
CARD. MÜLLER: DIABOLICO SUGGERIRE DI ABBANDONARE LA VERITÀ E LA CROCE
Il card. Gerhard Ludwig Müller dice che alcuni teologi e vescovi presentano un resoconto della dottrina che assomiglia fortemente alle proposte fatte dal filosofo italiano Gianni Vattimo, il quale esorta la Chiesa cattolica ad abbandonare le verità di fede. Secondo Vattimo, le verità assolute sono fonte di conflitto e violenza, mentre la vera forza del cristianesimo sta nella pratica della carità. Ma non è assolutamente così.
Ecco, nella mia traduzione, un interessante saggio del card. Gerhard Ludwig Müller pubblicato il 13 marzo 2013 su The First Things (qui).
Qual è il significato della dottrina cristiana per la vita dei fedeli? Alcuni teologi e vescovi presentano un resoconto della dottrina che assomiglia fortemente alle proposte fatte dal filosofo italiano Gianni Vattimo nel suo libro intervista intitolato “Cristianesimo, Verità e indebolimento della Fede: Un dialogo”. In quest’opera, il noto pensatore postmoderno esorta la Chiesa cattolica ad abbandonare le affermazioni di verità che la Chiesa lega alla sua fede. Secondo Vattimo, le verità assolute sono fonte di conflitto e violenza, mentre la vera forza del cristianesimo sta nella pratica della carità. La famosa affermazione di Aristotele Amicus “Plato sed magis amica veritas” – “Plato è un amico ma la verità è un amico più grande” – quindi dovrebbe essere invertito. È possibile per la Chiesa seguire le raccomandazioni di Vattimo? E’ pensabile che la professione di determinate verità di fede non sia più necessaria per la salvezza? Oppure c’è una Regula fidei – una regola di fede – che contiene il centro delle verità rivelate e che tutti i cristiani hanno bisogno di confessare per essere in un giusto rapporto con Dio e il prossimo?
La tesi di Vattimo non è né originale né ragionevole. Nella sua “Storia Naturale della Religione” (1757), il filosofo scozzese David Hume – in accordo con altri pensatori scettici e agnostici inglesi e francesi – ha detto che la colpa delle devastanti guerre civili che avevano avuto luogo in Gran Bretagna e Francia era da attribuirsi alla pretesa di verità assoluta del cristianesimo. Per lui, per trovare la base per una convivenza pacifica e tollerante tra persone di diversa provenienza, si doveva ricorrere ad un tipo di cristianesimo ridotto ad opere caritatevoli o ad una religione e morale naturale che non invocasse alcuna rivelazione soprannaturale. Secondo questa visione, Gesù ha esemplificato l’amore. Insegnava e viveva una morale di vera bontà umana. I dogmi della Chiesa sono visti come costruzioni mentali che permettono al clero di conservare e aumentare il loro potere. Per i fautori di questa opinione, Gesù voleva un cristianesimo libero dal dogma, ed è proprio questo tipo di cristianesimo che corrisponde alle esigenze dell’epoca attuale. Da questo punto di vista, oggi abbiamo bisogno di un umanesimo senza metafisica, senza rivelazione e senza una moralità ostile alla vita. All’inizio del movimento ecumenico, prima e dopo la Prima Guerra Mondiale, veniva spesso citato il seguente motto: “La dottrina separa, la vita ci unisce”.
Più recentemente, l’egittologo Jan Assmann ha avanzato la tesi che la fede biblica nell’unico Dio ha eliminato la tolleranza propria del politeismo (cfr. Il prezzo del monoteismo). Egli sostiene che il monoteismo per sua stessa natura ammette la confessione della fede solo nell’unico Dio di Israele, in modo che il culto degli altri dèi sia soppresso – insieme ai loro adoratori, se necessario. Eppure, ci si può domandare se l’identificazione del monoteismo con la violenza e del politeismo con la tolleranza possa essere oggetto di esame empirico. I fatti storici dicono una cosa completamente diversa. Consideriamo, ad esempio, le persecuzioni subite dagli ebrei a causa della loro fedeltà all’unico Dio e Creatore di tutto. Il martirio dello scriba Eleazar e dei sette fratelli (2 Mac 6:18-7:42) è solo un esempio. Lo stesso vale per le persecuzioni dei cristiani sotto l’Impero Romano durante i primi tre secoli cristiani. Nel nostro tempo, ogni anno migliaia di cristiani in tutto il mondo testimoniano con la loro vita la verità che l’amore di Dio è più forte dell’odio del mondo. Sono martiri della verità, la verità che è Dio stesso e che si fonda in lui. Chiunque, di fronte alla sofferenza e alla morte dei martiri, affermi che il loro monoteismo e la loro confessione di Cristo sono fonte di violenza, dimostra un grado di sconsideratezza che tiene in disprezzo le persone. La stessa asserzione che credere nella verità dell’unico Dio implica la disponibilità a ricorrere alla violenza è di per sé un’espressione di violenza mentale, che in Occidente porta all’aggressione verbale contro i cristiani impegnati.
Ma l’identificazione del monoteismo con la violenza non è solo deficitaria quando si faccia riferimento alla verifica empirica. Essa contraddice anche la logica di base. La violenza è l’unico strumento che la verità non può usare per farsi riconoscere. Dopo tutto, la verità mira alla comprensione, che avviene solo quando la verità è liberamente accettata dalla ragione. Pertanto, per aiutare qualcuno ad arrivare a questa comprensione – per aiutare qualcuno a conoscere la verità – non si può ricorrere alla violenza, ma si deve fare uso di argomenti razionali che cercano di persuadere. La verità può essere denunciata come fonte di violenza solo quando si affermi apoditticamente che il relativismo è l’unica posizione corretta che si può prendere di fronte a una verità che alla fine è inconoscibile.
È piuttosto la menzogna, in quanto non può prevalere con la forza dell’argomento, che necessariamente dà vita alla violenza o alla minaccia di violenza. Oltre a ciò, ci può essere anche l’attrazione dei beni mondani a sedurre il credente ad allontanarsi dalla vera fede. Parlando all’ultimo dei fratelli Maccabei ,”il re si appellò… non con semplici parole, ma con promesse di giuramento, per renderlo ricco e felice se avesse abbandonato i suoi costumi ancestrali: lo avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato l’alta carica” (2 Mac 7:24). Questa scena è rilevante per le questioni attuali, così come la reazione del tiranno alla fedeltà di un vero israelita: “Il re si arrabbiò e lo trattò ancora peggio degli altri, poiché rispose amaramente al disprezzo del ragazzo” (2 Mac 7:39). Come nei giorni successivi Gesù non avrebbe minacciato i suoi carnefici, ma pregò per loro mentre era appeso alla croce, anche qui possiamo riconoscere il frutto non violento di ogni martirio: “Così anche lui morì senza macchia, rimettendo tutta la sua fiducia nel Signore” (2 Mac 7,40).
Critici intelligenti di ideologie totalitarie (come George Orwell in Animal Farm, Alexander Solzhenitsyn nell’Arcipelago Gulag, o Eugene Kogon nello Stato SS) hanno illustrato il crollo di stati estremamente violenti, come l’Unione Sovietica e la Germania nazista, alle menzogne su cui sono stati costruiti. In questi sistemi, la solidarietà con i membri della stessa classe o etnia contava più della verità e del rispetto per la nostra comune umanità. Mielke, il ministro della Sicurezza di Stato della Repubblica democratica tedesca, responsabile di centinaia di morti al muro di Berlino, ha affrontato questioni critiche nel primo parlamento democraticamente eletto dopo la caduta della cortina di ferro. Cercando di discolparsi per i suoi misfatti, egli balbettò: “Ma io vi amo tutti”.
Sia l’esperienza che la ragione ci dicono che verità e amore si appartengono e che verità e libertà sono concetti gemelli, mentre menzogna e odio, ideologia e violenza, formano un’alleanza inquietante. L’esperienza primordiale della verità di Dio di Israele è legata alla sua liberazione dal potere del faraone. Il popolo è liberato da Dio, che fa un’alleanza con loro. Il Dio del Monte Sinai, che ha rivelato la sua verità dicendo “Io sono colui che sono” (Es 3,14), è anche il Dio dell’Esodo, che libera il suo popolo: “Io sono il SIGNORE tuo Dio, che ti ha portato fuori dalla terra d’Egitto, dalla casa della schiavitù” (Es 20,2).
Colui che ha fatto tutti gli esseri umani vuole anche salvare tutti gli esseri umani. “Perché c’è un solo Dio. C’è anche un solo mediatore tra Dio e il genere umano, Cristo Gesù, egli stesso un essere umano, che si è dato in riscatto per tutti “(1 Tm 2,5-6). Dio non è il celeste dittatore opprimente che pretende cieca obbedienza, ma “il nostro Salvatore, che vuole che tutti siano salvati e conoscano la verità” (1 Tm 2,4). E i suoi apostoli non vengono come propagandisti di una dottrina secolare della salvezza “con sublimità di parole o di saggezza” (1 Cor 2,1), ma come “ministri della Parola” (Lc 1,2), come suoi “testimoni fino agli estremi confini della terra” (At 1,8), come predicatori e maestri dei gentili in “fede e verità” (cfr. Gv 1,8). 1 Tim 2:7).
La verità di Dio in Cristo e nella sua Chiesa rimane il fondamento e la fonte dell’amore di Dio e del prossimo, un amore che è il compimento di tutta la legge. Platone aveva ragione quando subordinò la sua riverenza per Omero alla verità (Politeia 595bc), e Aristotele applicò questo principio a Platone stesso, il suo maestro (Etica Nicomachea 1096a). La frase criticata da Vattimo rimane irreversibilmente in vigore: Amicus Platone, sed magis amica veritas. È esclusa qualsiasi distorsione del rapporto tra simpatia soggettiva e verità morale.
Il suggerimento di Vattimo alla Chiesa cattolica contiene una tentazione diabolica che promette un successo che è evidente: se volete raggiungere le persone ed essere amati da tutti, fate come Pilato, lasciate da parte la verità ed evitate la Croce! Gesù avrebbe potuto evitare la morte se solo fosse rimasto concentrato sul suo messaggio sull’amore incondizionato del suo Padre celeste. Perché ha dovuto sfidare il diavolo, vero sovrano di questo mondo, “padre delle menzogne” e “assassino fin dall’inizio”? (Gv 8,44-44). Cristo stesso è responsabile della sua morte, e la Chiesa non avrà futuro in questo mondo a meno che non segua il cammino della saggezza e del potere mondano! Possiamo rispondere a questa tentazione con la Sacra Scrittura, che ci ricorda il vero messaggio evangelico: “Dio è luce, e in lui non c’è alcuna oscurità. Se diciamo: ‘Siamo in comunione con lui’, mentre continuiamo a camminare nelle tenebre, mentiamo e non agiamo nella verità”(1Gv 1,5-6). Crediamo in Gesù e lo seguiamo perché è la Verità. Come Verità-in-persona egli rimane il fondamento e il criterio di tutte le verità. Coloro che sono di Dio e dimorano in Cristo “conosceranno la verità”, e la verità li libererà (cfr Gv 8,32). San Giovanni Paolo II disse una volta che se fosse stato in grado di conservare un solo versetto evangelico, era quello che avrebbe scelto.
Qual è dunque l’errore di fondo proprio dello scetticismo metafisico e del relativismo morale? Può anche darsi che commettano l’errore di confondere la verità con la teoria. Naturalmente, una teoria sarà sempre un po’ lontana dalla vita quotidiana. In Cristo, invece, conoscere la verità di Dio e osservare i suoi comandamenti nella propria vita va sempre di pari passo. In lui la “luce è venuta nel mondo” (Gv 3,19). Tutti coloro che giustificano le loro azioni malvagie odiano la luce e amano le tenebre, nascondendo le loro azioni malvagie alla luce della verità. Verità e moralità sono interdipendenti. Questa è la novità radicale del cristianesimo. Non deve esserci contraddizione tra la fede confessata e la vita vissuta secondo i comandamenti di Dio. “Ma chi vive la verità viene alla luce, perché le sue opere siano chiaramente viste come fatte in Dio”(Gv 3,21).
La nostra salvezza eterna dipende forse dall’accettazione concreta delle verità di fede? A questo punto possiamo vedere la risposta alla nostra domanda iniziale. Il relativismo sulla verità limita la salvezza alle gioie terrene, al piacere sensuale e alla soddisfazione emotiva. Ciò di cui si perde di vista, dunque, è il fatto che Dio è l’origine e lo scopo degli esseri umani. Lui stesso è l’obiettivo della nostra ricerca infinita di verità e felicità. Dimenticando Dio, ci manca il nostro vero essere.
La fede in Cristo contiene già tutte le verità. In Gesù Cristo, il Verbo incarnato, la fede in Lui e la conoscenza di Lui si uniscono come un tutt’uno. Egli è l’unico Verbo divino che è diventato carne. Le parole umane che costituiscono l’insegnamento di Gesù sono passate “all’insegnamento degli apostoli” (At 2,42) e alla dottrina di fede della Chiesa. Esse rendono presente l’unica verità di Dio e ci comunicano la vita divina (cfr Gv 6,68). Perciò Gesù può dire ai suoi discepoli allora e oggi: “Le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6,63). È quindi impossibile separare l’atto di fede dal suo contenuto, cioè dagli articoli del Credo. La fede non può essere una fiducia formale in una persona che ci rimane materialmente sconosciuta nel suo essere ed essenza, nella sua storia e nel suo destino. Amare una persona significa anche voler conoscere la sua verità. Pertanto, il contenuto della fede è significativo per la nostra salvezza. Gli articoli di fede non trasmettono proiezioni teoriche e postulati morali. Piuttosto, sono una confessione di Dio stesso che nelle sue parole e nei suoi atti si comunica a noi come verità e vita (cfr. Dei Verbum 2).
Dio, che è la verità, ci conduce nella verità. Dio si rivela a noi. Per questo la nostra beatitudine dipende anche dalla nostra fede nel Credo ecclesiale che riguarda il Dio trinitario. La nostra confessione battesimale non riguarda lo stato delle nostre emozioni né ciò che Gesù soggettivamente significa per noi o chi pensiamo Egli sia: un profeta, un maestro di etica o qualsiasi altra proiezione che gli esseri umani possano inventare nei loro tentativi di giustificarsi. Piuttosto, ciò che ci viene chiesto nel battesimo è se crediamo in Dio Padre che ci ha creati, in Dio Figlio che ci ha redenti, e in Dio Spirito Santo che abita in noi e che è il Signore e donatore della vita divina. “La fede è la realizzazione di ciò che si spera e prova di cose non viste”(Eb 11,1). Perché “senza fede è impossibile compiacerlo, perché chiunque si avvicina a Dio deve credere che egli esiste e ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6). La fede è quindi significativa per la salvezza non solo perché implica la fiducia che Dio ci perdonerà per amore Cristo, come la dottrina luterana della giustificazione afferma. C’è anche un altro aspetto essenziale della fede, vale a dire la conoscenza di Dio. Ciò significa che riconosciamo Dio nelle verità che egli ha rivelato per la nostra salvezza (fides quae creditur). “Perchè uno crede con il cuore ed è così giustificato, uno confessa con la bocca e si salva”(Rm 10,10). Se vogliamo essere salvati, dobbiamo credere “che Gesù è Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti” (cfr Rm 10,9).
Il cardinale John Henry Newman ha introdotto la distinzione tra un principio “liberale” e un principio “dogmatico” per interpretare la rivelazione cristiana. Il principio liberale accetta le verità della rivelazione di Dio in Cristo solo nella misura in cui esse coincidono con la ragione naturale, corrispondono a sentimenti pii o servono ai bisogni della società civile (cfr Apologia, cap. 2). Il principio dogmatico, invece, è descritto da Newman in questi termini:
Che c’è una verità allora; che c’è un’unica verità; che l’errore religioso è di per sé di natura immorale; che i suoi sostenitori, se non involontariamente tali, sono colpevoli nel sostenerlo;… che la mente è al di sotto della verità, non al di sopra di essa, ed è tenuta, non a discuterla, ma a venerarla; che la verità e la falsità sono poste davanti a noi per la prova dei nostri cuori; che la nostra scelta è una tremenda donazione di molto sul quale si inscrive la salvezza o il rifiuto; che “davanti a tutte le cose è necessario tenere la fede cattolica”; che “chi sarebbe salvato deve così pensare” e non altrimenti;… – questo è il principio dogmatico, che ha forza. (Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana)
Nel suo cosiddetto discorso del Biglietto in occasione della sua elevazione a Cardinale (1879), Newman spiega ulteriormente il significato del liberalismo: “Il liberismo nella religione è la dottrina che non c’è verità positiva nella religione, ma che un credo sia buono come un altro. ….[Questo liberalismo] è incoerente con qualsiasi riconoscimento di qualsiasi religione, come vero. Insegna che… la religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e un gusto; non un fatto oggettivo, non miracoloso; ed è diritto di ogni individuo dire ciò che colpisce la sua fantasia. …. (la religione rivelata) Non è in nessun senso il legame della società”.
Parlare del cristianesimo come dogmatico, al contrario, è dire che è basato sulla rivelazione storica di Dio. Vale a dire che il Verbo fatto carne ci ha dato la pienezza della verità e della vita. È dire che per mezzo della potenza dello Spirito Santo, la Chiesa, nella sua predicazione e nella sua cura pastorale, testimonia la verità di Dio, comunicandoci la vita divina nei sacramenti. Perché “la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione. Né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati “(Gaudium et spes n. 10).
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