Ines Angeli Murzaku, Professore di storia della Chiesa e direttore del programma di studi cattolici presso la Seton Hall University nel New Jersey, già conosciuta su questo blog (vedi qui e qui), legge il recente accordo tra Cina e Vaticano in merito alla ordinazione dei vescovi alla luce dello scenario storico sottostante i rapporti tra i due Stati. Il risultato di questa lettura solleva qualche dubbio sulla bontà dell’accordo stesso. Murzaku, allegoricamente, si chiede se la toppa sia migliore del buco.
Il lavoro della prof.ssa Murzaku è come sempre articolato e approfondito.
Ecco questo interessante articolo nella mia traduzione.
di Ines Murzaku
Nel 2001 The Economist ha pubblicato un articolo intitolato “Tempo di perdonare i peccatori in Cina“. L’autore ha posto una domanda importante, la cui risposta stiamo ancora cercando di trovare:
“Sia la Cina che la Chiesa cattolica romana hanno molto da guadagnare dall’appianare le loro differenze. Ma da dove cominciare?”
Infatti, da dove cominciare?
Da parte cinese, nel gennaio 2000, l’Associazione patriottica cattolica cinese ha nominato cinque vescovi cattolici senza mandato papale. Questo è stato molto problematico nei rapporti sino-vaticani. La risposta del Vaticano fu la canonizzazione da parte di Papa Giovanni Paolo II, il 1° ottobre 2000, di 123 donne, uomini e bambini martirizzati per la fede in Cina tra gli anni 1648 e 1930. La maggioranza dei martiri erano cinesi, descritti da Giovanni Paolo II nella sua omelia di canonizzazione come “uomini e donne di ogni età e stato, sacerdoti, religiosi e laici, che hanno mostrato la stessa convinzione e la stessa gioia, suggellando la loro immancabile fedeltà a Cristo e alla Chiesa con il dono della loro vita“. Inoltre, affermò, c’erano “33 missionari che hanno lasciato la loro terra e hanno cercato di immergersi nel mondo cinese, assimilandone amorevolmente i tratti nel desiderio di annunciare Cristo e di servire quel popolo“.
L’intenzione di Roma era di iniziare a “rattoppare” le differenze con Pechino nella speranza che i santi cinesi nativi sarebbero intervenuti. Il Vaticano stava onorando “il nobile popolo cinese” attraverso i suoi figli e figlie, laici e religiosi, che hanno dato testimonianza e hanno dato la loro vita per la Chiesa. Giovanni Paolo II parlò della doppia fedeltà dei martiri: a Cristo e al popolo cinese attraverso la loro autentica dedizione al popolo cinese che erano chiamati a servire. Il Papa chiarì che non era sua o del Vaticano l’intenzione di “giudicare quelle epoche storiche” (tra il 1648 e il 1930), ma di concentrarsi sulla santità condivisa. La vita dei martiri cinesi era considerata un terreno comune per avviare un dialogo fruttuoso tra Pechino e Roma, secondo la tradizione e la lunga storia di scambi culturali tra Europa e Cina. Per il Santo Padre questa fu la strada che avrebbe dovuto portare a un dialogo più profondo e che avrebbe dovuto appianare le differenze con il governo comunista cinese.
La buona volontà del Vaticano è stata accolta con buona volontà da parte di Pechino? Le differenze tra Roma e Pechino sono state appianate o esacerbate?
Pechino prese le canonizzazioni di 123 martiri cattolici come umiliazione pubblica del popolo cinese, una reazione che il Vaticano non si aspettava né era disposto a comprendere o difendere. Per il governo comunista, i martiri cinesi non erano santi, ma peccatori e persino “criminali”, che avevano barattato la loro fedeltà nazionale o la loro appartenenza cinese con una potenza straniera, rispettando e seguendo una potenza occidentale – il Vaticano. Il governo considerava questi santi appena canonizzati come individui che avevano violato le leggi cinesi del loro tempo e che erano protetti da poteri imperialisti occidentali. Il termine “martire” combinato con “santo” aveva un significato diverso per il comunista. Ma c’era di più: i comunisti ritenevano il Vaticano responsabile di guardare la storia cinese dall’alto in basso e di umiliarla. Il governo aveva delle serie riserve sui santi martiri scelti da Roma. Di conseguenza, Pechino reagì chiedendo alla Chiesa cattolica delle province cinesi di protestare contro le canonizzazioni.
Perché la reazione di Pechino alle canonizzazioni fu così negativa? In primo luogo, la data della canonizzazione coincideva con la festa nazionale cinese. Ogni anno, il 1° ottobre, la Cina celebra la Giornata nazionale cinese per commemorare la fondazione della Repubblica Popolare Cinese (il 1° ottobre 1949). Inoltre, il 1 ottobre è l’inizio di una festa di sette giorni conosciuta come la “Golden Week” cinese. Questa è la festività pubblica più lunga della Cina oltre al Capodanno cinese. Per il governo comunista, il 1° ottobre ha significato cinque decenni di indipendenza della Chiesa cattolica cinese da una potenza straniera occidentale: il Vaticano. In secondo luogo, secondo il governo cinese, la maggior parte dei martiri vaticani selezionati (86 di loro) erano morti durante la ribellione dei Boxer del 1900, che mirava a sradicare ogni presenza e influenza straniera-occidentale in Cina. I comunisti consideravano i “martiri” cattolici trasgressori della legge cinese che erano protetti dagli occidentali e ora elevati all’onore dell’altare dal Vaticano, ma che invece non meritavano altro che punizione.
Ma il mese di ottobre, oltre a celebrare la Giornata nazionale cinese, ha un altro significato storico legato alle potenze occidentali e alle intenzioni degli imperialisti occidentali di soggiogare il popolo cinese. Nell’ottobre 1860, le truppe britanniche e francesi incendiarono l’intero complesso del magnifico Palazzo d’Estate. Questo famigerato atto segnò l’ultimo capitolo della cosiddetta Seconda Guerra dell’oppio (1856-60) e divenne un simbolo vivido dell’imperialismo occidentale famelico su cui gli storici cinesi non hanno mai smesso di richiamare l’attenzione quando discutono l’umiliazione della Cina per mano degli stranieri. Tuttavia, l’ottobre 1911 è significativo anche come il mese che ha dato inizio alla consapevolezza nazionale cinese, chiedendo l’uguaglianza con gli stranieri.
Così, in poche parole, ottobre ha segnato la fondazione di una nuova Cina libera e indipendente e la fine della discriminazione della Cina da parte degli stranieri. La decisione del Vaticano di canonizzare i 123 santi martiri il 1° ottobre dimostra infatti una scarsa conoscenza della Cina, della sua storia e del suo popolo, oltre all’incapacità di comprendere gli affari cinesi e di negoziare con il governo di Pechino. Sebbene il cattolicesimo sia una religione ufficialmente riconosciuta insieme al buddismo, al taoismo, all’islam e al protestantesimo, il fatto che l’intervento straniero e il Vaticano, essendo uno Stato straniero-occidentale-sovrano, ha complicato il controllo del governo sulla religione – in questo caso il cattolicesimo. La leadership di una potenza straniera occidentale era ed è inaccettabile per il governo comunista. Inoltre, Pechino non ha preso alla leggera il riconoscimento di Taiwan da parte del Vaticano, dato che la terraferma stava crescendo in potenza e prestigio. Le relazioni sino-vaticane sono infatti uno dei tanti problemi che Pechino ha nelle relazioni internazionali. Nel caso della Chiesa cattolica, il modo più semplice per esercitare il controllo di una religione straniero-occidentale è quello di nominare direttamente i suoi vescovi. Questa soluzione ha avuto molto senso per Pechino.
Quale fu, allora, il risultato delle canonizzazioni dei martiri cinesi nell’Anno giubilare? I santi hanno forse rattoppato i rapporti sino-vaticani o hanno separato ancora di più Pechino e Roma? Quest’ultimo è stato il caso.
Il settembre 2018 segna un nuovo e inedito inizio nelle relazioni sino-vaticane. Un comunicato della Santa Sede annuncia un accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi. L’accordo è stato annunciato di natura “provvisoria”. Che cosa significhi questo non è specificato nell’annuncio. Inoltre, è stato annunciato che Papa Francesco “riammette alla piena comunione ecclesiale i restanti Vescovi “ufficiali”, ordinati senza mandato pontificio” – i vescovi nominati dal governo comunista, “alcuni di questi vescovi riconciliati” secondo padre Bernardo Cervellera, specializzato nelle questioni della Cina “sono noti per avere amanti e figli e per essere collaboratori” del regime. Il risultato, secondo il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, è che ora, “per la prima volta tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il vescovo di Roma, con il successore di Pietro“.
Ma la questione spinosa rimane ancora, perché la Santa Sede sta cedendo il potere all’Associazione patriottica cattolica cinese e al governo cinese ora nella nomina dei vescovi? Francesco sceglierà nuovi vescovi? O farà una scelta tra i candidati proposti dal governo cinese? Si tratta di un nuovo e pericoloso tassello del 2018 nelle relazioni sino-vaticane? Perché il Vaticano sta dando il suo sostegno all’Associazione patriottica cattolica cinese, alla chiesa aperta, abbandonando apparentemente la chiesa clandestina e perseguitata? Insomma, perché la Santa Sede sta deludendo i fedeli cattolici? Roma sa che i cattolici clandestini hanno subito un’oppressione a causa della loro fedeltà a Roma e perché non si sono registrati presso il governo e si sono rifiutati di sottomettersi all’Associazione patriottica cattolica cinese. Nella sua intervista in volo di martedì, Francesco lo ha riconosciuto, affermando: “Penso alla resistenza, ai cattolici che hanno sofferto. È vero. E, soffriranno. Sempre, in un accordo, c’è sofferenza”.
Una cosa va chiarita: per Pechino, “libertà di credo religioso” o libertà religiosa significa che i cattolici non hanno il diritto di avviare attività religiose al di fuori delle chiese sostenute dal governo e dei luoghi di culto approvati dal governo, o di accettare la nomina dei vescovi da parte di Roma. In nome della libertà religiosa, ogni atto di culto o attività religiosa deve essere attentamente monitorato dai sacerdoti e vescovi della chiesa aperta o registrata, soggetti e operanti sotto l’egida dell’Associazione patriottica cattolica cinese. Questo è l’unico modo per la leadership di Pechino di comprendere ed esercitare la libertà religiosa dove il patriottismo cinese e la fedeltà al governo comunista e al Paese vengono prima di tutto.
Pechino non accetterà la doppia o condivisa fedeltà dei cattolici cinesi al Paese e a un Paese straniero occidentale – il Vaticano. Per il comunista cinese è impossibile essere fedeli a un’autorità esterna straniera e obbedire al governo nazionale. La domanda è semplice. A chi obbedisce per primo un cattolico cinese: al presidente della Repubblica popolare cinese o al romano pontefice? Per Pechino, la risposta è il presidente, e il governo nomina ed esercita il controllo sui vescovi, la potenza straniera, il Vaticano deve seguire di conseguenza.
Quindi, l’accordo provvisorio del 2018 è una riappacificazione nelle relazioni sino-vaticane? Il recente accordo provvisorio è un nuovo tassello nei rapporti sino-vaticani che potrebbe rivelarsi doppiamente pericoloso, a livello nazionale e universale, all’interno della Chiesa cattolica cinese e della Chiesa cattolica universale, interrompendo la lunga tradizione ecclesiastica nelle nomine episcopali. In primo luogo, a livello nazionale, potrebbe causare uno scisma e una divisione senza precedenti tra i fedeli cattolici cinesi appartenenti alla Chiesa aperta e clandestina, quella registrata dal governo, e quelli appartenenti a quella non registrata. In secondo luogo, la nomina dei vescovi da parte di un governo comunista senza mandato vaticano è una violazione della tradizione della Chiesa. Il Codice di Diritto Canonico 1382 è chiaro: “Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e chi da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica“.
La Dignitatis Humanae, la Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa, perora la causa a favore della libertà religiosa, menzionando specificamente la libertà e il mandato della Santa Sede nelle nomine dei vescovi:
“Le comunità religiose hanno anche il diritto di non essere ostacolate, né da provvedimenti legali né da azioni amministrative da parte del governo, nella selezione, formazione, nomina e trasferimento dei propri ministri, nella comunicazione con le autorità religiose e le comunità religiose all’estero, nella costruzione di edifici a fini religiosi, nell’acquisizione e nell’utilizzo di fondi o proprietà adeguate”.
Inoltre, Papa Benedetto XVI, nella sua lettera del 2007 ai vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, dedica un’intera sezione alle nomine episcopali, intendendo la nomina dei vescovi di Roma come espressione di libertà religiosa molto diversa da come la intende Pechino. Papa Benedetto XVI ha affermato che “la nomina dei vescovi per una particolare comunità religiosa è intesa, anche nei documenti internazionali, come elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa. La Santa Sede vorrebbe essere completamente libera di nominare i Vescovi“.
L’accordo provvisorio vaticano dell’ultimo scorcio del 2018 è un buon compromesso nei rapporti sino-vaticani? La storia e la tradizione della Chiesa indicano fortemente il contrario. Infatti, come dice il proverbio, una toppa potrebbe essere migliore del buco, ma nel lungo periodo il buco potrebbe rivelarsi più giusto della toppa e questo potrebbe essere il caso dell'”accordo provvisorio” sino-vaticano del 2018.
Fonte: The Catholic World Report
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