
di Giovanna Ognibeni
Una delle poche certezze rimaste è che Giovanni Battista non abita più qui: con un certo accorato sollievo possiamo essere sicuri di non essere chiamati a riempire burroni, appianare monti e raddrizzare sentieri. Anche se, a dire il vero, quando chiedono a Giovanni cosa sono chiamati a fare, egli risponde ai pubblicani di non chiedere più di quello che è fissato ed ai soldati di non maltrattare, di non estorcere denaro e di accontentarsi della paga. Un’onestà mediana, potremmo dire, niente che assomigli ad una palingenesi universale, alla totale bontà con inclusività giustizia e fraternità universali e cura del pianeta annesse che ci vengono richieste oggi.
Il possente ed epico richiamo di Isaia – “”Consolate, consolate il mio popolo, / dice il vostro Dio, / Parlate al cuore di Gerusalemme / e gridatele che è finita la sua schiavitù…Nel deserto preparate / la via al Signore,/ appianate nella steppa / la strada per il nostro Dio” (Isaia,40,1 segg.) più di sette secoli dopo viene declinato da Giovanni in un alfabeto immediatamente comprensibile e utilizzabile dagli uomini del tempo. E può risuonare anche oggi.
Quello che è appena successo alla Suprema Corte degli Stati Uniti, ed il modo in cui viene raccontato sono altamente istruttivi: viene per così dire svelata la natura doppia delle parole poiché nello stesso momento viene detta la verità e la menzogna. Non è stato abolito il diritto all’aborto, poiché l’esercizio di questa possibilità rientra sotto la facoltà legislativa di ogni singolo Stato, ma sotto questa pretestuosa bugia viene detta, prorompe anzi la verità dell’intento, della volontà tacitamente sottesa a quella dichiarazione. Cioè si vuole affermare come Bene, come diritto connaturato all’essenza dell’uomo il totale arbitrio su sé stessi.
È questo il vero, profondo significato ed importanza della Roe vs Wade, non l’obbligo imposto agli Stati della Federazione, ma la parola, contrapposta all’altra Parola.
Le parole sono i chiodi delle nostre strade ferrate, quelli che ci permettono di scavalcare i canaloni franati, di superare le pareti sdrucciolevoli della storia e delle nostre esistenze. Bisognerà mettere molta cura a raddrizzarli, tendere nuovamente i tiranti, ripristinare le antiche vie ferrate della logica.
Consapevoli che non viviamo in un romanzo distopico ma piuttosto in una saga alla nostra misura. Perché in fondo quando siamo nati ci è stata donata una piccola gloriosa avventura da compiere, il nostro destino. Come Frodo, il mezz’uomo protagonista dell’epos del Signore degli Anelli: in un mondo di Stregoni, Elfi, Nani, Uomini possenti di antico e glorioso lignaggio, spetta al piccolo hobbit tentare di porre un argine contro le forze del male: dopo tanti eroismi, al momento culminante la forza morale di Frodo viene meno ed è sul punto di tradire e vanificare lo scopo della sua vita; solo che a quel punto è proprio la malvagità del nemico che paradossalmente innesca il meccanismo che realizza la salvezza sua e del mondo.
Che è come dire che non spettava a Frodo salvare il mondo, doveva solo essere lì al momento scelto da altri, da un Altro. Pieno del suo ego, dei suoi difetti, dei suoi progetti, quel che contava era però quel minimo sindacale di fedeltà al compito.
Questo è certamente consolante, ma anche impegnativo perché è comunque richiesto quel minimo sindacale: come la polvere impastata con la saliva con cui Gesù ridà la vista al cieco. Mancando quel minimo accade l’incredibile: Gesù a Nazareth “non vi poté operare nessun prodigio” a causa della loro incredulità (Mc,6-5).
È questo un momento di stanca, nell’agitato turbinio delle polemiche, dei dibattiti e nei rari casi migliori dei confronti, quasi fossimo nell’occhio del ciclone, l’illusoria momentanea pausa delle forze distruttrici dell’uragano.
Emerge sempre più netto il sentimento dell’inutilità degli sforzi, è all’opera qualcosa di peggio del classico muro di gomma, si vive piuttosto come sotto l’effetto di un incantesimo, o più prosaicamente sembra di rivivere le paralisi dei nostri incubi.
Prendete la situazione della Chiesa, per i pochi aficionados al tema: si è passati nel giro di sette anni o poco più da noticine a piè di pagina, agli inquietanti animali proiettati sulla facciata di San Pietro, dai preti che aboliscono il Credo a Messa a fratacchioni prostrati natiche all’aria davanti alla Pachamama per giungere ai faccioni estasiati di sacerdoti celebranti che assistono inteneriti a testimonianze di coppie gaie.
Ora, l’insipienza del povero laico può essere scusata, quella del consacrato molto meno, potremmo pensarli come le vergini stolte della parabola, ma molti purtroppo ricordano piuttosto dei kapò che incrudeliscono sulle persone loro affidate nella frenetica e sordida speranza di ritagliarsi un posticino comodo, un buen retiro quando presto verrà l’ora della definitiva decristianizzazione. Illusi. Convinti d’aver fatto bingo.
Ma prendiamo un altro tema, a caso; il cambiamento climatico. Potete far intervenire sino allo sfinimento scienziati come Zichichi, Rubbia, climatologi come Franco Prodi a sollevare dubbi, a proporre altri modelli di lettura, niente da fare. La tesi ormai dogmatizzata risalta immediatamente fuori come i pupazzi a molla.
Si conquistano apparentemente posizioni più mediate e mediane sui vaccini, rivelatisi come un clamoroso flop rispetto al lancio pubblicitario, ma poi trovi la monade impazzita dell’esperto del sottosegretario del virologo in crisi d’astinenza che delirano di mascherine in spiaggia o di quarte dosi, e poi ad libitum.
In un certo senso noi andiamo come Renzo con i capponi in mano dal dottor Azzeccagarbugli con le nostre ragioni, con le nostre richieste e quello ci sbatte fuori dalla porta col suo latinorum!
Ognuno di noi può raddrizzare qualche chiodo, o tradurre bene qualche termine del latinorum.
Un piccolo esempio. Millanta mesi fa, all’epoca del governo Conte di Salute Pubblica, lessi un commento di un devoto sacerdote, a me allora ignoto ed oggi completamente dimenticato, a proposito delle polemiche roventi sull’operato governativo. Il pio sacerdote assicurava che se mai ci fosse venuto in animo un pensiero contro il governo, questo certamente non proveniva da Dio!
Primo, caro Reverendo, Le assicuro che purtroppo il 97% dei miei pensieri non viene da Dio. Secondo, tra l’esigua parte che non sono stricto sensu da confessare ci piazzo senz’altro quelli sull’azione di un governo tra i più scellerati di sempre, per insipienza. Sempreché vogliate escludere il dolo.
La dimensione spirituale e religiosa dell’ammonimento a non dire raca al fratello è per così dire escatologica, sottende tutti i nostri giudizi, ci richiama a non essere noi giudici di nostro fratello, ma non preclude la valutazione dell’operato di ciascuno, ad iniziare dal nostro.
Confondere questi due piani mi sembra molto ingenuo e in qualche modo falso. Se volessimo attenerci al senso profondo del richiamo, avremmo l’obbligo morale della correzione, come ci viene ricordato. Da Ezechiele a San Paolo.
Ricordo anche le illuminanti parole rivolte ai tradizionalisti novax: “Si è vaccinato pure Benedetto XVI. Vorrà pur dire qualcosa!” Direi proprio di no; con tutto il rispetto e l’affetto per il Papa emerito, non mi pare che il suo munus petrino, sulla cui estensione e applicabilità tanto si dibatte, si estenda e si sia mai esteso all’efficacia di questo vaccino.
Secondo chiodo e secondo giudizio.
Ho letto pochi giorni fa un’argomentazione fermamente, anche se garbatamente, critica verso le posizioni no-vax, che venivano definite una “forma panica dell’antivaccinismo…la negazione paranoica di tutto quanto provenga dall’informazione ‘ufficiale’” Ancora: “altro è il giudizio razionale sui vaccini, prezioso risultato di laboratori che non sono sedi demoniache né infami strumenti di arricchimento”. E più avanti “La difesa dell’antropologia cristiana… non può permettersi di gettare infamia su biologi o su governanti”.
Caspita, mi sono detta, sospettavo già da tempo di essere un po’ paranoica e apprezzo l’allure come dire preziosa di quel ‘forma panica’ per darmi dell’invasata, eppure non mi pareva di aver mai suggerito l’ipotesi che ci fossero in giro dei baccelloni giganti in cui l’umanità rischia di essere trasformata mediante inoculazione di un vaccino alieno (v. L’invasione degli ultracorpi, 1956).
Poi, che dire, certamente tra i negatori del vaccino ci sono terrappiattisti e complottisti a tempo pieno, ma in giro per il mondo ci sono legioni di woke, contro cui il pensiero liberal non si scaglia con pari veemenza.
Se vengono imposte misure di nefasta idiozia, quale ad esempio, last but not the least, l’obbligo di indossare la mascherina a scuola nell’attuale contesto, oltre a sentirsi molto intelligente (per l’ovvia deduzione d’essere l’orbo nel paese di ciechi), chiunque è portato a chiedersi se i propri governanti lo siano o lo facciano.
È infine curioso come siano state prima le voci diciamo ufficiali(?), mainstream(?), a parlare di un nuovo mondo un Reset (Great or not poco importa), “una nuova normalità”, un “nulla sarà più come prima”, una storica possibilità per la sinistra italiana (copyright del ministro Speranza, nomen omen in questo caso tradito dall’intempestività della stessa).
I toni apocalittico-profetici, violini, bandiere e dissolvenze varie sono stati introdotti dai governi, dagli scienziati – quanto pathos in quei camici bianchi! – e i giornalisti si son fatti aedi di questa nuova umanità, anzi umanesimo, come ebbe a ben celebrare uno dei più rarefatti politici dei nostri tempi.
E che dire del trionfale incedere dei camion frigo a -80°accompagnati dalle volanti? Per vedere una scena altrettanto epica bisogna rifarsi al finale di ET. O al passaggio del Mar Rosso nel Principe d’Egitto.
Errori? Ma la perseveranza è diabolica. Così uno facilmente si convince di vivere nel peggiore dei mondi possibili, e in Italia con l’aggiunta di una coloritura tra Pulcinella e Masaniello.
I laboratori non sono infami strumenti di arricchimento, ma i gruppi d’investimento che ci si sono buttati a pesce negli ultimi vent’anni -chiedere al prof. Contri- forse li considerano tali. Ovviamente per questi gruppi infami sono i laboratori che non producono utili.
E come non accogliere in linea di principio il dato di realtà che pochi si accontentano dell’utile onesto, anche onestamente rilevante, di un investimento mentre i più rincorrono il lucro senza stancarsene mai, con “quell’insaziabile avarizia che è idolatria”(Paolo, Col. 3,5) praticando lo sfruttamento indegno, criminale e direi demoniaco di persone, siano essi i bambini del quarto mondo condannati a confezionare le nostre comode e fichissime scarpe di marca, siano milioni di persone terrorizzate persuase, o costrette, a farsi inoculare un vaccino, se ne convenga, pochissimo testato, sostanzialmente poco efficace e, comincia ad essere ammesso, foriero di non pochi danni collaterali?
Si può ammettere la possibilità, direi perfino la plausibilità di alcuni interrogativi?
Se devo poter sottoporre ad indagine l’operato dei ministri della Santa Chiesa, non potrò a fortiori fare domande su alcune logiche che, certamente per la mia insipienza, mi appaiono opache?
Devo dare per scontato che Montagnier fosse un vecchio rinco ed invece alcuni, e sempre gli stessi, i fari dell’umana scienza?
Ricordo sommessamente che il talidomide venne elaborato, testato e prodotto nei laboratori Grünenthal e non nell’antro delle tre streghe di Macbeth. E che nel corso degli anni, tra tanti medici disinteressati, mi è pur capitato di imbattermi in alcuni che erano adusi a spingere i pazienti a costosi e spesso inutili esami in laboratori privati, perché oberati (i medici, non i pazienti) da mogli spendaccione.
Quand’ero ragazzina e poi ragazza era un must essere operati di adenotonsillectomia e in seconda battuta di appendicectomia e ospedalizzati il più a lungo possibile, per la contentezza degli amministratori. Usanze non letali d’accordo ma non certamente specchiate.
Non occorre arrivare al mitico protocollo Cazzaniga (dal nome del medico lombardo che pochi anni fa con appropriato cocktail di farmaci si liberava, e liberava l’ospedale e i parenti, di vecchi noiosi ed importuni) per ritenere molte pratiche mediche finalizzate alla soddisfazione economica.
Si è dato in questi ultimi anni per scontato ciò che era ancora da dimostrare, vale a dire l’imprescindibilità del vaccino, si è data un’immagine catastrofica e questa sì apocalittica oltre ogni evidenza; si è richiesto alla gente un atto di fede e non si è neppure contemplata la possibilità di un diniego, di un’obiezione. Si è arrivati al dileggio sistematico, attribuendo a tutti e ad ognuno motivazioni di abiezione, idiozia o entrambe le cose.
Di fronte a 37, trentasette, morti dall’inizio della pandemia (dato offerto dalla Prof. Gismondo) tra 1 e 19 anni in Italia, ha avuto (e quale direi) senso spingere la vaccinazione per quella fascia d’età? Non dico proporla, che potrebbe essere legittimo, ma fare una pressione ricattatoria indebita per vaccinare quel segmento di popolazione!?
Leggevo oggi la domanda ansiosa di un socio cliente alla Coop per sapere la provenienza della lecitina che compra abitualmente! Scommetto (quasi) qualsiasi cosa che il signore non ha frapposto alcun indugio ad essere inoculato con un vaccino, la cui documentazione si è tentato di procrastinare per 75 anni.
Direi che sono restia ad essere tacciata di oscurantismo. Tutto qua.
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