Ricevo e volentieri pubblico.
Le considerazioni degli amici Rodolfo e Sabino (leggi qui) mi interpellano perché le parole verità e unità sono parole chiavi della nostra esperienza di figli del Gius. Inoltre, le loro parole non sono banali e vanno approfondite, non vanno fatte scivolare via in una continua rincorsa di suoni. Vanno invece fatte depositare e verificate nel nostro cuore, dentro una storia.
Non c’è unità senza verità, ma è anche vero che l’unità è il test della verità.
Viviamo in tempi drammatici in cui queste parole, che per loro natura sono unite, vengono scisse.
Forse per comprenderle occorre andare all’origine della nostra esperienza personale.
Io ho fatto esperienza di unità quando ho fatto esperienza di una corrispondenza, di una verità che diventava carne, che mi accompagnava anche nel dettaglio della mia vita.
Essa é stata piena di “persone o momenti di persone“ in cui il “Mistero” diventava trasparente, guardavo, contemplavo una corrispondenza inaspettata ma reale.
Una corrispondenza che più che il sentimento muoveva la ragione, muoveva tutto il mio “io”.
Cristo diventava carne attraverso dei volti…un carisma…il Giuss.
Non mi sono mai fatto problemi “sull’unità“, su come essere uniti perché lo sguardo affascinato era calamitato su chi compiva il mio cuore.
E di fianco scorgevo altri volti con uno sguardo come il mio. Li sentivo fratelli anche senza conoscerli, fratelli per la vita perché “figli“, perché, come me, facevano l’esperienza di una paternità, di una resurrezione dalla morte, da una mancanza di senso.
Nasceva un popolo.
Un popolo che puntava all’unità in tutto ciò che viveva, ma in una totale libertà, soprattutto di pensiero.
Ma ciò su cui stiamo riflettendo fa emergere, secondo me, altre due parole che sono legate in maniera indissolubile.
La verità non è solo una corrispondenza tra il mio io e Dio.
Troppe volte nel giudicare manca “la coscienza di essere peccatori“, come se il fatto di pensare, di aderire al Vero mi portasse a viverlo.
Il peccato originale non viene tolto anche se abbiamo fatto l’Incontro.
Può sembrare banale, ma troppe volte il ritrovarsi nei gruppi è solo “un capire meglio“, un’analisi, un penetrare una verità in maniera teologica come se fosse lì il nostro aderire a Cristo.
E questo non é errato, ma come ci insegnano i nostri vecchi, il punto è la conversione.
Per la vecchietta che non sapeva né leggere né scrivere, ma aveva chiaro il Catechismo, l’essenza non era studiare teologia ma dare la vita a Dio, giorno per giorno, in ginocchio di fronte a Cristo, che fosse nella forma del ricevere l’Eucaristia o confessarsi o cucinare per il marito.
L’altra parola chiave è con-vocazione.
Questo popolo nasce perché siamo con-vocati, c’è Uno che mi, ci, chiama.
Mi ama e mi chiama a un compito, mi chiama a essere missionario, a portarlo in quel che faccio, in tutti gli angoli della terra, anche se fossi dentro una cella claustrale.
Mi chiama “con”, dove l’altro diventa la carne di Cristo.
Rodolfo colpisce nel segno, purtroppo, quando afferma la prevalenza di un settarismo che scarta chi non la pensa esattamente come noi che, appunto, diventa “il traditore“.
Questa è diventata la quotidianità tra noi.
Quanti amici sono usciti dal metodo,” dalla forma di insegnamento”, per affermare un loro “vero“, con solo un libro in mano a giudicare una vita.
Rinnegando un padre, una storia di salvezza.
Si può uscire da una “forma”, non da una paternità (come ci insegnano le varie “riforme“, soprattutto in ambito benedettino e francescano).
Ma non capisco perché Rodolfo l’assegni solo a chi afferma: «L’unità si fa attorno alla verità. Non rinuncio alla verità per l’unità».
Personalmente la vedo, ma la estenderei anche a chi dice: «No, nel cristianesimo l’unità si fa attorno all’unità. Attorno all’unità che viene prima».
L’unità non si costruisce, si riconosce.
L’unità che non nasce dal vero, un vero costantemente guardato, puzza troppo di “centralismo democratico“. La frase “l’unità si fa attorno all’unità“ può anche suonare bene, ma gli effetti sono devastanti, il solo affermarlo mi terrorizza.
Io posso accettare una mortificazione (affettiva o di giudizio, che esprimono l’umano nella sua totalità) solo perché intravedo il vero, anche se posso non capire il contingente.
Ma se elimino il vero, l’unità avviene sulle conseguenze. Ed essa si basa solo sulla condivisione di uno stesso pensiero a cui cedo la mia libertà, con la conseguenza che l’essere una famiglia, una fraternità, si trasforma in un partito, dove ognuno deve condividere la stessa “linea“ politica. E in questa situazione, il mio “io” viene soppresso, non viene esaltato attraverso un sacrificio, anche ingiusto.
Caro Rodolfo, ma se ci pensi, Carron fu chiaro, pur nell’ipocrisia di un “siete liberi di andare al Family day”. Fu chiaro nel rifiuto di quelle manifestazioni….ma allora, per amore di questa unità che tu ora invochi, non ci saresti dovuto andare. Non avresti dovuto partecipare.
Per fortuna invece che c’eri, come tanti di noi….che hanno affermato la “verità“ di fronte a una falsa unità.
Chi andò al Family day del 20 giugno 2015 venne ripreso duramente con le seguenti parole: “Chi è andato a Roma è contro il Giuss, Carron e l’incontro fatto“.
Ma io a Roma ci andai, e ci tornerei per una fedeltà al carisma, e poco mi importa se le indicazioni fossero altre.
La Chiesa, che è Madre, afferma l’unità richiamandoci al vero e combattendo l’eresia.
L’eresia è nemica dell’unità, perché è una verità artefatta, non compie il cuore.
Così anche nel nostro piccolo popolo si è lasciata vivere e prosperare una “mutazione genetica del nostro carisma“…. per amore dell’unità.
Io non seguo per amore dell’unità una non-verità, con tutto il rischio del soggettivismo che ciò comporta.
NON MI FACCIO STRAPPARE UNA STORIA DI SALVEZZA, NON MI FACCIO STRAPPARE LA SPERANZA.
L’unità tra di noi non può andare contro la storia nostra, a un fatto oggettivo.
Non so cosa avrebbe pensato il Giuss sui vaccini, ma credo che si sarebbe trovato in piazza contro il GREEN PASS, contro uno Stato che viola i diritti fondamentali della persona.
Caro Rodolfo, anch’io ho visto il video cui accenni nella parte finale del tuo scritto ….quello che nel video viene descritta non é CL, sarà pure un ex capo, ma non è la nostra esperienza.
Domandiamoci se questo amore per l’unità abbia preservato l’unità o, piuttosto, non abbia acuito le divisioni. Chiediamoci se questa scelta sia stata veramente educativa per i giovani, e anche per tutti noi, visto che a molti è mancato un “porto“ dove ripiegare le vele……almeno per una notte nella tempesta! E’ mancata una stella polare verso cui indirizzare lo sguardo!!
Molti si sono autocensurati per paura di spaccare ciò che era già in frantumi. Alcuni sono addirittura diventati violenti con i pochi “grilli parlanti“ che gridavano che 2+2 fa 4.
Questo sguardo inoltre ha provocato un disinteresse per il reale…..basta vedere come ormai accettiamo tutto ciò che “il mondo” ci propone senza che si esprimiamo un giudizio.
Ora raccogliamo i frutti amari di questo “amore per l’unità“
Ciò che è mancato nel movimento in questi anni è sicuramente l’unità, ma perché si è affievolito il richiamo alla verità, e si è anche infiacchita la carità, come Sabino faceva notare.
Qualche giorno fa ho parlato con un amico che non vedevo da tempo e mi raccontava la sua rabbia, lui che non lavora più in quanto non vaccinato e non tamponato per scelta. Mi ha raccontato di come la sua fraternità lo consideri un estraneo, un nemico.
Questo mi ha addolorato parecchio, come mi ha afflitto la lettera di Brunella che è stata postata qualche giorno fa su questo blog.
Che amore c’è al destino dell’altro?
Siamo ancora popolo? Siamo ancora un fraternità?
La parola unità diventa ridicola nella sua esperienza attuale, ma allo stesso tempo è un germoglio nelle macerie se iniziamo a guardare con gli occhi di Dio.
Con-vocati: affermare questo è una croce continua….sei mio fratello anche se mi sputi in faccia, ma io ti abbraccio, perché sono continuamente abbracciato da un Altro.
Infatti, la preferenza di Dio non viene mai meno, una presa irreversibile, e il battesimo ne è il segno supremo.
A noi tocca solo andare all’origine del nostro Incontro e dire “Fiat“. A noi spetta fare nuovamente esperienza di come Dio si è fatto incontro, con una precisa voce, con specifici occhi che ti penetravano, amandoti.
Occorre un’ascesi continua dentro le macerie del movimento, e anche del nostro io, ma con uno sguardo certo e grato.
Solo da uno sguardo così il nostro popolo potrà risorgere.
Francesco Lepore
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