Occorre superare quella frattura tra Vangelo e cultura che è, anche per l’Italia, il dramma della nostra epoca; occorre por mano ad un’opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita (Evangelii Nuntiandi, 19-20), in modo che il cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza.
Ciò potrà avvenire solo a condizione che non si appiattisca la verità cristiana, e non si nascondano le differenze, finendo in ambigui compromessi: il dinamismo inesauribile della riconciliazione cristiana e del perdono fino a settanta volte sette non annulla infatti le esigenze oggettive della verità e della giustizia (Dives in Misericordia 4).
Non deve essere infatti sottaciuto il rischio di una “espropriazione” effettiva di ciò che è sostanzialmente cristiano sotto l’apparenza di una “approvazione” che in realtà resta soltanto verbale, con la conseguenza della “assimilazione” al mondo invece che della sua cristianizzazione.
È dunque necessario avere fiducia, non solo per quanto concerne la Chiesa ma anche per la vita della società, nella forza unitiva e riconciliatrice della verità che si realizza nell’amore.
Vorrei dire qui agli uomini e alle donne di questa grande Nazione: non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia, nel pieno rispetto della convinta promozione della libertà religiosa e civile di tutti e di ciascuno, e senza confondere in alcun modo la Chiesa con la comunità politica” (GS 75)” (n. 7).
(Tratto dalla relazione tenuta da Giovanni Paolo II al convegno di Loreto del 11 aprile 1985)
Fonte: w2.vatican.va
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