Una certa mentalità, diffusa nella Chiesa, pretende di assorbire ogni elemento, che proviene dalle religioni e dalle culture, come buono e utile al progresso umano. Ma in molte delle tradizioni culturali e religiose sono ancora presenti sensibilità pagane, che introducono prassi idolatriche e dannose alla fede.

Indigeno amazzonia

 

 

di Silvio Brachetta

 

«Neque figuras aliquas in cute incidetis», «né vi farete segni di tatuaggio», ordina Dio per mezzo di Mosè, in Levitico 19, 28. Questa pericope non è isolata, ma è parte delle prescrizioni dei capitoli 18 e 19: in esse Dio intende affrancare Israele dal paganesimo. E, specialmente, dall’idolatria e dalle pratiche sessuali dei pagani: «Non farete come si fa nel paese d’Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nel paese di Cànaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi» (Lev 18, 3).

E quali sono i costumi pagani d’Egitto e di Cànaan, in abominio al Signore? L’accoppiamento sessuale al di fuori del matrimonio – con fratelli, sorelle, consanguinei, genitori, parenti, o l’omoerotismo – e la promiscuità in genere (cap. 18). Quanto alla morale e all’idolatria: fabbricazione degli idoli e loro culto, furto e menzogna, odio e vendetta, truffe commerciali, divinazione, magia, negromanzia, incisioni e disegni sul corpo (tatuaggi), prostituzione sacra (cap. 19).

È in abominio, specialmente, la trasgressione del primo comandamento del Decalogo: «[…] non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai» (Es 20, 2-5).

Sarebbe in errore chi pensasse che tutto ciò riguardi solo alcune prescrizioni transitorie, limitate all’Antico Testamento. Nel Vangelo, il Decalogo non è per nulla abolito. Gesù, rivolto a Satana, gli comanda: «Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto» (Mt 4, 10). E ancora, dice al ricco: «Si vis ad vitam ingredi, serva mandata» – «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19, 17).

San Paolo, in Rom 1, 22-23, ha parole severe contro l’idolatria: «Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili». Il delitto contro il primo comandamento ha conseguenze gravi, al punto da sconvolgere tutto l’ordine della natura umana: «Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini […]» (vv. 26-27).

Il problema, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, è che «l’idolatria respinge l’unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione divina» (n. 2113). L’idolatria è il «divinizzare ciò che non è Dio». Non solo, quindi, è idolatra chi adora le statue e i feticci, ma chi divinizza qualsivoglia creatura. In questo senso ogni cosa o persona, o situazione della nostra vita può divenire un idolo: i figli, il lavoro, il coniuge, i beni, le abitudini, le passioni. Idolatra è colui che «riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia, anziché a Dio», dice Origene in Contra Celsum.

Paradossalmente, Dio stesso può diventare un idolo, come accadde nella vicenda del vitello d’oro ai piedi del Sinai, ad esempio (Esodo, cap. 32). Secondo una certa esegesi, gli israeliti (assieme ad Aronne), non credettero di fare un male, quando forgiarono il vitello d’oro e lo adorarono. Infatti, nel paganesimo, il vitello d’oro rappresenta il trono di Dio. Israele, con il vitello, voleva semplicemente fare un trono a YHWH.

Ma l’adorazione del vitello d’oro è idolatria, non per il fatto che è stata fatta un’immagine di Dio o del suo trono, ma perché il concetto che di Dio si fece Israele era del tutto errato. Un Dio, cioè, dei pagani, un Dio tra molti altri dei, un Dio che approva le orge in suo onore: qua è l’idolatria e non nell’immagine.

E, allora, l’idolatria non è soltanto l’adorazione di una divinità morta, che non è Dio, ma anche il farsi un’idea errata del Dio vero, associandolo alle proiezioni del nostro capriccio. In questo caso, il peccato consiste nel dare a Dio i connotati che scegliamo per lui, in modo arbitrario, rifiutando – allo stesso tempo – di ascoltare quanto Lui stesso dice di sé, nella Rivelazione.

Il discorso attorno alle religioni è sempre stato assai delicato, specialmente quando non sono ben chiari i concetti di “religione”, “cultura” o “inculturazione”. Un conto è investigare sui «semina Verbi» («Logoi spermatikoi»), di cui parlava San Giustino, ovvero sui giudizi di verità della filosofia o nelle religioni. Un altro conto è dimenticare che la salvezza non è conseguente ad un certo numero di giudizi veri, di cui si viene a conoscenza, ma alla pienezza della verità, che scaturisce solo da Gesù Cristo.

Romano Amerio scriveva, nel merito: «quelle che noi chiamiamo abitualmente “altre religioni”, nel Sacro Testo […] Dio insegna a chiamarle prostituzioni, indicandone il principio che le genera non tanto nella retta, buona e lodevole “ricerca di Dio”, ma nella cattiva piegatura del cuore dell’uomo sul proprio pensiero indipendente dal pensiero di Dio», cioè la «propria vanità» (Stat Veritas, Lindau, 2009).

Quanto poi all’«inculturazione della fede», come Luisella Scrosati ha spiegato, «la vera inculturazione è il seme cattolico che si innesta nella tradizione pagana, non il contrario». La fede teologale non distrugge le culture, ma nemmeno si lascia distruggere da esse. La cultura va preservata solo laddove essa non è contraria alla fede, nei suoi elementi costitutivi. Viceversa, le culture devono essere purificate da quegli elementi d’idolatria o d’immoralità, che spesso veicolano.

Se l’evangelizzazione ha un senso, questo non può essere inteso come assorbimento di ogni elemento che provenga dal mondo e dalle sue tradizioni spirituali e culturali. Se poi evangelizzare non significa distruggere il patrimonio delle culture, non significa però nemmeno farsi evangelizzare, ovvero convertirsi ad una qualche buona novella predicata dallo stregone di turno.

 

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