonanza. Trans finisce In un carcere femminile con l’accusa di stupro e violenta due detenute,10/09/2018 (www.pianetacarcere.it).
[10] Arcilesbica ha sottoscritto la la Dichiarazione per i diritti delle donne basate sul sesso firmata nel 2019 da un gruppo di accademiche, scrittrici e attiviste in tutto il mondo, con lo scopo di eliminare “tutte le forme di discriminazione contro le donne che risultano dalla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’identità di genere”. L’associazione si è inoltre pronunciata contro la maternità surrogata, sponsorizzata dal movimento trans. Cfr Elisabetta Invernizzi, Perché considerare le persone trans come donne sta facendo esplodere il movimento Lgbt,
[11] Terragni, Perché la legge contro l’omotransfobia è una faccenda …
[12] Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo. Questo libro, pubblicato nel 1952, è considerato una pietra miliare negli studi sui regimi totalitari.
Le due anime del femminismo secondo Francesca Izzo
Il movimento delle donne contestando l’ordine naturale e quindi immutabile secondo cui gli uomini e le donne hanno per natura un destino, una funzione sociale definita in base al loro sesso ha per primo distinto il sesso con cui gli esseri umani vengono al mondo (un dato corporeo che coinvolge anche la dimensione psichica) dal genere, cioè dal ruolo sociale e comportamentale che le diverse società attribuiscono ai due sessi. Su questa distinzione su cui il movimento delle donne ha “lavorato” per costruire un’identità femminile autonoma e libera si è divaricato il percorso tra le femministe che considerando la celebre frase di Simone de Beauvoir “donna non si nasce, si diventa” come un programma da realizzare, fanno coincidere totalmente il sesso con il genere, cancellando ogni specifica identità femminile e quelle che invece cercano di costruire un mondo in cui donne e uomini possano convivere pari e differenti, e la maternità, non sia considerata come un vincolo oppressivo, ma venga valorizzata come una manifestazione altissima della creatività umana.
In quest’ultimo modo di intendere la libertà delle donne, il sesso e quindi la corporeità sono centrali, nell’altro invece risulta un mero dato biologico, da cui è bene prescindere per ancorarsi solo al genere, cioè alla costruzione sociale (che è trasformabile).
Qui si innesta la teoria gender, di origine anglosassone teorizzata dalla filosofa americana Judith Butler. Quest’ultima ha spinto la storicità del genere sino a considerare il sesso biologico una semplice costruzione sociale. Questa corrente di pensiero, nata all’interno dell’universo femminista, intendeva dare piena dignità e uguaglianza di diritti alle minoranze gay, transgender, queer … essa, tuttavia, non solo svalorizza la dualità sessuale e l’eterosessualità, ma le giudica negativamente perché rappresentano un ordine che condanna chi non vi rientra alla perenne marginalità.
Contrastare questa posizione non significa difendere chissà quale privilegio bensì i fondamentali per qualsiasi azione di libertà femminile come quella ad esempio di collocare la maternità al centro della vita pubblica. Una politica delle donne fondata sul gender considererebbe questa azione discriminatoria verso le donne gender. Il dibattito aperto tra le “femministe” a proposito della legge Zan in qualche modo riproduce l’opposizione tra due diverse visioni della libertà femminile, una che punta a “neutralizzare” e a cancellare le differenze fluidificandole, l’altra a cercare di dare loro valore e senso, anche a quella dei trans operati o meno.
Francesca Izzo, Perché «identità sessuale» valorizza le differenze, 20 luglio 2020
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