Degli antiinfiammatori per combattere la COVID-19 abbiamo parlato un anno fa e, ad esempio, riguardo il prof. Remuzzi qui e qui. Qualche giorno fa il Corriere della sera sembra abbia fatto la proverbiale “scoperta dell’America” battendo la notizia di uno studio pubblicato su Lancet sulla efficacia degli antinfiammatori non steroidei se usati nelle prime fasi della malattia COVID-19, con una riduzione della ospedalizzazione del 90%. Che poi sono la base delle cosiddette terapie domiciliari che abbiamo sempre sostenuto e che sono state utilizzate sin dal febbraio 2020 dai pochi coraggiosi medici sul campo, ma che il Ministero della Sanità ha nella prima fase snobbato. Utilizzando le terapie domiciliari e non intasando gli ospedali quanti morti si sarebbero potuti evitare? Qualcuno dovrebbe indagare e qualcuno dovrebbe rispondere. Su questo blog abbiamo convintamente pubblicato centinaia di articoli sulle terapie domiciliari (qui e qui).
Lo studio è stato firmato dal prof. Giuseppe Remuzzi (direttore dell’Istituto Mario Negri), Norberto Perico (Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, IRCCS, Bergamo), Monica Cortinovis (Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, IRCCS, Bergamo), Prof. Fredy Suter (Azienda Socio-Sanitaria Territoriale (ASST) Papa Giovanni XXIII, Bergamo). Dello studio riporto la sintesi e le conclusioni nella mia traduzione.
Giusto per memoria, guardate il memorabile scontro del dott. Stramezzi con il Prof. Pregliasco sugli antiinfiammatori.
Sintesi
La COVID-19, causata dal SARS-CoV-2, è caratterizzata da un ampio spettro di gravità dei sintomi che richiede cure diverse a seconda delle diverse fasi della malattia. Intervenire all’esordio dei sintomi della COVID-19, da lievi a moderati, in ambito ambulatoriale offrirebbe l’opportunità di prevenire la progressione verso una malattia più grave e le complicazioni a lungo termine. Poiché i primi sintomi della malattia riflettono in modo variabile una risposta infiammatoria eccessiva all’infezione virale, l’uso di farmaci antinfiammatori, in particolare di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), nella fase iniziale ambulatoriale della COVID-19 sembra essere una valida strategia terapeutica. Alcuni studi osservazionali hanno testato i FANS (soprattutto gli inibitori relativamente selettivi della COX-2), spesso come parte di protocolli multifarmacologici, per il trattamento ambulatoriale precoce della COVID-19. I risultati di questi studi sono promettenti. I risultati di questi studi sono promettenti e indicano un ruolo cruciale dei FANS per la gestione a domicilio delle persone con sintomi iniziali di COVID-19.
Discussione e conclusioni
Sono state proposte diverse raccomandazioni su come trattare a casa le persone affette da COVID-19 con sintomi lievi o moderati, a partire dall’uso di farmaci antinfiammatori. I principali FANS raccomandati sono gli inibitori relativamente selettivi della COX-2, l’indometacina, l’ibuprofene e l’aspirina, spesso come parte di un protocollo multifarmacologico. Alcune raccomandazioni suggeriscono il paracetamolo come terapia sicura per la gestione precoce del dolore e della febbre nelle persone affette da COVID-19 . Tuttavia, bisogna considerare che (oltre a essere un farmaco antinfiammatorio trascurabile) a dosi relativamente basse il paracetamolo riduce le concentrazioni plasmatiche e tissutali di glutatione, il che potrebbe esacerbare la COVID-19. Pochi ricercatori hanno formalmente testato le raccomandazioni proposte per i pazienti ambulatoriali con COVID-19 sintomatica attraverso studi osservazionali, anche se quelli che lo hanno fatto mostrano risultati incoraggianti. In particolare, i risultati dei nostri studi hanno corroborato le raccomandazioni del protocollo terapeutico per il trattamento ambulatoriale precoce della COVID-19 che abbiamo proposto in precedenza sulla base delle crescenti conoscenze sulla fisiopatologia alla base dei sintomi da lievi a moderati riscontrati all’esordio della malattia (figura 3). Queste raccomandazioni terapeutiche si basano su tre pilastri: intervenire fin dall’inizio dei sintomi a domicilio; iniziare la terapia il più presto possibile dopo che il paziente è stato contattato dal medico di famiglia (senza attendere i risultati di un tampone nasofaringeo); affidarsi ai FANS, in particolare agli inibitori della COX-2 relativamente selettivi (tabella 2). La sovrapposizione della selettività COX-2 tra celecoxib e nimesulide è stata la motivazione per raccomandare questi due farmaci per il trattamento ambulatoriale precoce dei sintomi della COVID-19 (tabella 2). Aspirina o ibuprofene sono i trattamenti alternativi a questi inibitori della COX-2 relativamente selettivi, se questi inibitori della COX-2 non sono disponibili o se sono evidenti segni di tossicità o controindicazioni a questi farmaci in base alle caratteristiche cliniche e all’anamnesi del paziente. Il trattamento con FANS deve proseguire per 3-4 giorni, ma se i sintomi persistono può essere prolungato per un massimo di 8-12 giorni, se non controindicato (tabella 2). Inoltre, data la via metabolica di questi FANS che coinvolge, tra gli altri, il citocromo 3A4, i medici di famiglia devono considerare il rischio di potenziali interazioni farmacologiche, soprattutto per i pazienti con COVID-19 che hanno iniziato una terapia antivirale con remdesivir o nirmatrelvir potenziato con ritonavir. In questo caso, le potenziali strategie includono l’aggiustamento della dose di FANS, l’aumento del monitoraggio delle potenziali reazioni avverse o la sospensione temporanea dei FANS. Questi FANS dovrebbero essere somministrati a pazienti non in trattamento, di età superiore ai 65 anni, per il minor tempo possibile e in condizioni di adeguata idratazione. Possono essere prescritti a donne in gravidanza, ma solo nei primi mesi di gestazione, secondo il riassunto delle caratteristiche del prodotto. Celecoxib, ibuprofene e nimesulide devono essere evitati nei bambini di età inferiore ai 12 anni, mentre l’aspirina deve essere assunta solo dietro prescrizione medica e alla dose raccomandata dal medico di famiglia.

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