di Aurelio Porfiri

 

Quando qualcuno mi chiede come si può tornare ad una considerazione più alta per il ruolo della musica nella liturgia, non riesco a non pensare a quello che sempre udivo dal mio maestro, cardinale Domenico Bartolucci, che si lamentava che oggi era molto più difficile crescere nel campo della musica di Chiesa perché manca l’humus per far sviluppare il talento e manca quella continuità data dall’apprendimento tradizionale. Prima, lui ricordava, in tutti i paesini c’erano le bande, le filodrammatiche, i cori, le cappelle musicali. Oggi che ne è di tutto questo? Anche noi constatiamo che è tutto crollato, gran parte di questo è sparito.

In passato si faceva musica in Chiesa di continuo. Ricordo sempre quello che raccontava un cantore che faceva parte di quel vecchio mondo delle cantorie che non esiste più. Lo vidi proprio su una cantoria, ed era già molto anziano. Gli altri cantori mi dissero che ai suoi tempi era una leggenda, un cantore sopraffino, a cui era stato anche chiesto di fare parte del famoso coro della Cappella Sistina ma che lui non accettò in quanto fra tridui, novene, ottavari e feste varie, guadagnava molto meglio.

Oggi tutto questo è scomparso, annientato dal postconcilio. Ecco perché sarebbe bello essere ottimisti, se solo fosse possibile.

 

 

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