di Autore Vario

 

L’avanzare del conflitto in Ucraina sta scatenando molteplici reazioni e strategie per arginare i danni e fermare l’invasione.

L’informazione, come sempre, ha sapientemente e insindacabilmente distinto i buoni (che hanno tutte le ragioni) dai cattivi (che hanno tutti i torti).

Questo però è un grosso problema, se si vuole avviare un autentico percorso di pace. Purtroppo, un manicheismo spietato non può favorire trattative e avvicinamenti di posizioni contrapposte. La vera pace può germogliare solo dall’umiltà (che vuol dire anche riconoscimenti reciproci di avere esagerato) non dall’umiliazione dell’avversario.

La rappresentazione e l’interpretazione degli avvenimenti a cui assistiamo, fornita da mass-media autoproclamatisi come responsabili, è purtroppo viziata da una faziosità controproducente.

Sebbene non ci sarebbe bisogno di inventare nulla per denunciare la crudeltà della guerra, assistiamo a tentativi di accrescere artificiosamente le crudeltà (che pure ci sono) e di spettacolarizzarle con l’obiettivo di istigare all’odio verso una sola parte dei belligeranti (per motivi di privacy e per non offendere nessuno non diciamo di chi).

Ecco allora che va affermandosi una crescente schiera di volonterosi pacefondai, seminatori di un pacifismo selettivo. Essi sostengono convintamente missioni di pace con armi intelligenti e stabiliscono che i popoli vanno liberati solo se stanno dalla parte giusta, politicamente corretta.

Il flusso di armi e missili che noi del blocco occidentale stiamo inviando alla resistenza ucraina rientra in questo sforzo pseudo-pacificatorio. Del resto, anche quando nel 1999 i Paesi della Nato bombardarono Belgrado e la popolazione civile serba si stava lottando per la pace e per liberare il popolo del Kosovo che gemeva per le persecuzioni. Le bombe che a quei tempi devastavano tutte le infrastrutture erano ritenute ‘intelligenti’. Con lo stesso metro di misura anche i carri armati di Putin in Ucraina dovrebbero essere considerati intelligenti, ma questa tesi non riscuote molti consensi.

I buonisti oggi si schierano senza esitazioni con il presidente ucraino Zelensky, un comico che dal 2014 ad oggi ha fatto ridere il Donbass con 15.000 morti. Risate a crepapelle. E che dire delle insegne naziste ostentate dal battaglione Azov, schierato dall’esercito ucraino nella regione del Donbass? Da sbellicarsi, anche qui…

Zelensky otto anni fa ha rovesciato con un colpo di stato il precedente presidente filorusso, con la complicità e l’appoggio della Nato e del mondo occidentale, perseguitando la comunità filorussa del suo Paese con i sistemi più infami. Dove erano allora i pacefondai? Probabilmente erano distratti dalle nobili gesta del presidente americano Obama, in Africa e nel Medio Oriente. Quest’ultimo stava cercando di meritarsi il Premio Nobel per la pace, attribuitogli nel 2009 a scatola chiusa, sulla fiducia, pochi mesi dopo l’insediamento alla Casa Bianca. Il re dei pacifisti, per meritarsi il prestigioso riconoscimento, inanellò da allora una impressionante serie di devastazioni; portò infatti lacrime e sangue in Libia, Siria, Iraq e Afghanistan, nel nome della libertà e contro l’oppressione dei popoli, suscitando il giubilo di tanti altri pacifisti. Forse ora anche Putin, pur non potendo eguagliare quel fantastico score, potrebbe convincere i giurati di Stoccolma e ambire al prossimo Nobel per la pace.

Il fanatico manicheismo odierno sta insomma polarizzando sempre di più la società. Il pacifista, l’abbiamo detto, è il benpensante, uno di quelli che stanno dalla parte giusta. Assomiglia a quei farisei e dottori della Legge citati nei Vangeli, che guardavano le persone ammonendole con il ditino alzato e che caricavano il popolo di pesi insopportabili che loro si astenevano bene dal portare.

Dall’altra parte c’è invece chi è tagliato fuori dal mondo dei giusti e che quindi si becca tutte le etichette di disprezzo: fascista, terrapiattista, complottista, retrogrado, etc. Chi ha questi marchi di disprezzo viene solitamente bocciato anche in chiesa: la misericordia di Dio è per tutti, ma lui non rientra nella categoria ‘tutti’.

Facciamo la conoscenza di uno di loro. Ecco Igor, un cittadino russo residente in Italia da qualche anno. Abbiamo parlato con lui e abbiamo scoperto che non è vaccinato. È pure maschio, bianco, cristiano, forse anche di destra: insomma, ce le ha addosso tutte, le sfighe! Fosse almeno omosessuale, potrebbe salvarsi in corner. E invece no: ha pure la disgrazia di non essere gay.

La sua vita è un inferno: reietto e disprezzato da tutti, ha deciso di imbarcarsi verso la Libia e di chiedere accoglienza in un campo profughi.

Qui potrebbe azzerare facilmente la sua identità e il suo status. Con un po’ di fortuna potrebbe trovare l’occasione di fare una traversata su un gommone verso l’Italia, per rientrare come immigrato clandestino. Potrebbe rifarsi una nuova vita; probabilmente non bella ma con qualche etichetta buonista in meno sul groppone.

Anche per lui auspichiamo la pace. Senza nulla togliere alle vittime ucraine, oggi sotto i riflettori per l’emergenza umanitaria, le ingiustizie non hanno bandiere: il metro di giudizio che deve guidare la solidarietà non è l’adesione o meno ad un merito ideologico, bensì l’oggettivo stato di necessità.

Per proporre una situazione attuale, il non vaccinato senza stipendio, braccato, vilipeso e odiato da tutti, senza pace e dignità, con relazioni sociali ai minimi termini non è meno bisognoso di carità. Sta pure vicino a noi, non occorre andare a cercarlo lontano. Oscurare la sua condizione, negargli solidarietà significa alimentare una guerra fratricida. Smaschera un pacifismo ipocrita che invece di unire continua a creare divisioni.

 

 

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