E’ indubbio che questo contagio globale, questa pandemia, sta toccando profondamente il nostro essere, il nostro cuore, le nostre sicurezze, le nostre capacità anche scientifiche di dominare il mondo. E’ naturale che tantissime persone di fede si pongano la domanda se questa drammatica situazione si possa e si debba leggere come un segno di Dio, come un suo ammonimento, andando così oltre la cornice scientifica che riduce il tutto ad un semplice fenomeno naturale, per quanto gigantesco. La situazione è così drammatica che persino atei professi, medici e infermieri, dinanzi alla lancinante esperienza del limite hanno ritrovato la fede in Dio. 

E se questo dramma è inquadrabile nell’alveo dell’ammonimento di Dio, allora la situazione chiama in causa il nostro peccato, il peccato nella Chiesa. A tal proposito, mi viene in mente la celebre frase del drammaturgo statunitense T.S. Eliot, tante volte ripetuta da don Luigi Giussani, che dice: 

 “È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?”

Don Giussani, in una intervista video per i 50 anni di Comunione e Liberazione, rispose: «Tutti e due, tutte e due, perché innanzitutto è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, perché se io ho bisogno di una cosa, le corro dietro, se quella cosa va via. Nessuno correva dietro».

Domanda: E la Chiesa quando ha abbandonato l’umanità?

Don Giussani: «La Chiesa ha cominciato a abbandonare l’umanità secondo me, secondo noi, perché ha dimenticato chi era Cristo, non ha poggiato su… ha avuto vergogna di Cristo, di dire chi è Cristo».

Mons. Nicola Bux, teologo, con questo suo intervento affronta questa domanda di senso che l’angosciante pandemia ci spinge inesorabilmente a porci. 

Data la densità dei contenuti, presento la lectio di Bux sia in video sia per iscritto in modo che possa essere meglio riflettuta e approfondita.

 

(se il video qui sotto non si carica fare il refresch di questa pagina oppure cliccare qui)

 

IL CASTIGO PROVVIDENZIALE CHE CI SALVA

 

di Nicola Bux

 

Limite

Nell’aggravarsi della crisi della civiltà occidentale, si erge il grande interrogativo: Cos’è l’uomo di fronte alla presunzione di superare il proprio stesso limite, combinando le armi della scienza e del diritto? Appare evidente come la chiave di volta del discorso sull’uomo è il confine della sua libertà. Un confine da non circoscrivere all’ambito della fede, ma da ricercare – secondo l’invito di Pascal a vivere “come se Dio esistesse”, rilanciato da Ratzinger ai non credenti – nella verità iscritta nel cuore di ogni uomo e nelle leggi immutabili del diritto naturale. Difendere la persona e la sua autentica libertà, è un imperativo categorico per chiunque abbia a cuore le sorti dell’Occidente e dell’umanità (cfr C.Ruini-G.Quagliariello, Un’altra libertà. Contro i nuovi profeti del paradiso in terra, Rubbettino, Soveria Mannelli 2020, p.7-9).

Possiamo leggere questo contagio come “un segno dei tempi”, nel senso innanzitutto di ammonimento al mondo: tanti abbracci e tanti rapporti, anche contro natura, dai quali, ora, come pena del contrappasso, bisogna astenersi. Abbiamo sfidato le leggi naturali e commesso i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”. Che dire dell’infedeltà e dell’indifferenza, di quanti vivono nell’ateismo pratico, e postulano la natura emancipata da Dio! E poi adultèri, aborti, divorzi.  Abbiamo conculcato i diritti di Dio e messo al loro posto quelli dell’uomo. Che cosa sta sotto? Mi allaccio alla conclusione del recente intervento del prof. Stefano Fontana: “Purtroppo la secolarizzazione ci ha abituato a pensare ogni livello come autonomo: la tecnica autonoma dalla scienza, la scienza autonoma dalla politica, la politica autonoma dall’etica, l’etica autonoma dalla religione…Ogni gradino sarebbe in grado di raggiungere autonomamente i propri fini, e sostenere il contrario sarebbe integralismo. Ma il Fine ultimo non è l’ultimo gradino di una scala che semplicemente si aggiunge ai precedenti, esso coincide invece col Principio. Nessun gradino intermedio può farcela da solo: “Senza di me non potete far nulla” (La messa è essenziale per il bene comune, La NBQ 09.03.2020). Mi ha rammentato quanto diceva Don Giussani: Dio c’entra con la matematica. Ebbe ad affermarlo anche Benedetto XVI in un discorso ai giovani della diocesi di Roma. Ritornando al discorso di Fontana, viene in mente un passaggio dibattuto della Gaudium et spes sull’autonomia delle realtà temporali: se con tale espressione “si intende che le cose create non dipendono da Dio, che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora tutti quelli che credono in Dio avvertono quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (36). Si deve applicare questa convinzione alla concezione ecologista oggi diffusa, che il creato vada a ramengo se non interviene l’uomo; questo è contro l’insegnamento della Rivelazione, suffragato da tanti padri e dottori, si pensi solo a Clemente, Atanasio e Tommaso.

 

Ammonimento

 

Ma, questo contagio è anche un ammonimento agli uomini di Chiesa, che, in nome del “cambio di paradigma”, subordinano l’insegnamento di Cristo alla realtà del mondo; dicono di non capire i principi non negoziabili; ritengono l’in-equità e non il peccato, la radice dei mali sociali; hanno permesso la sceneggiata gnostica e neopagana sulla facciata di san Pietro; hanno abbandonato la missione del Vangelo e la necessità della conversione, in favore del dialogo compiacente con le religioni, il Dio cattolico per il Dio unico; hanno presentato Lutero come medicina per la Chiesa; avallato la morale di situazione al posto dei principi morali. In una parola, col cambio di paradigma si sono conformati alla mentalità mondana. In verità, sin dalle origini del cristianesimo, alle comunità cristiane, circondate da costumi non certo sobri, simili agli attuali, non importava scendere a patti con la mentalità corrente. Al contrario, ai Padri, stava a cuore differenziarsi in modo netto dagli atteggiamenti propri del paganesimo. Quel mondo, così lontano dagli ideali evangelici, non è destinatario di comprensione e non va blandito, ma sfidato. Invece, i documenti pastorali parlano spesso di sfide, ma poi non le affrontano e cedono al mondo, al suo pragmatismo. Ma nel recente sinodo, invece di promuovere le vocazioni sacerdotali e il celibato, stavamo varando i viri probati e immaginando nuovi ministeri per la donna, la conversione ecologica invece che quella del cuore, l’economia globale invece di quella della salvezza, una chiesa sinodale invece che quella voluta da Gesù Cristo, gerarchicamente ordinata, fino a mutare le formule sacramentali e il Pater noster, ritenendo che Dio, per il nostro bene, non possa introdurci nella prova.

Il virus ha vanificato tutto. Ora il papa, così preoccupato del pueblo, è rimasto senza popolo; i preti, così inebriati di partecipazione, sono senza fedeli; i fedeli, così abituati alle liturgie comunitarie, soffrono l’abbandono, per non essere stati addestrati all’adorazione, al raccoglimento in ginocchio, alla preghiera personale, fatta nel segreto, dove il Padre solo ci vede. Al tempo dell’asiatica (1969) e del colera (1973) eravamo ancora abituati. In sostanza, abbiamo voluto esaltare il corpo ecclesiale, non preoccupandoci delle singole membra; oggi non sappiamo pregare personalmente; stiamo fisicamente nella liturgia, ma ciascuno né riceve, né dà alcunché. Le chiese sono desolate, fedeli e pastori come esiliati.

Un prelato tedesco disse qualche mese fa, forse inconsapevolmente: “nulla sarà come prima”. Nel dibattito sul sinodo sull’Amazzonia, si sono ridotti il celibato e la liturgia a questioni interne alla Chiesa, dimenticando che essi hanno finalità missionaria, sono rivolti al mondo affinché riceva efficacemente l’annuncio del Vangelo. Abbiamo parlato a iosa di “parola di Dio” e dimenticato di aggiungere che in essa c’è la Rivelazione del Dio vivente. Ci è piaciuto rimuovere il Crocifisso dal centro delle nostre chiese, ancor più il tabernacolo del Santissimo, e sostituirli frettolosamente col Risorto e con la sede del celebrante. Sicuramente, dopo questa piaga, per chi avrà occhi per vedere, orecchi per udire, cuore per pensare, nella Chiesa e nel mondo nulla sarà come prima. Il Signore ha mostrato altre vie!

 

Duecento anni?

 

Sembra una piaga d’Egitto che colpisce anche gli innocenti; sembra in azione l’angelo sterminatore dell’Esodo che fa morire e fa vivere; sembra la grande tribolazione di Daniele. Questo contagio è preconciliare: sta spiazzando la Chiesa e la sta riportando molto più indietro dei duecento anni paventati dal card. Martini: la sta sospingendo nell’ambito assegnatole dal suo Fondatore, che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita! Chi vive e crede in me non morirà in eterno”. Un terreno abbandonato dalla catechesi moderna in favore del ‘sociale’: quello dei Novissimi. Proprio le prediche di questo tempo – i celebri quaresimali – avevano il compito di affrontarli ogni anno, perché l’uomo ogni giorno si trova dinanzi alla morte e al giudizio, all’inferno e al paradiso, speriamo almeno al purgatorio. Nelle chiese c’erano sette altari e anche più, per permettere ai sacerdoti di offrire numerosi il santo Sacrificio eucaristico per la remissione dei peccati. Prima di questa emergenza, molti ritenevano che la Messa privata o “senza popolo” fosse, se non invalida, almeno illegittima come sostenevano alcuni fautori del movimento liturgico: un pensiero diffusosi dopo il Concilio Vaticano II, anche a motivo di talune deformazioni della concelebrazione, ancora non chiarite. Eppure, tanto Pio XII nella Mediator Dei, quanto Paolo VI nella Mysterium fidei, hanno sostenuto la validità di quella Messa e la sua piena legittimità: «ogni Messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, la quale nel sacrificio che offre, ha imparato ad offrire sé medesima come sacrificio universale, applicando per la salute del mondo intero l’unica e infinita virtù redentrice del sacrificio della Croce» (Mysterium fidei, § 33). Tutto nasceva dall’equivoco circa la natura della Messa, quale preghiera pubblica della Chiesa e si sosteneva che “pubblica” significasse partecipata dal popolo. Per cui, Messe private o senza popolo, non erano più ritenute ammissibili.

Il regno di Dio è sotto il segno della beatitudine, ma la Rivelazione parla di castighi divini finalizzati a riconciliare con Dio ogni creatura: “il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito. L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore, che seguisse il proprio consiglio” (Ps 81, 12-13). Una riflessione seria su questo passo ed altri simili della Sacra Scrittura, non potrebbe diventare una parola vera dei Pastori al Popolo di Dio? Un vero è proprio invito alla conversione? Forse sarebbe il caso di dire, ad esempio, che in questo mondo costruito dall’uomo senza voler ascoltare Dio, anzi lasciandolo completamente fuori, ora dobbiamo fare i conti con la durezza del nostro cuore… Questo andava premesso, dai pastori che nella Chiesa hanno munus di insegnamento, alle disposizioni circa le celebrazioni in tempi ordinari o eccezionali come al presente, ove si sta sopportando una pena non lieve. Non ci si deve fermare agli aspetti giuridici, chiudendo le chiese come se fossero uffici pubblici, perché esse sono come cliniche dello spirito. I grandi papi e vescovi invece hanno difeso con fermezza i diritti della Chiesa. Ha scritto il card. Burke: “Dobbiamo insistere affinché le norme dello Stato, anche per il bene dello Stato, riconoscano l’importanza distinta dei luoghi di culto, soprattutto in tempi di crisi nazionale e internazionale. In passato, infatti, i governi hanno compreso soprattutto l’importanza della fede, della preghiera e del culto del popolo per superare una pestilenza.”(Messaggio del 23 Marzo 2020). Invece, è la santa Chiesa che giudica la storia e non viceversa, perché tutto ciò che accade nella storia è permesso da Dio che è giustizia infinita e misericordia infinita.

 

Rivelazione

 

Nel gergo corrente si applica, spesso a sproposito, a persone ed eventi: “è un castigo di Dio”, “è un’ira di Dio’. Applichiamolo ora alla pandemia: come considerarla? Questo è un castigo di Dio, nel senso di castus, “puro”, e ago, “fare”: rendere puro? E’ un fatto che siamo come bimbi in castigo e…con la museruola (la mascherina, ndr). Perché si fa fatica ad accettare che Dio castiga? Eppure sin dal tempo dei greci e dei romani, arrivando al secolo scorso, si facevano le processioni e si formulavano i voti perché cessasse il castigo. Oggi, la parola “castigo”, suscita scandalo persino tra gli ecclesiastici, perché si è dimenticato che, all’origine della storia del mondo, dopo l’amore, ci sono il peccato, l’ira e il giudizio. E’ vero che, in Gesù Cristo, noi adoriamo il mistero dell’amore divino che con pazienza e misericordia, ottiene la conversione del peccatore; ma, l’ignoranza, la peste, la fame, la guerra, la sofferenza, la morte, rivelano all’uomo la sua situazione di peccatore, la conseguenza del castigo; infine, Dio mostra il suo volto che giudica e salva, come spesso invocano i salmi: “Mostraci il tuo volto e saremo salvi”. Dunque il castigo è segno del peccato, perché fa comprendere che ci siamo separati da Dio (cfr Rom 8,20); il castigo è anche frutto del peccato, perciò è lo sbarramento opposto al peccato e può risolversi in condanna per gli uni e in conversione per gli altri (cfr Lc 15,14-20). Cristo ha conosciuto il castigo, non a causa dei peccati che aveva commesso, ma di quelli degli uomini che egli toglie e porta su di sé. Dunque, il castigo è rivelazione di Dio! Chi non accoglie la grazia della visita divina, urta contro la santità di Dio e si scontra con Dio stesso (cfr Lc 19,41-44); così, dice il profeta: “Allora saprete che io sono Jahve” (Ez 11,10; 15,7). E Gesù: “Chi crede nel figlio ha la vita eterna, chi non obbedisce al figlio…vedrà l’ira di Dio incombere su di lui”(Gv 3,36). Il castigo, essendo rivelazione, è eseguito dal Verbo (cfr Sap 18,14 s; Ap 19,11-16). Proprio dinanzi a Gesù Cristo crocifisso assume le sue vere dimensioni (cfr Gv 8,28). Cristo è stato castigato al posto nostro e per la nostra salvezza.

 

Correzione

 

Ora, il sacrificio di Cristo chiede la nostra conversione, la nostra correzione: “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio” (Eb 12,5-6). Torniamo a guardare a Cristo e al nostro peccato. Anche noi dobbiamo portare la croce e compiere ciò che manca alla sua passione (Col 1,24): dobbiamo sopportare la pena (poenam tenere), la penitenza che ci mette in castigo. Il castigo rivela le profondità del cuore di Dio: la sua gelosia, la sua ira, la sua vendetta nei confronti dei suoi nemici, la sua giustizia, la sua volontà di perdono, la sua misericordia, infine il suo amore incalzante. L’educazione della libertà dell’uomo non può compiersi senza correzione (cfr 1 Cor 11,32; Gal 3,23 s). Per l’uomo carnale, il castigo è giudizio di condanna, per l’uomo spirituale, il castigo è espiazione in Cristo, e il giudizio è giustificazione. Dirà san Tommaso, che il castigo va visto come medicina o come punizione.

Dunque, a confronto con la Rivelazione, senza dubbio l’attuale pandemia è un castigo di Dio perché i diritti di Dio sono stati conculcati. Direbbero i Profeti: ci siamo allontanati da Dio, commettendo quello che è male ai suoi occhi, anche dentro la Chiesa. Osserva ancora il card. Burke: “Siamo testimoni, anche all’interno della Chiesa, di un paganesimo che adora la natura e la terra. C’è chi, all’interno della Chiesa, si riferisce alla terra come a nostra madre, come se venissimo dalla terra, e la terra fosse la nostra salvezza” (Ivi). Abbiamo ceduto all’idolatria – contro il primo comandamento, il peccato più grave – mettendoci in ginocchio davanti a cumuli di terra e venerando statuette idolatriche persino nella basilica di san Pietro; abbiamo trasformato le chiese in bivacchi e in trattorie, quando avevamo strutture ben più adatte per ospitare poveri e migranti; abbiamo dimenticato a cosa serva una chiesa e perché la si dedichi con rito solenne; abbiamo compiuto abusi, profanazioni nella sacra liturgia e deformazioni insopportabili, insulti e irriverenze, siamo arrivati a dire che la grazia di Dio possa coesistere con situazione di peccato abituale, autorizzando Comunioni sacrileghe a peccatori impenitenti. La liturgia è divenuta, come dice Isaia, un imparaticcio di usi umani (cfr 29,13). Abbiamo seminato confusione tra il popolo di Dio, con la coesistenza dei due papi e favorito la consegna dei fedeli alle autorità civili di stati atei come la Cina. Risuona il monito di Paolo VI: l’autodemolizione della Chiesa. L’ateismo e la perdita della fede hanno preso dimora tra gli uomini di Chiesa, come ha detto il card. Müller?

 

Supplica

 

E’ un caso che questa epidemia sia scoppiata in Italia all’inizio della Quaresima? E perché in modo così virulento proprio da noi? La liturgia quaresimale considera la penitenza del corpo come medicina dell’anima. Vuol dire che anche oggi la grazia divina è a portata di mano! E’ il tempo favorevole per annunciare la salvezza di Gesù Cristo, che consiste nella preziosità dell’anima rispetto al guadagno dell’intero mondo. La Chiesa Romana, nelle sue preghiere pubbliche per fugare le pestilenze, le epidemie, la mortalità diffusa, nell’ultima orazione, prega Dio di rimuoverle perché i mortali capiscano che tali flagelli vengono dalla Sua indignazione e possono cessare per la Sua miserazione: Miserere nostri, Domine! Miserere nostri. Possiamo dire con la liturgia quaresimale: Grande è il nostro peccato, ma più grande è il tuo amore, cancella i nostri debiti a gloria del tuo nome. Nel segreto dell’anima prostriamoci e imploriamo la divina clemenza, dall’ira del giudizio liberaci…Perdona i nostri errori, sana le nostre ferite, guidaci con la tua grazia alla vittoria pasquale.

L’ora della giustizia è arrivata inattesa, dopo quella della misericordia? Si deve sperare di no e, finché c’è tempo, supplicare: “Per la Sua dolorosa Passione abbi misericordia di noi e del mondo intero.” Per questo preghiamo il Signore affinché il suo Arcangelo rinfoderi quanto prima la spada. Eleviamo suppliche come incenso alla gloria del Signore:” Per la gloria del tuo nome, Dio onnipotente, vieni a liberarci. Donaci tempo per la penitenza.”

Siamo in un castigo provvidenziale che darà i suoi frutti, ma dobbiamo fare un atto di dolore perché peccando abbiamo meritato i Suoi castighi e molto più perché abbiamo offeso Lui infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Proponiamo col Suo santo aiuto di non offenderlo mai più, facciamo solenni voti e la pandemia si allontanerà. Non abbiamo paura ma timore di Dio, sì: esso ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Lui; timore di offendere Lui nostro Padre, perché noi siamo suoi figli, e sotto il suo sguardo ogni giorno viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cfr At 17,28). Principio della sapienza è il timore del Signore e se desideriamo la sapienza osserviamo i Comandamenti: nella certezza che Gesù mantiene la sua promessa: Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Perché ci sarà sempre un resto che resiste, attorno ai santi, con Maria e il suo cuore immacolato.

Sembra che Egli ci dica: “Pastori e Ministri del Suo Corpo Mistico, abbiate occhi per vedere la rovina in corso e orecchi per sentire il «Lamento di Dio», affinché non vi capiti di essere tacciati come quei ragazzi della piazza ai quali diremo: «Abbiamo suonato e non avete ballato, abbiamo cantato lamenti e non avete pianto!». Dio elargisce i suoi doni, ma lascia sempre e comunque al singolo individuo la responsabilità della risposta!

 

 

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