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Il Cristo morto (noto anche come Lamento sul Cristo morto o Cristo morto e tre dolenti) è uno dei più celebri dipinti di Andrea Mantegna, tempera su tela (68x81 cm), databile con incertezza tra il 1470-1474 ca. o al 1483 ca. e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano.
Il Cristo morto (noto anche come Lamento sul Cristo morto o Cristo morto e tre dolenti) è uno dei più celebri dipinti di Andrea Mantegna, tempera su tela (68×81 cm), databile con incertezza tra il 1470-1474 ca. o al 1483 ca. e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano.

 

Potrebbe aver ispirato Peguy, questa straordinaria opera del Mantegna, potrebbe aver ispirato il grande poeta e drammaturgo francese laddove descrive la Madre ai piedi ella croce: «Lei piangeva, piangeva, ne era diventata brutta. Lei, la più grande Beltà del mondo. La Regina di beltà. In tre giorni era diventata spaventosa da vedere».

Mantegna che aveva appreso nella bottega dello Squarcione a «intendere una testa d’omo in schurzo per figura de isomatria, zoè d’un quadro perfeto con el soto quadro in scorzo» raggiunge qui non solo il culmine della sua bravura, ma anche il culmine della parabola umana del Maestro.
Incontriamo per primi i piedi del Salvatore, così reali, così carnali e umani che è impossibile non pensare alle strade di Palestina che han percorso a piedi. Sono i nostri piedi, è la nostra carne. Forse noi, anzi sicuramente, noi non moriremo in croce ma altrettanto sicuramente noi un giorno saremo così. La vera umanità di Cristo tocca qui il vertice, così come, di lì a poco, toccherà il vertice la rivelazione della sua divinità, scritta con segni indelebili proprio in quel lenzuolo, che ora è così freddo e rigido da sembrar di marmo.

Quando il Mantegna muore, nel 1506, quest’opera si trovava ancora nel suo studio. Fu per lui una sorta di memento mori, un aiuto concreto che lo preparasse a quel passo cui, presto o tardi, tutti siamo chiamati. Forse per questo gli artisti indagano poco, oggi, sul mistero del Sabato Santo. Perché ci siamo immersi. Siamo calati in pieno dentro un sabato santo che lascia cadere il grigiore sopra ogni speranza d’immortalità. Forse per questo il nuovo Papa è stato ispirato dal Cielo a chiamarsi Francesco perché deve essere (e lo è) un araldo della Speranza che grida al mondo intero: «Cristo è vivo!».

La crisi del nostro tempo tuttavia comincia qui, negli anni del buon Mantegna e lo si vede da quell’atmosfera un po’ cupa che attraversa la tela. Lo si vede da quel silenzio mortale che colpisce la Parola fatta carne. Lo si vede dal successo che ha riscontrato una recente copia del dipinto del Mantegna: il Cristo morto a raggi X. Un virtuosismo anatomico ad opera di certo Meneghetti, esaltato da Sgarbi, ma che rivela l’assoluta povertà di quel senso «altro» di cui, nonostante la drammaticità, il dipinto del Mantegna è colmo.

In questo sepolcro mantegnano il silenzio è tale che ci potrebbe esser consentito udire il fruscio lieve del fazzoletto della Madre che piange sommessamente. E sorprende, lei, la Madre invecchiata oltremodo mentre piange sorretta dal fedelissimo Giovanni e da una Maddalena, invecchiata lei pure, vista solo di scorcio. Anche noi non siamo lì, con loro, ai piedi di Gesù per osservare tutto. Osserviamo anzitutto, con dolore, che il volto di Cristo non è rivolto verso la Madre.,
Come mai questa Donna non ha aggirato la pietra dell’unzione dirigendosi là dove il suo cuore certo la spinge, cioè davanti al volto del Figlio per baciarlo per l’ultima volta?

Di là invece rimane solo il vasetto di albatro di nardo genuino. Abbandonato. Reliquia di un amore devoto che si arresta di colpo di fronte alla crudezza della realtà. Questo vasetto però è, nell’intento del Mantegna, una sorta di araldo del mistero. Annuncia un evento che non si può presagire, ma di cui quel luogo presto diventerà teatro. È guardando quel vaso, infatti, che vediamo l’antro buio accanto al feretro. Una porta spalancata sull’ignoto che attende di riempirsi di luce.

E allora riguardiamo il Cristo: la sua morte è un sonno. Comprendiamo d’improvviso il perché di quel volto girato rispetto alla Vergine. Anche in quest’ora estrema il Figlio annuncia alla Madre la verità del suo destino. Egli volge il volto verso quel vasetto, verso quell’antro buio per annunciare ai suoi la luce della risurrezione. Lo dicono chiaramente le mani, appoggiate sulla pietra dell’unzione in modo innaturale. Lo dicono le nocche di quelle dita che quasi raccogliendo le ultime forze di quel corpo faranno a breve da leva e Cristo s’innalzerà di nuovo. Spogliato di quel lenzuolo si vestirà di gloria.

Forse dovrà accadere così anche di noi. Forse sta accadendo così, grazie alle notizie quotidiane, trasudanti guerra e difficoltà, ma grazie anche alle notizie di una Chiesa che stretta attorno al Pontefice cerca di risollevare lo sguardo. Siamo in tal modo sottratti da una rassegnazione al male e intravvediamo nelle pieghe dei giorni, come tra le pieghe di quel lenzuolo, la possibilità ardita di una nuova rinascita, di una risurrezione.

 

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