Di seguito rilancio un acuto articolo di Andrea Gagliarducci scritto sul suo blog. Eccolo nella mia traduzione.

 

Papa Francesco (Foto AP Photo/Markus Schreiber)
Papa Francesco (Foto AP Photo/Markus Schreiber)

 

Papa Francesco ha vari metodi di governo, ma la tecnica di relativizzare il potere, o comunque di togliere il potere, è la sua più comune. Ogni volta che il Papa vuole prendere il controllo di certe situazioni, non cambia la gestione o avvia una riforma. In primo luogo, toglie potere e credibilità a coloro che ricoprono gli incarichi da riformare.

Negli ultimi tempi, questo metodo di governo è diventato sempre più visibile. L’esempio più chiaro riguarda il vicariato della diocesi di Roma. La riforma del vicariato, che accentra i poteri principalmente sul Papa, è arrivata al culmine di una serie di iniziative che hanno portato il Pontefice a cercare di spezzare ogni possibile catena di controllo interno. Ma, soprattutto, è arrivata al termine di una riflessione che ha portato il Papa a estromettere di fatto il suo vicario per la diocesi di Roma, il cardinale Angelo de Donatis.

Passo dopo passo, Papa Francesco ha fatto in modo che de Donatis fosse considerato un ausiliare come gli altri. Anche il “vice gerente”, che sarebbe il vice vicario, è un ufficio che il Papa ha lasciato vacante, poi ha dato a Mons. Palmieri, e poi ha lasciato di nuovo vacante mandando Palmieri come vescovo ad Ascoli. Solo con la riforma il Papa ha nominato un “vicegerente” nella persona di Baldassarre Reina, un giovane vescovo esterno al vicariato che era arrivato come vescovo ausiliare solo un anno prima.

E, nel più classico dei copioni, il vice ha assunto la gestione dell’operazione. Perché è stato Reina a convocare i parroci di Roma il 2 marzo proprio per discutere della riforma del vicariato, e sarà Reina a coordinare lavori che si preannunciano tesi e caratterizzati da un forte assenteismo. Nel frattempo, Papa Francesco ha nominato la commissione di vigilanza sugli aspetti finanziari del vicariato, organismo già previsto dalla riforma.

Papa Francesco ha fatto così in molti altri casi. Non appena vede una concentrazione di potere, il Papa si adopera per togliere il potere ai responsabili, anche accettando una delegittimazione.

Lo ha fatto in particolare con la situazione in Italia, testimoniando un sostanziale pregiudizio nei confronti del controllo italiano degli affari vaticani. Quando Papa Francesco voleva cambiare la presidenza della Conferenza episcopale italiana, aveva iniziato a incontrare il vicepresidente, l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, poi creato cardinale. Questa mossa mise in grande difficoltà l’allora presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco. Tuttavia, egli resistette fino alla scadenza, dimostrando di saper restare fermo.

E nel frattempo, Papa Francesco ha chiesto ai vescovi italiani di cambiare la regola, che prevede che sia il Papa a scegliere il loro presidente e segretario generale, per poi usare la facoltà di decidere in modo quasi brutale. Lo ha fatto, ad esempio, quando ha scelto il vescovo Nunzio Galantino come segretario dei vescovi, pur non comparendo in nessuna delle liste presentategli dai vescovi.

Il Papa toglie il potere anche semplicemente tagliandolo, come ha fatto con il cardinale Gerhard Ludwig Mueller, che è stato “congelato” da quando ha terminato il suo mandato quinquennale come prefetto del Dicastero della Dottrina della Fede; con l’arcivescovo Clemens, andato in pensione come segretario del Pontificio Consiglio per i Laici all’età di soli 69 anni (era il segretario di Benedetto XVI prima dell’arcivescovo Georg Gaenswein); e con l’arcivescovo Gaenswein, formalmente lasciato nella posizione di prefetto della Casa Pontificia ma in realtà impedito di usare il suo ufficio.

Un altro modus operandi di Papa Francesco è quello di nominare vescovi coloro che ritiene debbano essere suoi collaboratori o quando vuole rafforzare qualche posizione. È andata bene con Rolandas Mackrickas, commissario di Santa Maria Maggiore, che ha dovuto operare in una situazione finanziaria difficile. Ma, con l’episcopato, il Papa vuole togliere potere all’arciprete di Santa Maria Maggiore, rafforzare un commissario ed eventualmente prendere in considerazione riforme interne.

E proprio la scorsa settimana è emersa la notizia che anche il decano della Rota Romana, Alejandro Arellano Cedillo, sarà ordinato vescovo. Naturalmente, non è consuetudine che il decano della Rota sia un vescovo, anche se è già successo in passato. Colpisce comunque che non sia toccato al predecessore di Arellano, Pio Vito Pinto, che pure si era impegnato per dimostrare di essere in linea con il pensiero di Papa Francesco, sostenendo l’applicazione delle nuove norme sulla nullità matrimoniale.

Anche in questo caso, non è la prima volta. Tra i primi atti di governo di Papa Francesco c’è stata l’ordinazione episcopale di Victor Fernandez, allora rettore dell’Università Cattolica Argentina. Un’ordinazione che suonava come una vendetta perché il Papa aveva voluto Fernandez alla guida dell’Università Cattolica contro il parere della Congregazione per l’Educazione Cattolica, in particolare dell’allora segretario Jean-Louis Brugues, poi diventato Bibliotecario di Santa Romana Chiesa.

Non è un caso che Brugues non sia mai stato creato cardinale nonostante la sua posizione, mentre Tolentino Mendonça lo è stato, subito dopo essere stato nominato successore. Così come non è un caso che, in ogni lista cardinalizia, Papa Francesco includa cardinali ultraottantenni che possono essere considerati “cardinali di riparazione”. Sono i cardinali creati per dimostrare il disaccordo del Papa con alcune decisioni prese in passato e quindi creati per legittimare quelle opinioni che invece erano state emarginate.

Insomma, Papa Francesco sembra avere un linguaggio preciso del potere, che si nutre di gesti, di cappelli rossi e viola, di incarichi ufficiali quando non ce n’è bisogno, di potere tolto informalmente per non fare rumore.

Insomma, non è un Papa che agisce a caso. E forse dovremmo rassegnarci a perdere la patina di un Papa che pratica la sinodalità, perché Papa Francesco ha invece accentrato potere e decisioni. Certo, tutti i Papi sono re, ma pochi usano tutte le prerogative dei re. Papa Francesco lo fa. Questo non può essere negato.

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.


 

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