di Gianni Silvestri

 

Mi ha sempre colpito questa frase di Cristo, detta ai suoi amici più cari,
mentre annunciava il termine, sempre più prossimo, della sua esperienza terrena:
“Molte cose ho ancora da dirvi,
ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. (Gv 16, 12).

Cristo nella sua dimensione vera ed eterna, conosce tutto ciò che esiste,
(“E’ creatore di tutte le cose, visibili ed invisibili” recitiamo nel Credo…)
ci avverte “che non siamo capaci di reggerne il peso”, aprendoci una prospettiva
nuova sulla grandezza che ci aspetta e di cui facciamo parte.

E c’è proprio da credergli, visto che è Verità e -nello stesso tempo – fragilità di uomo.

La sua è una costatazione sui limiti della nostra condizioni umana,
ed un avvertimento rivolto noi che, invece, viviamo immersi in un autocompiacimento
ed in un senso di autosufficienza.

Le nostre scoperte tecniche e scientifiche, infatti, ci fanno vivere come se tutto fosse alla nostra portata, come se i nostri limiti non esistessero o fossero, al massimo, un ostacolo temporaneo
che prima o poi supereremo, grazie alle nostre crescenti capacità.

E’ un avvertimento “controcorrente”- quello di Gesù- un colpo alla nostra superbia, di considerarci padroni della nostra vita e creatori del nostro destino.

Allora sarà il caso di riflettere e domandarci su cosa realmente conosciamo della nostra esistenza.
E’ evidente che la nostra vita terrena è solo istante passeggero, della storia umana, per non parlare di quella eterna che ci attende (e sulla quale non ci è dato di conoscere nulla).
Orbene, sin dove si estendono le nostre capacità e conoscenze, nelle quali poniamo la nostra fiducia?
Ma pur volendo “ripiegare” e limitarci a riflettere, solo sulla nostra esistenza terrena (l’unica apparentemente oggetto della nostra conoscenza), anche qui dobbiamo riconoscere che “navighiamo nel buio”. Basti pensare che l’Universo è a noi sconosciuto e persino quel poco che riusciamo a vedere è fuori dalla nostra comprensione:
(non a caso chiamiamo “materia oscura”, il 90% della sua massa, che possiamo solo ipotizzare e che sfugge alla nostra piena conoscenza).
Su che conoscenza umana ci affidiamo dunque? Siamo immersi nel Mistero.
Ma nel mistero resta persino la comprensione di noi stessi: persino le funzioni del nostro stesso cervello, ci sono in buona parte sconosciute visto il dibattito secolare dei suoi rapporti con la mente e le funzioni della memoria, dei sentimenti ecc (per non parlare della dicotomia corpo-anima che ci introduce a concetti non solo terreni).

A voler concludere: quello che non conosciamo è infinitamente più grande
del pochissimo a noi noto…, a
nonostante questo, inspiegabilmente continuiamo a sentirci “padroni” del mondo e della nostra vita.

Come facciamo a dimenticare che non decidiamo nemmeno:
– se nascere, – quando nascere, – dove nascere, – da chi nascere…
Non decidiamo “di essere” e neppure di “come essere”
(le nostre caratteristiche fisiche, psicologiche ecc).

Di cosa ci sentiamo padroni? Come ci sentiamo pronti a conoscere e “giudicare” il tutto?

Cristo quindi ha ottime ragioni per ricordarci che
“Non siamo capaci di portare il peso della Verità”.
Anzi, per assurdo, forse è proprio questa profonda ignoranza
che ci consente di vivere serenamente e con una certa libertà.

Riusciremmo a vivere, nella povertà delle nostre capacità, “sapendo di più” ?
Saremmo capaci di gestire una maggiore conoscenza, alla quale pure aspiriamo ?
Un solo esempio può aiutarci a comprendere la nostra fragilità esistenziale:
se il nostro sguardo si aprisse a tutta la realtà e se conoscessimo la data
certa della nostra morte come vivremmo?

saremmo capaci di sopportarne il peso?
avremmo la serenità di affrontare la vita con la stessa libertà?
faremmo le nostre scelte, senza questo condizionamento ?
o vivremmo nell’angoscia “di contare” il tempo che ci rimane?
Quante persone sarebbero schiacciate da questo, pur infinitesimo, “frammento” di Verità..
Ed ancora mi chiedo:
Se potessimo vedere le creature spirituali, che pur ci circondano,
(da quelle angeliche alle terrificanti infernali)
riusciremmo a vivere con la stessa serenità e libertà?
Se potessimo vedere o sentire la vicinanza del terribile fetore o calore dell’inferno
le nostre scelte resterebbero ancora libere?
O vivremmo schiacciati e condizionati dal terrore?
(quanti santi hanno dovuto essere accompagnati e protetti dagli angeli in queste visioni terribili..)

Cosa sappiamo di questi infinti mondi reali anche se a noi non accessibili?
Cosa abbiamo scoperto delle esperienze che ci attendono dopo la morte?  
Nulla. Buio assoluto….tanto che i più, hanno rinunciato persino a pensarci.
(e tale rinuncia è una conferma della valutazione di Cristo:
sembra proprio che non riusciamo a reggere il peso di questa condizione e della stessa ricerca in questi campi).
Se proviamo ancor di più a limitare la nostra riflessione al poco che conosciamo, scopriamo che, persino nella  (piccola parte visibile della) nostra vita, le sue difficoltà spesso ci angosciano,
viviamo in affanno la gran parte dei nostri giorni, non riusciamo a gestire le nostre attività  come vorremmo; in definitiva appare chiaro che quello che riusciamo a realizzare e a vivere,
è sempre meno di quello che vorremmo (il nostro desiderio crescente e mai domo, sembra proprio la traccia da seguire per riflettere sul nostro destino eterno verso cui tendiamo)

Ed allora torna l’interrogativo: di fronte a tanta finitezza
con che arroganza ci riteniamo “autosufficienti”?
con che illusione pensiamo di poter fare tutto da soli?
come abbiamo potuto mettere da parte Dio, credendo di bastare a noi stessi?
basta quel poco che conosciamo per ritenerci non più creature, ma creatori ?
E proprio vero che la superbia rende ciechi ed offusca persino i nostri limiti (è accaduto persino ad uno spirito eterno come Lucifero..)
Limiti che dovrebbero riempirci di umiltà, smascherando la nostra illusione
di poter comprendere da soli la grandezza della nostra vita soggettiva;
(figuriamoci poi pretendere di conoscere da soli la Verità oggettiva o il senso ultimo delle cose…).

Il tempo di Natale che viviamo è (anche) un richiamo alla umiltà:
se da soli non sappiamo conoscere o affrontare il nostro destino eterno
perché non affidarci a Colui che l’ha creato e viene ad annunciarlo?
Dio stesso ha dovuto “rimpicciolirsi”
per non “accecarci” con il suo bagliore
la sua immensità avrebbe condizionato le nostre piccole capacità e libertà.
“Non saremmo capaci di portarne il peso…”
Nel Natale Dio ha scelto la via migliore (o forse l’unica), per incontrarci:
quella della semplicità di una vita che nasce,
quella della tenerezza (e debolezza) di un bimbo.

Il Natale è anche la festa dell’umiltà,
è l’invito a riscoprirci creature, cioè esseri voluti perché amati da un Altro
e non “accidenti” assemblati dal caso.
Il Natale “apre i cieli” e ci fa scorgere un altro mondo ed i cori angelici che annunciano 
la venuta di Dio, confermano che siamo parte  di un mondo infinito,
che non conosciamo e nemmeno riusciremmo ad immaginare nella sua  bellezza.
Il nostro sguardo viene allargato ed una nuova speranza nasce insieme a questo Bimbo che ci indica un cammino verso una realtà meravigliosa, ben al di sopra di ogni nostra immaginazione
e di cui “non siamo capaci di portarne il peso”.

Il Natale è un momento privilegiato per riconoscere ed accogliere un Dio
che ci ha amati e ci ha voluti.
Uno per uno,
qui ed ora.
Riconoscersi amati da Dio che viene:
Ecco il senso (e l’augurio) del Natale.
(cos’altro, se no?)


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