Zarish Imelda Neno, 30 anni, vive a Lahore, Pakistan. Ha studiato a Roma nel 2013 nella facoltà di Scienze religiose presso la Pontificia Università Urbaniana. È fondatrice di un centro d’istruzione, il Jeremiah Education Centre (a Faisalabad, Pakistan), che aiuta nella prima istruzione i bambini cristiani appartenenti a famiglie povere del suo paese. È anche coordinatrice della sezione pachistana di Steadfadt ONLUS. Zarish ci segue dal Pachistan. Ci ha inviato questo articolo, che volentieri pubblichiamo, per raccontarci la dura vita dei cristiani in quella terra.
Questo è il mio secondo articolo in questo mese sul tema delle condizioni dei cristiani in Pakistan. Non è facile parlare di questo argomento. In effetti, la prima cosa che sento quando inizio a scrivere è la paura. Ma non ho mai permesso che essa mi impedisca di scrivere sulle nostre condizioni perché credo che la nostra testimonianza possa sempre aiutare gli altri a crescere forti nella loro fede. Quindi eccomi qui, condividendo con voi ciò che mi è possibile, nei limiti stabiliti.
In questi ultimo anni la situazione dei cristiani in Pakistan è peggiorata e continua a peggiorare ogni giorno che passa e la cosa triste è che nessuno in occidente fa nulla per impedire che ciò accada. Il massimo che viene fatto per noi sono le veglie di preghiera che certamente apprezziamo molto ma a volte desideriamo che ci sia anche qualcosa di più concreto che ci aiuti nelle difficoltà che attraversiamo, perché credetemi la nostra vita non è facile.
Immaginate dunque di vivere nella costante paura di perdere la vita in qualsiasi momento; immaginate di camminare su un campo minato e solo un passo sbagliato potrebbe far esplodere una bomba e farti morire. Ecco cosa significa essere cristiani in Pakistan. Ricordo quante volte il rumore dei fuochi d’artificio mi ha spaventato a morte. Non sai mai quando qualcosa di grave può accadere a te o a qualcuno dei tuoi cari. Questa è la vita dei cristiani in Pakistan.
Oltre alla morte improvvisa che può arrivare attraverso attacchi terroristici, c’è sempre la paura di essere arrestati e processati anche senza aver fatto qualcosa, tutto questo grazie alle leggi sulla blasfemia che vengono spesso usate per accusarci falsamente di aver fatto quello che non abbiamo mai nemmeno pensato di fare.
Secondo queste leggi, qualcuno può facilmente accusare l’altro per blasfemia e non c’è bisogno di un testimone come prova. Sorprendentemente, la maggior parte delle volte queste leggi vengono utilizzate per accusare falsamente le minoranze e vendicarsi di esse. E se queste leggi non erano abbastanza ora c’è una nuova proposta di legge in corso. La legge Ehtram-e-Ramadan (tradotto ‘Rispetto per Ramadan’), che è attualmente in attesa dell’approvazione nel parlamento, e che ha suscitato molte polemiche in Pakistan mentre i musulmani di tutto il paese stanno osservando Ramadan (il mese del digiuno). La norma di questa legge mira a punire chiunque venga trovato a mangiare e/o fumare in pubblico durante il Ramadan e impone anche tre mesi di reclusione a coloro che violano tali restrizioni. Quelli che sostengono questa norma di legge dicono che è imposta solo ai musulmani che dovrebbero digiunare. I cristiani evidenziano invece che ogni anno durante il mese di Ramadan molti non musulmani sono soggetti ad abusi verbali, arresti e soffrono violenze da parte della polizia morale perché mangiano o bevono in pubblico. Invece di essere ascoltati, la risposta che hanno ricevuto da parte dei sostenitori del divieto è “dovete rispettare le nostre credenze”. Cioè pian piano ci stanno costringendo a comportarsi come loro.
Sfortunatamente per i cristiani in Pakistan, le angherie e i soprusi non finiscono con i casi segnalati. Molti casi non vengono neanche denunciati nè sono presi in considerazione dalle autorità; tanti casi di ingiustizia quotidiana non vengono nemmeno messi in evidenza perché sono diventati una norma nella nostra società. È normale che molti lavori vengano rifiutati a causa della nostra identità cristiana. È normale essere trattati in modo diseguale nelle scuole e nelle università. È normale essere chiamati con nomi offensivi per strada. È normale essere molestati e insultati e invitati, mentre ci deridono, a convertirci all’Islam. E questo perché siamo cristiani.
Zimran, 20enne, racconta di un fatto che gli è successo mentre tornava a casa dall’università in un risciò. Mentre lui era seduto dietro, l’autista del risciò, vedendo il suo libro, ha cercato di coinvolgere Zimran in una conversazione chiedendo se si stesse preparando per gli esami. L’autista gli chiese di convertirsi all’Islam perché così lui avrebbe avuto successo negli esami e nelle imprese future. Zimran avrebbe voluto dare una risposta all’autista, ma decise di tacere temendo per le conseguenze che avrebbe potuto subire se le sue parole avessero fatto arrabbiare l’autista. Comunque, quella non era la prima volta che Zimran ha dovuto mantenere il silenzio riguardo la questione della sua conversione. Spesso sente dentro di sè la rabbia e la frustrazione per l’impossibilità di esprimere liberamente il suo pensiero in queste situazioni.
È fin troppo facile ed è già successo che si accusi falsamente una persona per blasfemia, col risultato che una folla inferocita si raccolga per porre fine alla vita dell’accusato senza un arresto o un processo.
Chiaramente le condizioni in cui sono costretti a vivere i giovani cristiani Pakistani, impossibilitati a manifestare apertamente i propri pensieri e la propria fede li portano ad una frustrazione e ad una rabbia che non trova sbocco. Si sentono estranei nel loro paese, nel paese dove sono nati e crescuiti e che amano.
Siamo anche discriminati per la nostra fede nei posti di lavoro. Lavori dove ci viene rifiutata dell’acqua per il solo fatto che siamo cristiani. Lavori per i quali un dottore rifiuterebbe di visitarci perché ritenuti sporchi. Lavori dove i nostri piatti, i nostri bicchieri ed i nostri attrezzi di lavoro sono tenuti separati dagli altri. Asia Bibi è un esempio di questi casi.
Avete sentito parlare di attacchi terroristici contro i cristiani. Ma vi dico che la persecuzione non è solo fisica ma anche psicologica, il che è molto peggio. E queste discriminazioni sono solo alcuni esempi di ciò che succede.
Le nostre donne cristiane sono oggetto di continua violenza fisica anche da parte dei loro datori di lavoro. Non sono tutelate in alcun modo e nessuno può alzare la voce in loro favore per aiutarle e salvarle da questa condizione. L’unica alternativa per loro è subire in silenzio, che è l’unica soluzione di fronte alle violenze che ricevono. Purtroppo anche i ragazzi cristiani vengono accusati e insultati, anche dalla polizia, e nessuna autorità indaga o interviene sulle molestie che subiscono. E a tutt’oggi non sono ancora stati rilasciati, ne si sa dove sono, i giovani cristiani arrestati dalla polizia dopo l’attentato kamikaze effettuato nella chiesa di Youhanabad del 15 marzo 2015. Nessuno ha fatto nulla o quasi per trovarli. Per qualsiasi incidente accaduto ai cristiani, il responsabile non è mai stato punito. Il caso dei coniugi Shama e Shahzad Masih che sono stati bruciati vivi nella fornace di mattoni; ‘Joseph Colony’ un quartiere cristiano che è stato bruciato da una folla inferocita; Sajid Masih che si è buttato dal 4° piano in segno di protesta quando la polizia dopo aver arrestato lui e suo cugino, la polizia li ha molestati chiedendo a Sajid di fare sesso orale con suo cugino; la ragazza Asma Yaqoob, morta a causa dell’acido che le è stato gettato addosso perché rifiutava di sposare un ragazzo musulmano sono solo alcuni esempi delle violenze che i cristiani subiscono. Nessuno di questi casi ha mai ottenuto giustizia finora. Al contrario, quando un cristiano viene accusato, anche per accuse minori, deve affrontare lunghi processi nei tribunali. Mi domando, in quale altra parte del mondo avvengono tali ingiustizie? Questo succede solo in Pakistan!
E nonostante tutti gli sforzi compiuti dalle religioni sul dialogo interreligioso, non c’è stato alcun miglioramento significativo nella vita delle minoranze che continuano a subire vessazioni e ingiustizie quotidiane.
Indipendentemente dalle discriminazioni e dalle persecuzioni che affrontiamo non ci vergogniamo della nostra identità cristiana. Ci sentiamo orgogliosi di essere seguaci di Cristo e siamo disposti ad affrontare ogni sorta di discriminazione perché Cristo stesso disse «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Giovanni 15,18). Allora, nulla ci impedisce di vivere la nostra fede cristiana e anche se il rischio di perdere la nostra vita in qualsiasi momento è sempre presente, noi continuiamo a chiamare Cristo nostro Signore e Salvatore e testimoniare la nostra fede in lui. La persecuzione anche con i suoi effetti negativi continua a rafforzarci nella nostra fede e siamo sicuri che Dio ci ricompenserà. Crediamo fortemente nella promessa che Gesù ha fatto durante il suo Sermone sul Monte Tabor quando disse: «beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Matteo 5, 11-12).
Continuiamo ad essere la luce del mondo che non può stare nascosta. Facciamo risplendere la nostra luce davanti agli uomini perché possano vedere le nostre buone opere e rendano Gloria al nostro Padre che è nei cieli (Cfr. Matteo 5,14-16).
Chiediamo a voi fratelli, che vivete nell’opulenza del mondo occidentale, di continuare a pregare per noi e, per quel che potete, di impegnarvi affinché anche noi possiamo esprimere liberamente la nostra fede così come è promesso ai musulmani che arrivano da voi. Nel rispetto reciproco.
di Zarish Imelda Neno
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