Un articolo dello scrittore e giornalista di Phil Lawler pubblicato su Catholic Culture, che vi propong nella mia traduzione.

 

Mons. Vincenzo Paglia

Mons. Vincenzo Paglia

 

L’ultimo documento del Vaticano (qui in italiano), una riflessione sulla pandemia di COVID19, è un imbarazzo per i fedeli cattolici.

La Pontificia Accademia per la Vita, sotto la guida del controverso arcivescovo Vincenzo Paglia, ha prodotto il documento, e l’ufficio stampa vaticano lo ha presentato il 22 luglio con un titolo tanto prolifico quanto la dichiarazione stessa: “Informazioni utili sul Documento della Pontificia Accademia per la Vita: Humana Communitas nell’epoca della pandemia: meditazioni inattuali sulla rinascita della vita”.  Questo titolo è fuorviante; il documento fornisce pochissime informazioni concrete. Ma concedo questo: è “inattuali”. Non c’è mai un buon momento per questo tipo di insulse ruminazioni.

Anche nel descrivere l’infelice situazione sociale derivante dalla pandemia, la Pontificia Accademia è sdolcinatamente sentimentale (e eccessivamente prolissa):

Ci ha privato dell’esuberanza degli abbracci, della gentilezza delle strette di mano, dell’affetto dei baci, e ha trasformato le relazioni in paurose interazioni tra estranei, in uno scambio neutrale di individualità senza volto avvolte nell’anonimato dei dispositivi protettivi.

Aprendo con un’abbozzo dei danni che la pandemia ha arrecato alla comunità umana, il documento osserva:  “Sicuramente siamo chiamati al coraggio della resistenza”. Ma da nessuna parte la Pontificia Accademia ci guida verso la fonte di tale coraggiosa resistenza. Nonostante si estenda ben oltre le 4.000 parole, il documento vaticano non menziona Dio, Gesù Cristo, lo Spirito Santo, la Chiesa, i sacramenti, la preghiera, o anche la carità; nemmeno la parola “cristiano” appare nel testo. C’è certamente un richiamo alla “conversione morale”, ma nel contesto è chiaramente un richiamo alla conversione ideologica piuttosto che religiosa.

La Pontificia Accademia per la Vita, vedete, considera la pandemia come una condanna per i peccati dell’umanità nei confronti dell’ambiente: “L’epidemia di Covid-19 ha molto a che fare con la nostra devastazione della terra e la spoliazione del suo valore intrinseco”. Ovviamente questa non è un’affermazione scientifica. Ma potrebbe essere presa come un’affermazione religiosa, se la religione in questione è l’ambientalismo.

Dal Vaticano, però, ci si aspetta un messaggio cristiano: un messaggio di speranza che purtroppo manca in questo documento. Sotto una diversa guida, in un’epoca diversa, la Pontificia Accademia per la Vita avrebbe potuto esortarci a non rimanere paralizzati dalla paura della malattia e della morte, né a considerare qualsiasi interazione con il prossimo come un’imposizione pericolosa. Il documento compie un gesto debole in questa direzione, dicendo che “i semi della speranza sono stati seminati nell’oscurità di piccoli gesti, in atti di solidarietà troppo numerosi per essere contati, troppo preziosi per essere trasmessi”. Ma non cataloga i “piccoli gesti” che i cristiani potrebbero compiere, al contrario fa un grandioso appello alla solidarietà mondiale e alla cooperazione internazionale, stabilendo che l’Organizzazione mondiale della sanità deve avere un “posto privilegiato” nella campagna.

La pandemia ha colpito la paura – spesso una paura irrazionale – in milioni di cuori. Il Vaticano dovrebbe offrire rassicurazioni e prospettive, ricordando al mondo che la morte non è la più grande tragedia, che la vita ha un senso, che armati dei doni dello Spirito Santo possiamo vincere le nostre paure. Questa prospettiva cristiana manca tristemente in questo documento.

“Le lezioni di fragilità, finitudine e vulnerabilità ci portano alla soglia di una nuova visione”, ci dice la Pontificia Accademia. Sì, ma solo alla soglia, e questo documento non riesce a farci attraversare, non riesce nemmeno a invitarci alla vita di Cristo. I fedeli, e il mondo in generale, meritano di meglio.

 

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