peste Manzoni Milano

La peste di Milano del 1630 nel romando I promessi sposi di Alessndro Manzoni

 

 

di Ines Murzaku

 

Con l’Italia in isolamento nel tentativo di rallentare la diffusione del mortale, novello coronavirus, mi viene in mente il romanzo storico di Alessandro Manzoni I Promessi Sposi, uno dei preferiti di Papa Francesco.

“In tempi di pandemia”, ha detto papa Francesco domenica scorsa, poco prima di recitare l’Angelus, “i sacerdoti non devono essere il don Abbondio della situazione”. Si trattava di un riferimento a un grande antagonista della storia di Manzoni, che descrive la pestilenza del 1630, che per coincidenza era concentrata nel Nord Italia. Questa peste decimò il luogo di nascita del Manzoni, Milano, che fino ad allora era stata una delle città più densamente popolate d’Italia. Il Manzoni descrive l’immensa sofferenza umana a causa della carestia: “ad ogni passo si incontravano mendicanti pallidi ed emaciati, o invecchiati nel commercio, o ridotti dalla necessità dei tempi a chiedere l’elemosina” e la guerra, avvenuta esattamente due anni (1628-1629) prima che l’epidemia mortale colpisse Milano.

L’epidemia si diffuse in Lombardia con il passaggio delle truppe tedesche in viaggio per assediare la città di Mantova: gli effetti furono devastanti. Nel 1630 l’epidemia si diffondeva a Milano e faceva vittime in ogni angolo di Milano. I malati venivano raccolti nel lazzaretto (ospedale dove i malati erano segregati alla periferia di Milano), che fino ad allora era stato solo un deposito di merci sospettate di trasmettere il contagio, come spiega il Manzoni. Il numero dei malati del lazzaretto crebbe esponenzialmente da 2.000 a più di 12.000 quando la peste raggiunse il suo apice nei caldi mesi di luglio e agosto del 1630. I padri cappuccini che si occupavano delle persone del lazzaretto erano gli eroi di Bergoglio.

La Chiesa nel romanzo storico del Manzoni, oltre ad essere un’istituzione divina perché fondata da Gesù Cristo, è anche umana, fallendo e cadendo nel tempo della pestilenza. La Chiesa è fatta di peccatori, anche consacrati e consacrate, che, come ogni membro del Corpo mistico di Cristo, sono chiamati alla conversione. Il clero nella penna del Manzoni è privo di virtù.

Alcuni, come il già citato don Abbondio, che fa fatica ad andare contro i capricci dei ricchi e dei potenti, furono fatti sacerdoti non per vera vocazione ma per convenienza e per il desiderio di una vita comoda. I frati cappuccini, seri nella loro vocazione religiosa, sono sul campo di battaglia, aiutando la gente di Milano che soffre la peste. Frati come padre Felice Casati, che si occupava della gente del lazzaretto, sono gli eroi di Papa Francesco. Il “frate ammirevole”, come lo chiama il Manzoni nel romanzo, è in prima linea sul campo di battaglia, elevando il morale delle persone ai margini che combattevano contro una malattia mortale e che erano state abbandonate dai loro familiari e amici per paura del contagio. Padre Felice era con loro, a servire e ad elevare il loro morale nella letterale periferia del lazzaretto:

Ed ecco arrivare il padre Felice, scalzo, con quella corda al collo, con quella lunga e pesante croce alzata; pallido e scarno il viso, un viso che ispirava compunzione insieme e coraggio; a passo lento, ma risoluto, come di chi pensa soltanto a risparmiare l’altrui debolezza; e in tutto come un uomo a cui un di più di fatiche e di disagi desse la forza di sostenere i tanti invece i necessari e inseparabili da quel suo incarico. (Non tradotto dall’inglese, ma ripreso dal testo originale del Manzoni, ndr)

La Chiesa era ottagonale in mezzo al lazzaretto e serviva senza sosta i sofferenti. L’omelia di padre Felice è spettacolarmente edificante per “il pavimento delle teste” dei malati che lo seguono:

Benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! Benedetto nella morte, benedetto nella salute! Benedetto in questa scelta che ha voluto far di noi! Oh! Perché l’ha voluto, figlioli, se non per serbarsi un piccolo popolo corretto dall’afflizione, infervorato dalla gratitudine? Se non a fine che, sentendo ora più vivamente, che la vita è un suo dono, ne facciamo quella stima che merita una cosa data da Lui, l’impieghiamo nell’opere che si possono offrire a Lui? Se non a fine che la memoria de’ nostri patimenti ci renda compassionevoli e soccorrevoli ai nostri prossimi? (Non tradotto dall’inglese, ma ripreso dal testo originale del Manzoni, ndr)

Ed ecco la definizione del sacerdote sul campo di battaglia, ecco il sacerdote che piace a Bergoglio:

Per me,  – disse [padre Felice], – e per tutti i miei compagni, che, senza alcun nostro merito, siamo stati scelti all’alto privilegio di servire Cristo in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo degnamente adempito un sì grande ministero. Se la pigrizia, se l’indocilità della carne e ci ha resi men attenti alle vostre necessità, men pronti alle vostre chiamate; se un’ingiusta impazienza, se un colpevole tedio ci ha fatti qualche volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo; se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi, ci ha portati a non trattarvi, se la nostra fragilità ci ha fatti trascorrere a qualche azione che vi sia stata di scandalo; perdonateci! Così Dio rimetta a voi ogni vostro debito, e vi benedica -.E, fatto sull’udienza un gran segno di croce, s’alzò. (Non tradotto dall’inglese, ma ripreso dal testo originale del Manzoni, ndr)

Padre Felice, il sacerdote del lazzaretto, è uno dei curas villeros (preti dei bassifondi, ndr) di Francesco; Padre Felice è probabilmente uno dei motivi per cui I Promessi sposi è il romanzo preferito di Francesco. All’inizio di questa settimana, camminando per le strade di Roma e poi pregando nella Basilica di Santa Maria Maggiore e nella Chiesa di San Marcello, “dove ha pregato davanti a un crocifisso che fu usato in processione quando la peste colpì Roma nel 1522”, Francesco si è comportato come un Francesco imprevedibile e con le sue priorità fissate su coloro che soffrivano, specialmente quelli delle periferie; in questo caso, la gente di Roma in quarantena. “Ho chiesto al Signore” – ha detto in un’intervista sul suo breve pellegrinaggio – “di fermare l’epidemia: ‘Signore, fermala con la tua mano’. Questo è ciò per cui ho pregato…”.

 

(Pubblicato su Catholic News Report. La traduzione è a cura di Sabino Paciolla)

 

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