
di Giovanna Ognibeni
Resilienza e Resistenza
Giorni fa, mentre lavoravo a un mio contributo, contro tutto ciò che mi è più sacro e caro stavo per scrivere la tremenda parola resilienza, anche se nel significato proprio di “Capacità di un materiale di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi” che è l’unica accezione significativamente data dallo Zingarelli 1997. Una mano provvida dal cielo mi fermò, avvertendomi del rischio che cedendo un giorno o l’altro avrei potuto scrivere anche “narrazione” o “istanze del territorio”.
Ma ormai la curiosità da filologa dilettante, prematuramente schiacciata dal bulldozer della linguistica, si era risvegliata e sono andata a controllare alcune cose che ignoravo completamente. Nella mia appunto ignoranza pensavo che i termini resiliente e resilienza fossero degli anglicismi nati dall’insopportabile nostro provincialismo. Invece no; anche in inglese e francese i termini sono diversi rispetto a quelli che esprimono il concetto di resistente e resistenza. In più, il termine italiano è attestato secondo la Treccani sin dal XVIII secolo, col significato (riporto fedelmente) “di capacità dei corpi di rimbalzare, di tornare indietro. L’accezione è legata alla sua origine latina, dal verbo resilire, ritornare di colpo, rimbalzare indietro, per estensione anche ritirarsi, contrarsi”. In effetti, il verbo latino significa letteralmente “saltare all’indietro”, quindi per allargamento del significato esprime la capacità di assorbire gli urti, contrarsi sino a finire ahimè ad abbandonare, desistere.
Invece il verbo resistere significa stare contro, opporsi. Dite se è poca la differenza. Dalla forma passiva a quella attiva.
I cultori e sostenitori e lodatori della resilienza, che dalla Ue e dai suoi portavoce (devo confessare che all’inizio ero convinta che Draghi fosse meglio di Conte e che la permanenza di Di Maio e Speranza al Governo esprimessero esigenze di realpolitik – che occhi grandi che hai, nonna! E per vederti meglio bimba mia! – i primi dubbi mi sono venuti sentendogli proferire la fatal parola, resilienza) ci invitano e premiano se resistiamo ai colpi che ci infliggono, tentano l’esperimento che fece il contadino col suo asino per disabituarlo a mangiare.
Talvolta i due significati possono in parte sovrapporsi, ma sono radicalmente diversi. Infatti si fa e si è sempre fatta la Resistenza e non la Resilienza.
Tabù
In tempi di Black Friday, anch’io vi lascio una notazione, una considerazione in più: prendetela come il secondo articolo dato al prezzo di 1 euro.
Penso al fenomeno degli insulti, dell’incredibile violenza verbale che viene esercitata sui social (altra parola che deve essere espunta dal nostro vocabolario) a cominciare dai titoli con cui ci arrivano sul telefono le notizie: Tizio asfalta, demolisce, massacra Caio. La notizia viene preceduta dal rullo di tamburi per cui può succedere che Tizio faccia in realtà una magra figura rispetto a Caio ma tu sei già stato convinto dal giornale che le sue ragioni hanno ottenuto una strepitosa vittoria. Ormai solo nel calcio esiste un certo allineamento tra fatto e resoconto: se la tua squadra ha perso 5 a 1, è difficile convincerti che avete dominato: per questo i tifosi sono spesso così incavolati. Ormai offese e denigrazioni sono arti coltivate sapientemente anche in televisione e sui giornali, tutti mezzi, se ci si pensa bene, che consentono una distanza di sicurezza dall’ interlocutore.
Penso e ripenso e mi viene un forte rimpianto per la progressiva sparizione dei tabù.
Niente paura, se ho mai letto Totem e Tabù di Freud, l’ho già bell’ e dimenticato. Mi limito a constatare come i tabù siano stati fondamentali nella storia della civilizzazione. Intanto il tabù ha il grande vantaggio di semplificare la vita: “questo non si fa” è la resa stenografica di millenni di civiltà, che ci affranca dal dover ogni volta, letteralmente ogni passo che facciamo, dal riepilogare i motivi per cui facciamo o non facciamo una cosa. Quando dici al tuo bambino settenne di non rubare le merendine al suo compagno Giovanni, perché è brutto, lui ti potrebbe rispondere che invece è bello perché la sua mamma gli compra sempre brioches fresche. È in virtù di una sorta di tabù che puoi abituarlo a considerare brutto, negativo il fatto di rubare, mica puoi ogni volta spiegargli l’imperativo categorico di Kant.
Pensiamo ad esempio ad uno dei tabù più generali, diffusi, cogenti, quello dell’incesto: originato senz’altro da cause direi materiali, concrete per contrastare l’endogamia (perché i popoli erano sì preistorici ma mica stupidi e imparavano dalla realtà) è stato un elemento fondamentale per la civilizzazione, ha evitato l’implosione delle famiglie e delle prime comunità. È istruttivo poi il fatto che sia in fondo di semplice applicabilità: l’infrangerlo ha bisogno di tutta una serie di meccanismi ed è più complicato che non conformarsi ad esso. Se uno non è particolarmente fuori di testa, l’accettarlo viene naturale e non provoca sconvolgimenti e traumi pur essendo chiaramente un tabù di natura sessuale.
In una geometria dello spirito, i tabù principali sono gli assiomi e i postulati, non dimostrabili ma auto evidenti e necessari all’interno del sistema che si regge solo appoggiandosi ad essi; da lì discendono teoremi e corollari, come ad esempio quello del rispetto dell’altro nella discussione. Invece ora chi dissente è un nemico, a cui non prestare neppure gli onori che in epoche molto più antiche si riconoscevano all’avversario sconfitto.
Ero sul punto di mettere tra i postulati di questa mia ricostruzione anche il principio di non contraddizione, poi ho pensato che è un principio della logica; eppure per secoli ha funzionato come un tabù nella nostra civiltà occidentale, fondata sul pensiero greco e giudaico cristiano, la regola principe del nostro pensare: non puoi dire una cosa e il suo contrario mentre ora non è più neppure necessario andare in India da qualche guru come negli anni ‘70 per provare l’ebbrezza di aprire il pensiero al tutto e al suo contrario.
Tutti proviamo il desiderio di Icaro di volare ma già il mito greco avvertiva dell’esistenza della forza di gravità, teorizzata poi in Legge da Newton un po’ di secoli dopo, e infatti in scienza, in Fisica e Chimica si parla non a caso di leggi: a tutti istintivamente piacerebbe che la forza di gravità non esistesse o fosse ridotta come sulla luna, specialmente se stai sputando i polmoni salendo un pendio, o cadendo dal terzo piano, poi basta pensare agli inconvenienti nel portare a spasso il pupo in passeggino, per capire che il limite è invece l’ aiuto per muoverci ed agire.
Non più così evidente oggi, così assiomatico: prendiamo un altro tabù dei “maggiori”, il ribrezzo verso lo sporco, il marcio, lo sterco. Anche qui nato ragioni ‘scientifiche’ di igiene e salute; eppure se ammirate Bill Gates che si scola un bicchiere d’acqua filtrato dagli escrementi siete portati a chiedervi se esiste un tale problema idrico da giustificare la scelta di investire in procedure del genere (tutti noi berremmo da una pozza nel deserto in cui si rinfrescano cammelli ed altri animali del deserto, se fosse imminente la morte per sete, ma solo in quel caso), invece di destinare le stesse cifre per recuperare in altro modo l’acqua, o se consapevolmente o meno ci sia un pensiero sulfureo riposto, come mi è stato suggerito da un barbaro non privo d’ingegno, un proposito neanche troppo celato di degradare l’uomo. Perché il tabu, il divieto assoluto di infrangere un principio, una norma è semplicemente il verso del foglio, il cui recto è l’adempimento della giustizia.
Veniamo ad esempio ad esaminare il territorio misterioso della morte, l’esperienza che ci consegna, oltre il confine, nelle regioni mai esplorate dell’al di là. Così il culto dei morti ha segnato l’inizio delle religioni, vale a dire i tentativi di normare i modi, le vie con cui possiamo trattare col sacro. Dalla religione la scrittura, la poesia, il teatro e tutto il resto. Sarebbero potuti nascere dalla coltivazione delle rape. Può darsi, di fatto sono nati dalla religione, dall’idea di una persistenza dell’uomo in un’altra forma.
Il problema è che la terra dell’oltre morte è oltreché sconosciuta anche minata e perciò i tabu sono così numerosi e fantasticamente dettagliati. Ma anche qui le cose stanno per cambiare. Per la mia generazione e anche forse per una o due generazioni successive, il rispetto per i morti era un dato ineliminabile anche per coloro che non credevano nell’anima e nella vita futura. Era la persistenza del vissuto, anche fosse solo la materia di cui sono fatti i sogni, il ricordo di un amore reciso (The Dead, di J. Joyce), la nostalgia di un’epoca di eroi, per molti semplicemente la casa di campagna dei nonni in un tramonto luminoso, per Foscolo le nobili illusioni, per Leopardi lo struggimento di una notte dolce e chiara “e senza vento”. Ma per i giovani di ora questi ultimi sono nel migliore dei casi solo dei nomi e poi sono morti e stramorti e gli stessi genitori, quelli ancora nostalgici, gli hanno insegnato che tutto è materia e che non c’è nessun legame tra questa e spirito, tra corpo ed anima. Loro sono fedeli a questi insegnamenti, li prendono sul serio e quindi il culto dei morti vada a farsi seppellire. I morti hanno come sola possibilità di significare qualcosa per loro trasformandosi in Walking Dead.
Ed allora ben venga la proposta, forse già legge, californiana che dà la possibilità di compostare i morti, i cadaveri. Come i gusci d’uova e gli ossi di pollo. Decine di migliaia d’anni per passare dai menhir ai viaggi nell’oltretomba di Ulisse, Enea e Orfeo, le medievali cavalcate trionfali della morte, le meditazioni e le infinite discussioni e con esse il procedere, forse non trionfale ma comunque tenace, della nostra civiltà, ed ora quest’ultima, come un vecchio imperatore nauseato del potere e della gloria conseguita, rinnega sé stessa, la propria storia e grandezza e regredisce ad uno stadio che avrebbe fatto orrore agli stessi primitivi.
Il transumanesimo assomiglia pericolosamente ad un preumanesimo (?), come un vecchio che persa la ragione biascichi e sbavi, mangi con le mani e sia incontinente come un neonato. Non suscita tenerezza come quello, solo ribrezzo.
Purtuttavia la pratica di compostare il caro defunto, se prendesse piede, darebbe nuove valenze di significato alla frase con cui l’amico che ha una casa in campagna accompagnerebbe il dono di qualche pomodoro dicendoti:” Prendili, sono buoni. Sono i pomodori del nonno!”.
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