di Gianni Silvestri
Stiamo tutti ammirando i medici, infermieri e personale sanitario che stanno combattendo a rischio della propria vita e salute, per salvare altre vite.
Perchè lo fanno? Per obblighi di lavoro ci verrebbe da pensare: sì, ma non basta.
Se fosse solo per un obbligo giuridico di lavoro sarebbe facile evitarlo, mettendosi in malattia o aspettativa, o rifiutando di fare eccessivi straordinari, o rifiutando di andare in un luogo di lavoro non protetto (scarse mascherine e dispositivi di protezione anche in Ospedali), un pò come si stanno rifiutando di lavorare gli operai delle fabbriche per i rischi esistenti.
Ecco perchè il personale sanitario sta andando oltre il proprio dovere, spinto dalla responsabilità di salvare vite, di aiutare i più deboli.
Il termine responsabilità ha origine dal verbo latino “respondeo” che tra i suoi siginficati ha: “rispondere ad una chiamata”, io lo interpreterei “rispondere a qualcuno, del proprio comportamento”.
MA LA RESPONSABILITA’ E’ SOLO DEI SANITARI?
CHI DEVE RISPONDERE A CHI?
Questo “rispondere a qualcuno” (base di ogni responsabilità), deve farci interrogare anche sulla responsabilità di noi cristiani.
Noi sappiamo di essere anime immortali che vivono in un corpo (che risorgerà anch’esso), per cui ogni persona non ha solo i bisogni materiali- sanitari, ma anche spirituali, e sono i più importanti. Il nostro benessere spesso dipende in misura maggiore dal nostro stato spirituale, come dimostra la circostanza che solo l’essere umano- tra le specie viventi- ha una spiritualità che vive momenti di crisi. E se l’essere umano sta male spiritualmente “entra in depressione”, a volte addirittura si suicida (atto errato, ma segno della maggior importanza del dato spirituale, persino su quello fisico).
Noi cristiani lo sappiamo; per questo da secoli la dottrina e la pastorale ricordano a tutti non solo le opere di misericordia corporali, ma anche quelle spirituali. che segnano la nostra responsabilità verso i nostri fratelli.
ANCHE NOI CRISTIANI (PIU’ DEI SANITARI) ABBIAMO RESPONSABILITA’, ADDIRITTURA MAGGIORI
in quanto la perdita della la vita terrena è ben poca cosa rispetto alla perdita della vita eterna. Per questo l’assistenza e la vicinanza spirituale, la preghiera e l’Eucarestia non sono solo “farmaci terreni”, ma farmaci che hanno effetto per la vita futura, che non passa.
La responsabilità verso il nostro fratello risale agli albori dei rapporti umani e del rapporto dell’uomo con Dio, che già a Caino chiedeva conto della vita del fratello Abele.
Sembra quasi inutile, tanto appare scontato, soffermarsi sulla nuova legge dell’Amore consegnataci nel Nuovo testamento da Cristo stesso, che pone il nostro prossimo alla nostra stessa stregua.
MA, SI DICE:” LA LEGGE LIMITA LE ATTIVITA’, NELL’INTERESSE DI TUTTI”.
Lo Stato deve pensare ai propri fini di protezione del popolo e della sua vita fisica e materiale, ed i cristiani, da buoni cittadini, devono collaborare; ma i cristiani non possono essere solo dei buoni cittadini, limitandosi al rispetto delle leggi dello Stato; i cristiani devono andare oltre e ricordare che c’è una loro responsabilità anche per la vita spirituale, propria e dei fratelli; essi sono tenuti al rispetto non solo delle regole civili, ma anche delle più alte regole morali e religiose. Può essere una comoda scorciatoia, “nascondersi” dietro la legge civile, senza interrogarsi sulle nostre responsabilità personali che, partendo dalla legge dello Stato, devono superarla: partendo dalla giustizia noi dobbiamo testimoniare la Carità.
Senza andare a scomodare il secolare conflitto sulla prevalenza della legge naturale su quella legge positiva dello Stato, ognuno dovrebbe ricordare che per noi cristiani la legge e la sua giustizia – se moralmente corrette- rappresentano il livello minimo della Carità, che invece vola più alto, sino al dono di sé, sino al martirio. (nella giustizia infatti rendiamo al prossimo ciò che è suo, mentre nella carità gli diamo ciò che è nostro). Se la giustizia resta una virtù morale, parte dell’ordine naturale (e quindi limitato al piano umano), la carità è la prima delle virtù teologiche, che investono l’ordine soprannaturale, quindi avente origine nel rapporto con Dio.
In questo periodo, per inciso, notiamo con dolore che hanno sospeso le messe senza alcuna apparente resistenza, quasi con un senso di gratitudine verso la legge dello Stato che ha giustificato ogni eventuale pavidità, ha evitato di interrogarsi sul ciò che si sarebbe dovuto fare come cristiani, che devono rispondere, sì alla legge dello Stato, ma andare oltre, verso la legge dell’Amore. (e questo senza nemmeno considerare la possibilità se lo Stato potesse limitare la libertà religiosa (diritto costituzionale) o modificare unilateralmente il Concordato ed i suoi allegati (come evidenziato dalla sempre brava Costanza Miriano).
Su questo crinale inclinato, della dimenticanza “dei diritti di Dio” oltre che dei fedeli, ieri hanno persino chiuso le chiese a Roma, impedendo anche ai (pochi) fedeli di inginocchiarsi dinanzi al Santissimo (salvo poi accorgersi dell’errore e riaprirle il giorno dopo). In Polonia invece i vescovi, per evitare assembramenti, hanno deciso al contrario di aumentare le messe, con una soluzione che preserva le esigenze civili con quelle della fede. Evitiamo dunque di nasconderci dietro le legge degli uomini, Cristo ci ricorda che Cesare non può pretendere tutto, ma che dobbiamo dare a Dio ciò che è di Dio.
Cristo infatti chiede di più ai suoi discepoli, di ogni tempo:
“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e farisei,
non entrerete nel Regno dei cieli”:
In pace.
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