Dall’articolo del prof. Lugaresi riprendo la parte che più interessa in questo momento. Tralascio quanto abbiamo già trattato su questo blog. 

 

vescovi

 

Vivere da cristiani in questo mondo non è mai stato facile. Semplice sì, facile mai. Neppure in quei christiana tempora di cui talvolta si favoleggia. Però una volta le difficoltà, almeno qui da noi in Italia, erano essenzialmente di ordine personale. Per vivere da cristiano ognuno doveva fare la fatica di sciogliere la propria durezza di cuore, vincere il proprio attaccamento al vizio e praticare in prima persona le virtù cardinali e teologali. Poteva anche essere durissima, ma la società e lo stato, in quanto tali, non ponevano ostacoli particolari a tale cammino. Anzi, vi sono stati momenti nel passato in cui si può dire che l’ambiente sociale addirittura favorisse, in qualche misura, la pratica delle virtù cristiane, quantomeno evitando di fomentare come oggi i vizi contrari ad esse.

Quella condizione è finita ormai da molto tempo: vivere da cristiani è culturalmente e socialmente difficile anche in Italia ormai da diversi decenni e la tendenza si è progressivamente accentuata. Fino a poco fa, tuttavia, non era ancora politicamente scomodo e giuridicamente pericoloso. Le cose però stanno rapidamente cambiando, anzi sono già cambiate. È giunta l’ora, ed è questa, in cui vivere da cristiani comporterà sempre di più dei rischi politici e legali. Il disegno di legge Zan, in questo senso, è solo il tassello di un’operazione più ampia, ma ha un valore simbolico inequivocabile. Le leggi anticristiane (e perciò disumane) del recente passato, come ad esempio quella sull’aborto, erano state emanate in un contesto in cui ancora il principio dell’obiezione di coscienza veniva comunemente accettato, perciò non obbligavano a comportamenti incompatibili con la fede. Il che, sia detto per inciso, ha permesso a molti cattolici di non opporvisi trincerandosi stoltamente nell’alibi dell’ «io non lo farò mai, ma non posso impedire agli altri eccetera eccetera». Non sarà più così. È giunta l’ora, ed è questa, in cui pratiche contro la vita umana e insegnamenti incompatibili con la verità sull’uomo saranno invece resi obbligatori e il libero esercizio del diritto di criticare il “pensiero unico” sarà coartato. Pena la galera.

Mentre le chiese di Francia vanno a fuoco, incendiate dai nemici della croce di  Cristo – a quattro anni dal martirio di quel padre Hamel che per primo rese di nuovo cruento, in una terra che fu cristiana, il sacrificio di Cristo sull’altare! – anche in Italia si avvicina il giorno in cui occorrerà di nuovo coraggio – coraggio fisico, intendo – per vivere da cristiani. Occorrerà a tutti, naturalmente, perché potrebbe toccare a ciascuno di noi di dover scegliere tra la fedeltà a Cristo e conservare il posto di lavoro o evitare il carcere. Ma occorrerà soprattutto a voi, cari vescovi italiani. Perché vedete, noi semplici fedeli siamo pecore e voi siete pastori. In quanto pecore, per definizione noi di coraggio ne abbiamo poco; per giunta siamo pecore italiane, per nulla abituate ad essere sbranate. Ora, fintanto che c’è un ovile, per quanto sgangherato, e un gregge, per quanto sparuto, noi pecore abbiamo dei diritti: anzitutto quello che voi pastori ci dimostriate e ci infondiate coraggio. Perché i pastori siete voi, e il grave dovere di dare la vita per le pecore incombe su di voi. Non siamo stati noi a caricarvelo sulle spalle, né siamo stati noi a eleggervi pastori. Vi tocca, c’è poco da fare.

Mi pare che voi, nelle attuali circostanze, siate molto prudenti e molto preoccupati di raccomandare (o imporre) prudenza alle pecore. Benissimo, avrete le vostre ragioni e io non pretendo di conoscerle né tantomeno di discuterle. 

(…) Anche i primi cristiani erano prudenti e cercavano finché potevano di scampare alla morte, ma quando erano posti davanti all’alternativa se sacrificare all’imperatore o morire sapevano che cosa bisognava fare.

Noi pecore, come ho detto, siamo spaventate. Quando sarà il momento, ci sarebbe di gran conforto, cari pastori, vedere qualcuno di voi andare serenamente in prigione per non sottostare ad una legge ingiusta.

 

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