In tempi passati, era opinione comune che la cura dell’anima fosse la funzione principale dell’ufficio del vescovo. Purtroppo, questo non è più vero.

Di seguito un articolo del prof. Regis Martin, pubblicato su Crisis Magazine. Eccolo nella mia traduzione. 

 

vescovi

 

Eccellenze:

Sembra quasi ieri che, tra tutti i vescovi sparsi per il mondo, si capiva ovunque che la cura dell’anima era la funzione principale del vostro ufficio; che Dio non vi aveva dato un compito più grande o più essenziale che portare le anime in Paradiso. “Cosa devo fare per assistere le anime che mi sono state affidate – anime per le quali Dio stesso ha sofferto ed è morto – per prepararle a una vita di gloria senza fine?”. Questa era la domanda che ogni vescovo onesto doveva porsi.

Purtroppo, come le nevi di un tempo che non tornano, sembra che non sia più così. Sembrano essere stati impartiti altri e ben diversi ordini di marcia. Oggi la Chiesa si considera soprattutto un’organizzazione di servizio, l’ala ecclesiastica di alcuni degli elementi più progressisti del Paese. Il Partito Democratico, per esempio, le cui fissazioni per il woke potrebbero quasi informare la sua descrizione del lavoro. Non è più compito della Chiesa, il suo lavoro più sacro e necessario, condurre il popolo di Dio attraverso il mondo a Dio stesso.

È come se la Lettera agli Ebrei non fosse mai stata scritta. Ecco perché, leggendo la frase: “Qui infatti non abbiamo una città duratura, ma cerchiamo la città che deve venire” (13,14), chiudiamo più o meno gli occhi di fronte al fatto. Non è più la Città di Dio che siamo invitati a cercare, ma la Città dell’uomo, dove non c’è salvezza, ma solo le carcasse che portano alla morte.

Perché allora dovremmo considerare la Chiesa come qualcosa di speciale o unico? Forse Gesù si è sbagliato quando ha detto ai suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo. Una città posta su un colle non può essere nascosta” (Matteo 5:14). È come se si fosse spenta la fiamma pilota e nessuno riuscisse più a trovare la città sulla collina. Quando la Chiesa non è più percepita come un’istituzione creata da Dio stesso per estendere nella vastità dello spazio e del tempo l’incarnazione di Suo Figlio, il prolungamento della Sua persona e della Sua opera nel mondo, perché mai dovrebbe interessare a qualcuno ciò che accade alla Chiesa? Perché preoccuparsi di aderire, tanto meno di rimanere?

Quanto, mi chiedo, si è diffusa questa particolare apostasia tra di voi? Ci sono molti di voi là fuori che, avendo praticamente smesso di credere nel disegno divino della Chiesa, non sono più disposti a portare avanti la sua missione incarnativa? Siete così legati al mondo che non osate giudicarlo, per non apparire duri e rigorosi agli occhi degli altri?

Quando il medico assume la malattia del suo paziente, può creare una nota di empatia tra i due, ma difficilmente aiuta il paziente a guarire. Che vantaggio può avere il peccatore se il suo vescovo non gli dice di smettere di peccare? Se si vuole guarire, non è forse il caso di fare una diagnosi corretta sull’entità della malattia? “La nostra unica salute è la malattia”, scrive T.S. Eliot in Four Quartets:

 

Nostra unica salute è la malattia
Se obbediamo all’infermiera morente
La cui cura costante non è compiacere
Ma ricordarci la maledizione nostra e di Adamo,
E che, per guarire, la nostra malattia deve aggravare.
La terra intera è nostro ospedale
Finanziato dal milionario fallimentare,
E in essa, se siamo fortunati,
Moriremo di assolute cure paterne
Che non ci lasciano, ma ci pervengono costantemente.

 

Se molti dei nostri vescovi sono, per così dire, impazziti, questo non equivale a un’ammissione di disperazione, che in qualche modo Dio ha abbandonato la sua sposa e che le porte dell’inferno hanno finalmente prevalso? Certamente, tra quelli che fanno notizia, che causano la confusione e il dolore che il resto di noi è costretto a sopportare, ci sono state delle defezioni.

Non apertamente, naturalmente, né tutte insieme; ma in modi sottili e di fatto, nel corso del tempo, alcuni di voi hanno lasciato il deposito incustodito. Il che – sicuramente lo saprete – lascia al resto di noi la spaventosa prospettiva di un Dio che ha deciso semplicemente di abbandonare la palla prima della fine del gioco. A meno che, naturalmente, la partita non sia già finita e noi non abbiamo ancora ricevuto il promemoria.

Da questi consigli di disperazione, naturalmente, le persone di fede devono semplicemente fuggire; e devono aggrapparsi, anche se solo per un’unghia, alla garanzia di Cristo che non ci lascerà orfani e soli. Allora, perché molti di voi si sono apparentemente arresi? Come si spiega questo vile rifiuto di preservare e difendere gli insegnamenti della Chiesa, insegnamenti che il senso della vostra ordinazione episcopale vi obbliga a sostenere? Perché questa perdita di fede nella missione della Chiesa di sacramentalizzare il mondo e quindi di portare la misericordia salvifica di Gesù Cristo ai peccatori?

Ve lo chiedo perché, se così fosse, la Chiesa che presiedete, del cui governo risponderete davanti a Dio stesso, non sarebbe diversa dal mondo decaduto che Cristo ha chiesto a tutti noi di aiutarlo a redimere. La vita della Chiesa sarebbe allora una vita di completa inutilità, che ci consegnerebbe tutti a uno stato di spossatezza e di disperazione.

Questa non è la Chiesa che Cristo ha istituito per aiutarlo a salvare il mondo dalla schiavitù del peccato e del diavolo. Si tratta invece di una Chiesa completamente contraffatta, alla quale nessuno sarà interessato ad aderire, tanto meno ad aiutarvi a cercare di puntellarla.

Cristo ha bisogno che voi siate vescovi, in altre parole; è per questo che vi ha chiamati, dandovi la grazia di compiere la vostra missione. Il mondo ha bisogno che voi siate vescovi. Se non vuole andare dritto all’inferno, ha bisogno che gli indichiate la via del Paradiso. E anche noi abbiamo bisogno che voi siate vescovi. Ecco perché stiamo pregando per voi. Andate avanti e dimostrateci, quindi, che le nostre preghiere vengono esaudite.

 

Regis Martin è professore di teologia e associato alla facoltà del Centro Veritas per l’etica nella vita pubblica dell’Università Francescana di Steubenville. Ha conseguito la licenza e il dottorato in sacra teologia presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino a Roma. Martin è autore di numerosi libri, tra cui Still Point: Loss, Longing, and Our Search for God (2012) e The Beggar’s Banquet (Emmaus Road). Il suo libro più recente, pubblicato da Scepter, si intitola Looking for Lazarus: A Preview of the Resurrection.

 


 

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