Cosa c’entrano ‘l’arcivescovo McCarrick, mons. Zanchetta ed il vertice mondiale voluto nei mesi scorsi da Papa Francesco in vaticano che prenderà inizio tra meno di due settimane. Ce lo spiega JD Flynn in questa sua analisi, che vi offro nella mia traduzione.  

Foto: Roma vista dalla cupola della basilica di San Pietro

Foto: Roma vista dalla cupola della basilica di San Pietro

 

Tra due settimane si terrà in Vaticano un atteso vertice sugli abusi sessuali.

L’incontro è stato annunciato a settembre, pochi mesi dopo che le accuse di abusi sessuali e coercizione da parte dell’Arcivescovo Theodore McCarrick sono diventate pubbliche, e poche settimane dopo che lo stesso Papa Francesco è stato accusato dall’ex nunzio apostolico Arcivescovo Carlo Vigano di non aver risposto adeguatamente alle informazioni che gli sarebbero state fornite su McCarrick.

Non sorprende che ci siano grandi aspettative da parte di molti cattolici americani per l’incontro. È stato il fulcro della risposta del Papa alla crescente crisi degli abusi sessuali della Chiesa, e la sua importanza è stata citata tra le ragioni per cui il Vaticano ha ritardato il voto della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti su un pacchetto di riforme che speravano di approvare a novembre.

Gli organizzatori, i funzionari vaticani e persino il Papa hanno cercato di moderare le aspettative per l’incontro. Hanno detto che le politiche concrete non emergeranno dopo un incontro di tre giorni, e che i partecipanti discuteranno invece di principi generali che potranno essere portati a casa per trasformarsi in politica a livello nazionale. Gli organizzatori hanno anche detto, fin dall’inizio, che l’incontro riguarda principalmente l’abuso sessuale di minori e “adulti vulnerabili”, un termine tecnico che si riferisce ad adulti intellettualmente disabili o psicologicamente malati.

Alcuni funzionari vaticani hanno suggerito che l’incontro si concentrerà soprattutto sull’incoraggiamento delle conferenze episcopali di tutto il mondo ad adottare una serie di politiche simili alla “Carta di Dallas” (del 2002, prima crisi sugli abusi sessuali negli USA, ndr) promulgata dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, o alla “Protezione dei minori dagli abusi sessuali” dei vescovi canadesi.

Naturalmente, la frustrazione tra i cattolici americani non si concentra principalmente, almeno al momento, sullo sviluppo di nuove norme sulla protezione dei minori. I cattolici statunitensi hanno invece chiesto che la Chiesa risponda alle accuse di abusi sessuali e coercizione di seminaristi, giovani sacerdoti e altri, da parte di vescovi e altri in posizioni di potere, e che vengano avviate procedure per indagare sulle accuse di negligenza o di illeciti da parte dei vescovi. Nessuna delle questioni sollevate dai cattolici statunitensi negli ultimi mesi sarà probabilmente al centro delle discussioni di questo mese in Vaticano.

Sembra improbabile, quindi, che i risultati pratici dell’incontro possano ispirare tra i cattolici statunitensi, compresi sacerdoti e vescovi, una maggiore fiducia nella gestione da parte della Chiesa di una costellazione di problemi nelle diocesi di tutti gli Stati Uniti, tra cui una percepita mancanza di responsabilità episcopale e preoccupazioni per una cultura che non ha sufficientemente affrontato la coercizione sessuale e gli abusi che coinvolgono gli adulti.

Se è improbabile che i risultati sostanziali del vertice ristabiliscano la fiducia tra i cattolici americani, allora, nella misura in cui farlo è un obiettivo dell’incontro, qualsiasi successo su quel fronte dipenderà dalla testimonianza di Papa Francesco e dal messaggio che egli sceglierà di trasmettere.

Se il pontefice può rassicurare i cattolici statunitensi che collaborerà con i funzionari della Conferenza episcopale americana per aiutare a catalizzare qualche iterazione del pacchetto di riforme in esame a novembre, o qualche altro insieme di riforme, può mettere in moto un ripristino della fiducia tra i cattolici statunitensi.

Ma all’inizio dell’incontro, ci sono almeno due fattori che potrebbero rendere difficile per i cattolici statunitensi fidarsi della leadership di Papa Francesco su questo tema.

Il primo è lo stesso McCarrick. Si dice ampiamente a Roma che un verdetto nel processo canonico di McCarrick è imminente, e potrebbe essere annunciato già il 12 febbraio. McCarrick dovrebbe essere laicizzato. Fonti dicono a Catholic News Agency (CNA) che McCarrick potrebbe anche lasciare il convento del Kansas dove vive per stabilirsi in un appartamento privato. Ma a prescindere dal fatto che McCarrick sia laicizzato, molti cattolici americani, tra cui i vescovi, continueranno probabilmente a premere sul Vaticano per ottenere risposte su chi sapeva cosa su McCarrick e quando.

Le prove sembrano dimostrare che i funzionari vaticani erano a conoscenza della reputazione di McCarrick almeno da decenni. La risposta a tale conoscenza, a giudizio di alcuni osservatori, sembra essere stata tiepida. E mentre le discussioni sul passato di McCarrick, e le conoscenze del Vaticano, tendono rapidamente a trasformarsi in una guerra tribale interna, sembra probabile che i cattolici statunitensi continueranno a chiedersi come McCarrick abbia potuto avere una carriera ecclesiastica così rinomata, e chi, nella gerarchia americana e curiale, potrebbe averlo coperto.

Ad oggi, non sembra che Papa Francesco sia disposto a pubblicare un rapporto approfondito sui risultati di un’indagine interna del Vaticano sulla carriera di McCarrick, o a ordinare un’indagine più completa negli Stati Uniti.

Un verdetto nel suo processo probabilmente soddisferà molti cattolici che la giustizia è stata fatta. Ma se non ci saranno risposte sulla più ampia indagine su McCarrick, e se il successore di McCarrick a Washington, il cardinale Donald Wuerl, guiderà ancora l’arcidiocesi di Washington quando inizierà il summit, almeno alcuni cattolici avranno difficoltà a fidarsi dell’impegno del papa per un sincero rinnovamento.

Il secondo ostacolo che il Papa dovrà affrontare è l’indagine sul vescovo argentino Gustavo Oscar Zanchetta, che fronteggia accuse di coercizione sessuale e cattiva condotta che coinvolgono i seminaristi. Zanchetta si è dimesso dalla sua guida della diocesi di Orán nel luglio 2017, adducendo difficoltà a gestire l’incarico che aveva assunto nel 2013. Nel dicembre 2017 è stato nominato da Francesco in una nuova posizione di leadership in APSA, il dipartimento curiale che sovrintende al patrimonio immobiliare e finanziario del Vaticano.

Il mese scorso, l’Associated Press ha riferito che Francesco era a conoscenza, almeno dal 2015, delle accuse di cattiva condotta nei confronti di Zanchetta, e che gli erano stati addirittura inviati per una visione selfies osceni del vescovo. Francesco a quanto pare accettò la scusa di Zanchetta che il suo cellulare era stato hackerato, e respinse le accuse come parte di una campagna diffamatoria.

In breve, Francesco sembra aver almeno permesso a Zanchetta di continuare come vescovo diocesano per due anni dopo aver appreso di gravi accuse contro l’uomo, e poi di averlo nominato in Vaticano quando l’amministrazione diocesana (nella diocesi di Orán, ndr) divenne insostenibile per lui.

Un’indagine su Zanchetta è ora in corso. Il grado in cui essa potrebbe esonerare o implicare Francesco non è, naturalmente, ancora noto. La storia non ha suscitato molta attenzione negli Stati Uniti – in parte perché l’Associated Press l’ha riportata pochi giorni prima che l’attenzione della nazione fosse catalizzata da Nathan Phillips (il nativo americano che ha montato un caso mediatico di finta subìta aggressione verbale da parte di giovani studenti di Covington durante la Marcia per la vita, ndr) e dallo scandalo dei social media sulla Marcia per la Vita. Ma ulteriori dettagli potrebbero emergere nelle prossime settimane, e i vescovi, certamente, stanno guardando la storia da vicino.

Se Francesco dovesse argomentare in modo convincente che è seriamente intenzionato a sradicare una cultura del clericalismo e della segretezza, le accuse che lo legano a Zanchetta probabilmente diventeranno un grosso ostacolo per lui, specialmente se non venissero affrontate.

Questi fattori potrebbero non essere di buon auspicio per l’esito immediato del vertice vaticano. Tuttavia, vale la pena di notare che dietro le quinte, la leadership della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha lavorato con funzionari della curia a Roma per riformare il loro pacchetto di riforme. E’ probabile che concludano alcune delle misure proposte nelle riunioni del comitato di marzo, per mandarle a Roma per l’approvazione con largo anticipo rispetto alle eventuali votazioni nella riunione di Baltimora di giugno.

Resta da vedere se i cattolici saranno fiduciosi in quel processo, o se la loro frustrazione bollente si infiammerà per le aspettative non soddisfatte sulla riunione vaticana.

In entrambi i casi, la relazione tra Francesco e Zanchetta offre una preziosa lezione per i vescovi, negli Stati Uniti e altrove. L’Associated Press ha riferito che Papa Francesco è stato a lungo confessore di Zanchetta, e che mentre era arcivescovo di Buenos Aires, trattava Zanchetta come un suo figlio spirituale.

Un rapporto come quello, tra confessore e penitente, o direttore spirituale e persona seguita, può offuscare il giudizio se le stesse persone si trovano anche in un rapporto amministrativo gerarchicamente connesso. Quell’offuscamento sembra a volte quasi inevitabile.

Gli impiegati parrocchiali laici, per esempio, imparano rapidamente che, per quanto attenti a non mischiare le cose, di solito non è una buona idea che il proprio capo sia il confessore. I seminari e gli istituti religiosi stabiliscono regole chiare sul mantenimento di relazioni spirituali riservate, specialmente quelle che discutono del peccato, al di fuori della “catena di comando”. I vescovi sono generalmente attenti a non diventare intimi confidenti spirituali dei loro sacerdoti e impiegati della cancelleria.

La consapevolezza delle abitudini peccaminose di un subordinato può talvolta portare a pregiudizi o sfiducia della persona. Ma altrettanto spesso, può portare a una sorta di empatia disordinata per un subordinato che si sa che sta lottando. Questa empatia, se non controllata, può portare a decisioni amministrative sbagliate. Questo fatto potrebbe spiegare il motivo per cui i vescovi hanno gestito male le accuse rivolte ai loro sacerdoti, almeno in alcuni casi. E, anche se né Francesco né Zanchetta hanno suggerito così tanto, potrebbe spiegare perché Francesco sembra aver gestito male la situazione di Zanchetta – se avesse avuto un rapporto paterno con l’uomo, e una consapevolezza delle sue apparenti lotte, avrebbe potuto commettere errori di giudizio amministrativo – come permettere al vescovo di rimanere nel ministero diocesano, o trovare un posto per lui in Vaticano.

Queste sono le domande che Francesco potrebbe affrontare durante l’indagine su Zanchetta, e che potrebbero fornire al papa un’idea della necessità di demarcazioni più precise tra i ruoli spirituali dei vescovi come pastori e le loro responsabilità amministrative come responsabili diocesani.

Ci sono, naturalmente, altre storie da seguire con l’avvicinarsi del vertice vaticano. Le domande girano intorno al modo in cui il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, ha trattato alcune accuse nella sua arcidiocesi di Galveston-Houston. Nuovi rapporti hanno dimostrato la portata di un problema globale riguardante la coercizione sessuale e l’abuso verso le suore religiose. I vescovi statunitensi continuano ad affrontare indagini statali e federali, e alcuni vescovi accusati di cattiva condotta rimangono in carica senza evidenti indagini.

Il Papa ha detto che sta lavorando per preparare l’incontro e ha chiesto preghiere. Mentre il vertice può raggiungere un grande risultato positivo su scala globale, se si vuole anche ristabilire la fiducia degli Stati Uniti nella leadership della Chiesa, queste preghiere saranno certamente necessarie.

 

Fonte: Catholic News Agency

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