di Daniele Trabucco
Lo Stato modernamente inteso prima (per utilizzare un’espressione del noto costituzionalista prof. Vezio Crisafulli), il quale nasce con la fine della guerra dei trent’anni (1618-1648), e lo Stato moderno poi hanno rinunciato alla ricerca della Verità, a quel principio che sta e non si lascia contraddire. In ragione di questo hanno abbandonato, quale fondamento, la naturale socialità dell’uomo di aristotelica memoria per sostituirla con un fondamento di tipo convenzionale. La socialità, dunque, è divenuta un artificio e la politica, persa la sua funzione di “regalità”, ossia di strumento volto a realizzare il bene dell’uomo in quanto uomo, il bene connaturato alla sua essenza, si è ridotta a potere dell’essere umano sui suoi simili dipendente dalla volontà di chi contingentemente quel potere lo detiene. Non é da stupirsi, allora, delle scelte irrazionali insite nelle normativa emergenziale di questi oltre due anni, come la sospensione (atipica) dal rapporto di lavoro e l’esclusione della retribuzione e di qualunque altro emolumento: esse, infatti, altro non sono che la conseguenza della coincidenza, propria della modernità giuridica, del diritto con il potere e, dunque, con l’effettività dell’ordinamento giuridico. Alcuni giuristi e filosofi della politica, Filippo Borelli (avvocato), Paolo Menarin (avvocato), Lorenzo Maria Pacini (filosofo della politica) e Daniele Trabucco (costituzionalista), hanno deciso di predisporre il Manifesto del giusnaturalismo, articolato in dieci punti, quale “bussola” per orientare politica e legge positiva. Il giusnaturalismo é una corrente di pensiero per cui dall’essere e dai fini propri della sua natura (da intendere in chiave filosofica e non in modo meccanicistico-biologico) si ricava il dover essere il quale è teleologicamente insito in ogni ente (Enrico Berti). La legge, in questa prospettiva, non è frutto di una astratta volontà generale, né coincide con la disposizione scritta posta dal legislatore, ma é “scoperta di ció che é”, come insegna Platone nel Minosse, e, dunque, essendo via e regola della giustizia (Danilo Castellano), dello ius, assume una funzione ordinatrice dell’ordine naturale e non creatrice di un qualunque ordine convenzionale. Il Manifesto è aperto alla firma di tutti coloro che ne condividono i punti indicati e nel cui cuore e nella cui mente alberga la consapevolezza che la legge naturale, l’ordine intrinseco di ogni ente, é la “partecipatio legis aeternae in rationali creatura”.
P.S. Il Manifesto si puó sottoscrivere inviando una mail a movimento.giusnaturalista@gmai
Assolutamente condivisibile. Mi auguro che l’esplicito richiamo, oltre che ad Aristotele, soprattutto all’Aquinate e in particolare alla dipendenza della legge naturale da quella eterna, implichi una prospettiva teoretica (che poi è proprio quella tomista classica) in cui la legge naturale necessita in ultima istanza di un esplicito riferimento a Dio, affinché l’etica possa essere fondata razionalmente in modo rigoroso. Attualmente, infatti, è in voga ovunque, anche tra i post-neotomisti, la dottrina di ascendenze kantiane e, più recentemente, analitiche (= varie dottrine metaetiche sorte all’interno della filosofia analitica novecentesca, a partire dalla cosiddetta “legge di Hume” o “Is-Ought Question” in inglese) secondo cui l’etica è teoreticamente autonoma e separata dalla metafisica e in particolare dall’esistenza di Dio (è possibile fondare un’etica “Etiamsi Deus non daretur”, già diceva Ugo Grozio). Invece, se Dio, per ipotesi assurda non esistesse, non sarebbe possibile giustificare razionalmente alcun principio etico…