Qui e qui trovate due articoli sulle ultime parole del Papa sulla Comunione dei Santi che hanno fatto discutere. 

 

Fabio Fazioe e Papa Francesco
Fabio Fazioe e Papa Francesco

 

 

di Mattia Spanò

 

Benché le persone considerino ciò che avviene più importante del come avviene, e soprattutto del dove avviene, la cornice e il contesto di un fatto sono più decisivi della riproduzione del fatto medesimo. È lì che si gioca la partita del messaggio da bandire al pubblico, secondo la lezione di McLuhan.

Vale allora la pena di anticipare qualche considerazione sulla partecipazione di papa Francesco a Che tempo che fa, trasmissione condotta su RaiTre da Fabio Fazio. Trasmissione che va in onda la domenica: non un giorno qualsiasi, per i cristiani. Alcuni ricorderanno che papa Francesco aveva già citato Fabio Fazio il 18 marzo 2020, riprendendone il giudizio secondo il quale è a causa degli evasori fiscali che mancano respiratori nelle terapie intensive. Argomento, quello delle tasse, su cui Sua Santità è tornata il 31 gennaio 2022. Sono cronache che provano quanto il grande papa ammiri da tempo il piccolo conduttore.

Vale la pena anticipare per non sottostare all’istantanea sottilmente ricattatoria di ciò che il Santo Padre farà o dirà: com’è normale i media si concentreranno su questo o quel dettaglio, quello scambio di battute o la “notizia”, perdendo di vista il significato profondo. Anche se interessa a pochi, questo significato esiste.

Una riflessione sommaria a proposito del sacro, cioè dell’attributo tipico di un’autorità religiosa. Secondo l’etimo latino, sacer era il “separato”, la parte di terra delimitata dal confine. Spostare il confine significava offendere il dio Termine. Chi lo faceva perdeva i suoi diritti e lo status di essere umano. Colui che turbava la pax deorum, la sacertà del confine fra gli dei e gli uomini, era maledetto. Chiunque poteva ucciderlo.

La ragione di tanta durezza, oltre a riflettere il carattere oggettivo dell’esistenza umana, era il riconoscimento salvifico di un’evidenza: è lo spazio che non riguarda l’uomo a qualificare per sottrazione ciò che l’uomo è a partire da dove deve stare. Se l’uomo invade ciò che non gli appartiene, cessa di essere riconoscibile come tale dai suoi simili e perfino dal Creatore.

Il fatto che il papa abbandoni il proprio spazio sacro – lo spazio anche simbolico che abita come sacerdote eletto vicario di Cristo – non è però una dissacrazione sostanziale. Mi sembra piuttosto una riconsacrazione. Questo perché egli entra in un’altra chiesa con un altro sacerdote celebrante, in questo caso l’abulico Fazio.

Per spiegarmi meglio, devo ricorrere ad un altro castigo antico: l’esilio. Un provvedimento di rango inferiore rispetto alla morte che colpiva i dissacratori della patria – coloro che violavano o spostavano i confini appropriandosi di uno spazio che non gli apparteneva – era l’allontanamento dalla comunità (Dante, ad esempio, per arrivare ai dissidenti sovietici). La forma secolare della scomunica, se vogliamo.

Rimanendo a Dante, la collocazione di Ulisse all’inferno non investe l’inseguire virtute e canoscenza, come una certa ermeneutica sciattamente scolastica propone, ma perché oltrepassa le Colonne d’Ercole, il limite posto dagli dei acciò che l’uom più oltre non si metta. Dante, da esule a esule, riconosce a Ulisse la sua grandezza ma al tempo stesso ci dice che, di fronte ed oltre il limite divino, essa merita la dannazione perché è fuori luogo.

Cristo caccia i mercanti dal tempio non dalla seconda corte – in quello, aperto a uomini e donne, era possibile sostare, commerciare, dibattere e lasciare offerte – ma dalla terza, quella antistante il Santo dei Santi, dove solo gli uomini potevano assistere al rito del sacrificio. Li caccia perché avevano invaso uno spazio sacro con le loro attività di cambiavalute.

L’esilio, l’abbandono o la cacciata dal proprio spazio naturale non è, comunque la si pensi, un accidente trascurabile. Al contrario è ciò che più di ogni altra cosa – perfino più della morte stessa – snatura e delegittima l’esule fuggitivo. Il motivo è che la sacralità dello spazio, fisico e metafisico, non consente l’occupazione ubiqua di un luogo differente né concorrente. 

A questo punto, si potrebbe osservare che papa Francesco ci ha abituati all’informalità. Dal recarsi nel bagno chimico a Milano, all’ottico per comprare gli occhiali, al negozio di dischi, al mangiare in chiesa coi poveri, al “buonasera” in luogo di “sia lodato Gesù Cristo” con cui salutò i fedeli alla sua elezione, senza dimenticare la scelta del nome.

A parte che informale è stretto parente di informe, e l’informe è la negazione stessa del reale oggettivo, questi gesti in favor di telecamera mettono l’accento sull’uomo Jorge Mario Bergoglio, giocando non del tutto lealmente sulla doppia natura di uomo e vicario di Cristo, eco minore del vero Uomo e vero Dio di Gesù, e insinuando l’idea che il papa sia uno de noantri. Sotto qualunque prospetto, ciò è assolutamente falso. Bergoglio è senza dubbio un uomo come noi. Il papa no.

Dunque il papa, non Bergoglio, abbandona una chiesa per entrare in un’altra. Fabio Fazio è stato più volte definito prete, per via dei toni flautati e il petulante moralismo che lo distingue da colleghi meno raffinati, e il suo Che tempo che fa è una sorta di messa laica di stampo progressista. Il papa entra nello studio della trasmissione come subordinato, come un fedele o un semplice curioso. Su chi sia il padrone di casa, infatti, non può esserci dubbio.

Sarà probabilmente Bergoglio a parlare di migranti, pedofilia nella Chiesa, l’omosessualità che va rivalutata come ha appena ricordato il cardinal Hollerich, l’immarcescibile invito a vaccinarsi fidandosi della Scienza, qualche sapida battuta ancora sulle benedette tasse e tutto l’armamentario dogmatico della Nuova Bibbia Umana. Sarà Bergoglio, come semplice uomo, a confessarsi e fare penitenza nella chiesa catodica. Sarà Bergoglio, non il papa. Ma il pubblico da casa vedrà il papa.

Tuttavia non è questo il fulcro della vicenda. Anche se Bergoglio dovesse benedire o pregare in diretta, e non penso lo farà per non urtare la sensibilità di ignoti spettatori, il gesto non deve ingannare: sarà Fazio a benedire il papa, non viceversa. Sarà Fazio a informare il papa attraverso le sue domande. Sarà Fazio che darà udienza al papa.

Si può constatare che la libertà sia stata, nel passato recente e remoto, il grimaldello per svuotare e avvilire principi spirituali, etici e politici antichi come l’uomo. Adesso vediamo stabilirsi un nuovo ordine fatto di dogmi come l’inclusione e la tolleranza, di imperativi come credere nella scienza, e di sanzioni ugualmente brutali contro i dissidenti, in una sorta di esaltazione talebana del transumano, delirio scomposto al quale perfino i chierici guardano con ammirazione. Se ne comprende bene il motivo: il nuovo spazio civile per reggere l’urto della Storia ha bisogno del sacro e dei suoi sacerdoti. Il fatto è che il nuovo credo è ben più intollerante di quello vecchio.

Un ordine nuovo nel quale, si badi bene, la libertà non serve più: ci pensano la Scienza, i Mercati e la Tecnologia. La consacrazione a questa nuova fede trova nello schermo il suo spazio sacro, coi suoi sacerdoti e i fedeli chiamati a bruciare il loro granello d’incenso in ginocchio, o comodi in poltrona mentre il celebrante pone dall’altare domande zuccherose. Da Diocleziano a Fazio cambia la gradevolezza, non il senso del tributo.

La spoliazione della figura ieratica attraverso l’occhio della telecamera– si pensi alle prime immagini di Leone XII in carrozza, per arrivare a Giovanni Paolo II, il primo papa personaggio mediatico a tutto tondo, o all’infelice apertura dell’account Twitter accettata da Benedetto XVI – e la riconsacrazione della stessa in un altro contesto secondo una liturgia orizzontale prelude, temo, a qualcosa di più grave. La definitiva messa in stato d’accusa di Dio. Il processo sommario e l’esecuzione. L’ennesima. Niente paura: è già successo, e non è finita come ci si aspettava.

Ha ragione papa Francesco a dire che non ci si salva da soli. Non perché siamo tutti fratelli sotto lo stesso cielo, né in virtù dello sforzo di cercare la pace, anch’essa dono divino, ma perché Dio stesso ci salva. Di per sé anzi, la pace di Dio sarebbe l’ultimo posto dove andare a curiosare, come sapevano bene i romani, e non di meno prendiamo atto che la sensibilità moderna è diversa. Rimane il fatto che insegnare ciò che è proprio di Dio è il compito di qualunque pontefice. Non lo è comunicarsi con i preti della nuova chiesa umanista.

 

 

 

 

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