I penitenti non hanno un diritto assoluto all’assoluzione: devono soddisfare ciò che il sacramento stesso richiede per il perdono dei peccati.
Di seguito vi propongo un articolo del prof. John M. Grondelski, pubblicato su Crisis Magazine. Eccolo nella mia traduzione.
di John M. Grondelski
«A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Matteo 16,19)
Parlando a rettori e seminaristi dell’America Latina il 10 novembre, Papa Francesco ha esortato i futuri sacerdoti a esercitare il ministero della misericordia nel confessionale. Ma, mettendo da parte il discorso preparato, ha offerto alcune osservazioni ex tempore sul sacramento della Riconciliazione che sono risultate problematiche e meritano un commento.
Dopo il consueto attacco alla “rigidità” come camuffamento di “un vero marciume”, Francesco ha discusso il caso dei sacerdoti che rinviano l’assoluzione nel sacramento della Riconciliazione. Senza specificare meglio cosa avesse in mente, il Papa ha detto che è una sofferenza incontrare “persone che vengono a piangere perché sono andate a confessarsi e… hanno raccontato tutto. Se uno va a confessarsi perché ha fatto una, due, diecimila cose sbagliate… ringrazia Dio e le perdona!”.
E “se l’altro si vergogna” non bisogna picchiarlo: “E io non posso in peccato mortale, devo chiedere il permesso al vescovo….”. Questo succede, per favore! Il nostro popolo non può essere nelle mani di deliquenti! E un sacerdote che si comporta così è un delinquente, in tutto e per tutto. Che piaccia o no”.
Deliquenti può significare tutta una serie di cose, nessuna delle quali piacevole:
“delinquenti”, “mascalzoni”, ” teppisti” o “criminali”. Questo da un Papa che, nello stesso discorso, ha consigliato ai futuri sacerdoti di essere “vicini” al loro vescovo come a un “padre” e ha concluso con i suoi soliti ammonimenti contro i “pettegolezzi”.
Se fossi un sacerdote, esiterei a essere franco con un “padre” che pensa che io sia un deliquente. E dato che il Papa dice senza mezzi termini “se non avete il coraggio di dirgliele in faccia [al vescovo],… non ditele a qualcun altro”, sarò franco: dopo quasi dieci anni di pontificato, l’istruzione papale ad libertas (discorso estemporaneo, ndr) sta diventando sempre più distruttiva per la Chiesa.
Di cosa sta parlando Francesco? Non è chiaro. Il problema è forse quello dei sacerdoti che rinviano l’assoluzione? Supponendo che sia così, ci sono due situazioni in cui i sacerdoti rinviano l’assoluzione: quando il confessore si imbatte in un peccato riservato o ritiene che il penitente non soddisfi le condizioni necessarie per l’assoluzione.
I canoni 1370-1399 includono una serie di peccati che incorrono nella scomunica, tra cui quattro la cui assoluzione è riservata al permesso della Santa Sede (cioè del Papa). I peccati che comportano la scomunica riservati alla Santa Sede non sono probabilmente commessi dal penitente medio. Essi comprendono atti che contengono una particolare malizia morale: profanare l’Eucaristia, tentare di assolvere un complice in peccati contro il sesto comandamento, violare il sigillo della confessione o aggredire fisicamente il Papa.
Per commettere il secondo e il terzo bisogna essere sacerdoti, mentre gli altri due sono gravi sacrilegi. Alcuni altri peccati possono incorrere in scomuniche riservate al vescovo locale ma, ad eccezione dell’aborto, non sono probabilmente comuni. Nel caso dell’aborto, data la sua sfortunata frequenza, molti vescovi hanno concesso ai sacerdoti facoltà permanenti per togliere la scomunica e assolvere il peccato. La Chiesa vuole riportare a Dio le donne che hanno abortito, ma vuole anche sottolineare la gravità di un atto che il Vaticano II ha definito un “crimine indicibile” (Gaudium et spes, 51).
La Chiesa riserva l’assoluzione di alcuni peccati non perché sia “rigida” o “giudicante”, ma per sottolineare la gravità di quegli atti, siano essi infrequenti o addirittura frequenti: usare il confessionale per sollecitare rapporti sessuali o ottenere un aborto sono colpe morali gravi, anche se il penitente non riconosce il peccato come tale.
Per quanto riguarda il confessore che giudica se un penitente ha le disposizioni necessarie per l’assoluzione, la questione non è nemmeno di diritto canonico, ma di teologia sacramentale di base. Per ricevere validamente il sacramento della Riconciliazione devono essere soddisfatte alcune condizioni. Un penitente che nasconde deliberatamente un peccato mortale in confessione, che manca di contrizione o che non mostra un fermo proposito di emendarsi allontanandosi dalle occasioni di peccato vicine non può essere assolto. Questo non perché lo dice il sacerdote o addirittura il Papa, ma perché la persona manca di un elemento necessario per essere perdonata.
Si può immaginare forse che il tipo di caso che il Papa aveva in mente è quello di persone che riconoscono, ad esempio, che vivere in un secondo matrimonio dopo il divorzio viola l’insegnamento di Gesù sull’adulterio, ma che non rinunciano a comportarsi come un coniuge (cioè ad avere rapporti sessuali) in quel secondo matrimonio non valido. Un penitente di questo tipo non può ricevere l’assoluzione non perché il confessore sia “rigido”, ma perché il penitente vive in uno stato oggettivo di peccato mortale che non vuole abbandonare. Nemmeno Dio può perdonare un peccatore che non vuole rinunciare a un peccato.
Le disposizioni necessarie per un’assoluzione valida derivano dalla natura stessa del sacramento: essere veramente addolorati per il peccato significa allontanarsi dalle situazioni che facilitano la commissione di quel peccato. Se non voglio uscire dalla situazione, voglio continuare a peccare.
Allora, che cosa ha in mente il Papa? Si tratta di un’invocazione a posteriori di una certa lettura di Amoris laetitia, in particolare del n. 243? Non è chiaro perché le osservazioni del Papa sono state spontanee. Ma su questioni di tale importanza, sia i fedeli che i sacerdoti hanno il diritto di aspettarsi una maggiore chiarezza rispetto a commenti fuori dalle righe.
Se sta insinuando che il sacerdote dovrebbe accettare il giudizio di un penitente sul fatto che qualcosa che sta facendo sia o meno un peccato, allora si tratta di un falso concetto di coscienza. La coscienza va rispettata, ma la coscienza può essere in errore. Il compito del confessore è quello di correggere le coscienze errate, non di lasciarle nell’errore.
I penitenti non hanno un diritto assoluto all’assoluzione: devono soddisfare ciò che il sacramento stesso richiede per il perdono dei peccati. Questo è ciò che la Chiesa ha sempre inteso quando parla del ruolo del sacerdote nel confessionale come di un judex, un “giudice”. Il confessore deve stabilire – deve “giudicare” – se un penitente è veramente penitente.
Cristo stesso ha dato ai sacerdoti questa responsabilità. Questo saggio si apre con la citazione di Matteo 16,19, dove Gesù dice esplicitamente a Pietro che ha la responsabilità di legare e sciogliere, non solo la seconda. Anche gli altri due testi tradizionalmente associati all’istituzione del sacramento della Penitenza – Matteo 18,18 e Giovanni 20,23 – invocano esplicitamente il compito giudicante di “rimettere o trattenere” i peccati in base alla disponibilità del peccatore determinata dal confessore.
Il confessore deve essere discreto quando non può assolvere immediatamente un penitente. Il fatto che il penitente sia nel confessionale dimostra la buona volontà, e non si deve spegnere uno stoppino fumante (Isaia 42:3). Ma il confessore deve anche essere sincero, non lasciando il penitente nel peccato, ma aiutandolo ad avviarsi verso la vera e necessaria conversione. Per questo Bernard Häring, che non è un moralista “rigido”, consigliava ai sacerdoti di parlare di “rinvio” dell’assoluzione mentre lavoravano per portare il penitente al giusto pentimento.
Questo è un vero accompagnamento pastorale. I sacerdoti che lo fanno non meritano di essere insultati.
Questa storia ha avuto poca copertura negli Stati Uniti: due fonti abituali, Catholic News Agency e America, hanno riportato l’evento ma hanno omesso le osservazioni sulla confessione. Ciò che trovo inquietante, tuttavia, è che il servizio di informazione del Vaticano stesso le abbia citate. È quindi lecito chiedersi: cosa intende il Papa e può essere conciliato con la teologia sacramentale e il diritto canonico?
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