bce Banca Centrale Europea
Banca Centrale Europea

 

 

di Claudio Izzo

 

L’8 settembre, il Consiglio Direttivo della BCE ha aumentato i tassi d’interesse dello 0,75%. Ma questo intervento a cosa potrà mai servire?

La dichiarazione ufficiale parla della necessità di contrastare l’inflazione che, in ambito UE, ha raggiunto, su base annuale, il 9,1% ad agosto. C’è, però, qualcosa che non mi quadra. I sacri testi di economia indicano chiaramente la necessità di una politica monetaria restrittiva (e, quindi, con tassi in rialzo) se siamo in presenza di un’inflazione importante. L’inflazione deve derivare, però, da un eccesso di domanda e non da un incremento di costi.

Inflazione

inflazione area Euro

Intendiamoci bene, la situazione corrente dipende dalla crescita dei costi conseguente alla ripresa economica del dopo covid, che è stata disarticolata e selvaggia. Questo non ha determinato una crescita della domanda, che era e continua ad essere molto esile, bensì ha fatto lievitare i costi di produzione che parzialmente sono stati compensati da una riduzione dei margini, ma soprattutto hanno determinato un aumento dei prezzi.

Ora, mi sapete dire a cosa servirà mai aumentare i tassi ufficiali? Non serve a ridurre la domanda, perché è già bassa e non serve a calmierare i costi di produzione, perché, viceversa, tende a farli ulteriormente lievitare.

In questa fase, una volta capite le ragioni, sarebbe stato molto più opportuno ridurre gli oneri finanziari, almeno per tentare di compensare l’incremento dei costi delle materie prime. Ma questo provvedimento non era voluto dalla grande finanza che intende cogliere tutte le opportunità per incrementare la propria speculazione.

Non possiamo dimenticare che la FED prima, e la BCE dopo hanno inondato il pianeta di liquidità per anni con la scusa di supportare una crescita economica che stentava a decollare, ma in effetti hanno dato solo fiato alla speculazione gestita e diretta dalle banche. Le banche centrali hanno volutamente mancato nella sorveglianza della destinazione dei fondi derivanti dal Quantitative Easing ( modo di creare nuovo denaro e iniettarlo nel sistema finanziario ed economico attraverso l’acquisto di alcune categorie di asset), che non sono mai arrivati fino alle imprese e si sono sempre fermati nei conti delle banche o delle società limitrofe. Insomma, Christine Lagarde continua sulla strada tracciata dalla coppia Ben Bernanke – Mario Draghi tesa solo a dare spazio e sostegno alla grande finanza e al processo di finanziarizzazione dell’economia.

Ma c’è di più. L’inflazione fa comodo, soprattutto ai debitori; pensate solo ai quattrini che sono stati utilizzati da quasi tutti i paesi occidentali per sostenere la ripresa dopo la crisi covid. Questi finanziamenti hanno incrementato il debito pubblico e dovranno essere restituiti, prima o poi. Se, intanto, facciamo galoppare l’inflazione, il valore reale di tutto il debito pubblico diminuisce e, se poi, la lasciamo correre per 5 anni capirete bene che i benefici saranno consistenti. Se, per esempio ipotizzassimo che nel periodo 2022-2026 l’inflazione dovesse arrivare e rimanere al 10% annuale, avremmo ridotto il valore reale del debito pubblico del 65%. Niente male come strategia alternativa di controllo delle spese e poco importa se saranno i risparmi privati e i redditi fissi a pagarne le conseguenze; stiamo solo parlando di redistribuzione del reddito e della ricchezza, come è già successo tante altre volte nella storia.

 


 

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