V Domenica di Pasqua (Anno A)
(At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12)
di Alberto Strumia
Fino dai primi tempi, nella vita della Chiesa, sono chiare le due cose da fare “insieme”, senza far prevalere l’una a scapito dell’altra: il “fare” e l’“insegnare”, seguendo il “metodo” del Maestro («Gesù fece e insegnò», At 1,1; «fu profeta potente in opere e in parole», Lc 24,19). È il “metodo” dell’“Incarnazione”: come in Gesù Cristo, Dio che è “spirito” ha unito a sé la carne umana, che è “materia”, così il “fare” (le “opere”), è cristiano, se è unito al “credere” nella Dottrina di Cristo. E l’“insegnare” è necessario per trasmettere questa conoscenza che conduce alla fede.
Gli Apostoli, guidati dallo Spirito Santo – che li illuminava per rimanere nella Verità («lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce», Gv 14,17) – senza seguire gli sbandamenti unilaterali che i poteri del mondo volevano imporre loro, proprio di questo metodo tennero conto.
– La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ce lo documenta, riportando le loro parole: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense».
Questo criterio vale allora come oggi. Una Chiesa troppo sbilanciata su un “sociale” che finisca per dimenticare la “fede nella dottrina”, la “dignità della liturgia” e della “vita contemplativa”, è già divenuta uguale al mondo, perché «fanno così anche i pagani» (Mt 5,47) e non c’è bisogno della fede in Cristo per fare come loro. E se le opere non partono dalla fede in Cristo, per quanto lodevoli possano essere, portano ad un sociologismo pagano che, quasi sempre, nasconde anche dei secondi fini. Se è assolutamente vero che la «fede senza le opere è morta» (Gc 2,26) e «senza calore» (Gc 2,20), bisogna avere ben chiaro che la “vita” e il “calore” della fede e delle opere è nella sorgente che le motiva, è Cristo stesso. Così che queste siano “opere delle fede” e non “opere e basta”! La “carità” è tale se ha la fede in Cristo come sorgente che tiene in vita le opere.
Così nella Chiesa primitiva, gli Apostoli trasmisero una parte del potere d’Ordine («dopo aver pregato, imposero loro le mani») che avevano ricevuto dal Signore, ai “diaconi”, perché si dedicassero specificamente, ma non esclusivamente al “fare”, insieme al servizio liturgico. Mentre gli Apostoli si sarebbero concentrati specificamente, ma non esclusivamente, sull’“insegnamento” della Dottrina di Cristo. Così che gli uni con gli altri potessero evitare di trascurare una delle due dimensioni della vita cristiana e del loro ministero, con una priorità data alla sorgente causale di tutto che è la fede in Cristo. Così hanno sempre fatto i santi.
La modalità dell’imposizione delle mani, come atto dell’Ordinazione, viene seguita anche oggi come allora, nella fedeltà alla tradizione degli Apostoli.
– Nella seconda lettura san Paolo, con l’immagine architettonica della Chiesa “edificio”, insegna la centralità di Cristo, a fondamento della solidità e unità della comunità stessa. Cristo è, non solo la «pietra viva», «scelta e preziosa», ma è indispensabile, oltre che bella ed elegante, perché è «pietra d’angolo», senza la quale la costruzione finisce per non essere stabile e non regge, come un arco senza la “pietra chiave”, come una volta privata della “chiave di volta”.
Il “peccato originale” degli uomini si ripresenta replicandosi, da sempre, nel cedere alla tentazione di fare a meno della “chiave di volta”, pensando di poter reggere la struttura con la sola forza delle proprie mani, senza quella pietra che è Cristo («pietra viva, rifiutata dagli uomini»).
– Il Vangelo tocca un altro tema, che è indicativo della stessa logica dell’Incarnazione. Cristo non parla della condizione degli uomini nell’Eternità, come di un solo e semplice “stato” dell’anima, ma addirittura di un posto, un luogo dove essi staranno: «Vado a prepararvi un posto». Perché il corpo dell’essere umano è destinato alla risurrezione, ed essendo un “corpo”, genera un “luogo”, crea uno “spazio”. Uno spazio corrispondente alla sua natura di corpo glorificato, e non come quello dei nostri corpi corruttibili, ma pur sempre un “luogo” – in un senso “analogo” non identico alla nostra materia, ma del tutto “reale” – secondo una modalità che al momento non ci è nota, se non dalla descrizione che fanno i Vangeli delle apparizioni del Risorto.
E nel riferire questo “luogo” anche a sé stesso (il «luogo dove Io vado»), Cristo conferma di avere unito a sé, alla Persona del Verbo, una vera natura umana, un vero “corpo” umano.
Per questo, se ne deduce che il Paradiso è un “luogo” (il luogo di «una risurrezione di vita», Gv 5,29) e non solo uno stato d’animo e così pure l’Inferno (luogo di «una risurrezione di condanna», idem).
“Prima” della risurrezione dei corpi – pure secondo uno scorrere del tempo diverso da quello che conosciamo qui sulla terra ora – però le anime, “separate” da questi, non avendo un corpo materiale, non definiscono propriamente un luogo, se non inteso come una “posizione” in una “relazione d’ordine”, di “gerarchia”, secondo il grado di purificazione che le avvicina ai santi e a Dio.
Nel Supplemento, compilato dai collaboratori di san Tommaso d’Aquino, dopo la sua morte, sulla base dei suoi insegnamenti e appunti, si dice, infatti: «Pur essendo vero, dunque, che dopo la morte le anime non sono né forme, né motori di corpi determinati, tuttavia sono loro assegnate particolari dimore, nelle quali esse si trovano in qualche modo localizzate, come possono esserlo delle sostanze incorporee, secondo il loro grado di nobiltà; esse cioè si avvicinano, di più o di meno, alla prima sostanza, cioè a Dio» (q. 69, a. 1co) . Difficile dire di più: neppure san Tommaso, si è azzardato a farlo.
Rimane il fatto che il Signore, la sacra Scrittura e i mistici hanno normalmente parlato di un “luogo”, pure da intendersi in senso “analogo” e non identico ai luoghi del mondo fisico nel quale siamo qui nella condizione terrena attuale.
Ma lasciamo (!) al Signore la libertà di sorprenderci con la Sua Onnipotente “fantasia”, quando saremo giunti in porto.
La Madre di Dio, che ci ha anticipato anche in questo destino di gloria, ci accompagni con materna premura e pazienza in questo percorso, fino al “luogo” della Beatitudine Eterna.
Bologna, 7 maggio 2023
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
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