Partendo dalla Sacra Scrittura, si noterà subito che essa non fa accenno all’ateismo “teorico”, mentre si preoccupa di respingere l’ateismo “pratico”. Il Salmista taccia di stoltezza colui che pensa: “Non c’è Dio” (Sal 14, 1), e si comporta di conseguenza: “Sono corrotti, fanno cose abominevoli; nessuno più agisce bene” (Ibid). In un altro Salmo è biasimato l’”empio insolente che disprezza il Signore”, dicendo: “Dio non se ne cura: Dio non esiste” (Sal 10, 4).
Piuttosto che di ateismo, la Bibbia parla di empietà e idolatria. Empio e idolatra è colui che al vero Dio preferisce una serie di prodotti umani, falsamente ritenuti divini, viventi e operanti. All’impotenza degli idoli, e parallelamente di coloro che li fabbricano, vengono dedicate lunghe requisitorie profetiche. Con veemenza dialettica esse contrappongono alla vacuità ed inettitudine degli idoli fabbricati dall’uomo la potenza del Dio creatore e operatore di prodigi (cfr Is 44, 9-20; Ger 10, 1-16).
Questa dottrina raggiunge il suo sviluppo più ampio nel Libro della Sapienza (cfr Sap 13-15), dove si presenta la via, che sarà poi evocata da san Paolo (cfr Rm 1, 18-23), della conoscenza di Dio a partire dalle cose create. Essere “atei” significa allora non conoscere la vera natura della realtà creata, ma assolutizzarla e, per ciò stesso, “idolatrarla”, invece di considerarla orma del Creatore e via che conduce a lui.
L’ateismo può perfino diventare una forma di ideologia intollerante, come la storia dimostra. Gli ultimi due secoli hanno conosciuto correnti di ateismo teorico che hanno negato Dio in nome di una pretesa autonomia assoluta o dell’uomo o della natura o della scienza. È quanto sottolinea il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Spesso l’ateismo si fonda su una falsa concezione dell’autonomia umana, spinta fino al rifiuto di ogni dipendenza nei confronti di Dio” (n. 2126).
Questo ateismo sistematico si è imposto per decenni offrendo l’illusione che, eliminando Dio, l’uomo sarebbe stato più libero sia psicologicamente che socialmente. Le principali obiezioni mosse soprattutto nei confronti di Dio Padre, si attestano attorno all’idea che la religione costituirebbe per gli uomini un valore di tipo compensativo. Rimossa l’immagine del padre terreno, l’uomo adulto proietterebbe in Dio l’esigenza di un padre amplificato, da cui a sua volta affrancarsi perché impedirebbe il processo di maturazione degli esseri umani.
Di fronte a forme di ateismo e alle loro motivazioni ideologiche, qual è l’atteggiamento della Chiesa? La Chiesa non disprezza lo studio serio delle componenti psicologiche e sociologiche del fenomeno religioso, ma rifiuta con fermezza l’interpretazione della religiosità come proiezione della psiche umana o risultato di condizioni sociologiche. L’autentica esperienza religiosa, infatti, non è espressione d’infantilismo, ma atteggiamento maturo e nobile di accoglienza di Dio, che risponde all’esigenza di significato globale della vita e impegna responsabilmente per una società migliore.
Fonte: Giovanni Paolo II – tratto da udienza generale del 14 aprile 1999
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