di Miguel Cuartero Samperi
L’Italia non è un paese per i bambini. Lo sappiamo, la popolazione del nostro paese è anziana, l’età media si eleva di anno in anno, la crescita demografica è ai minimi storici e l’Italia è uno dei paesi col tasso di natalità più basso al mondo. Secondo gli ultimi dati Istat nel 2018 sono nati 439.747 bambini, «oltre 18 mila in meno rispetto all’anno precedente e quasi 140 mila in meno nel confronto con il 2008» con un tasso di fecondità pari a 1,29 figli per donna. Sono dati allarmanti che portano ad aumento esponenziale del divario tra nascite e decessi: per 100 persone decedute nascono soltanto 67 bambini (nel 2008 erano 96). L’Italia non è un paese per bambini, eppure ne ospita 5 milioni sotto i 10 anni (8 milioni da 0 a 15 anni).
Se da una parte il virus COVID-19 colpisce in gran parte gli adulti, e soprattutto gli anziani, ai bambini non resta che rimanere rinchiusi in casa per evitare di ammalarsi e di trasmettere il virus. La chiusura delle scuole decretata a inizio marzo sembrava l’inizio di una vacanza anticipata; ma dopo il Dpcm dell’11 marzo che ha esteso le restrizioni previste per la “zona rossa” a tutto il paese chiudendo di fatto le famiglie nelle proprie abitazioni, 8 milioni di bambini sono stati costretti a rimanere a casa per diverse settimane. Una misura che di certo protegge i nostri figli dal contagio ma che, a lungo andare, diventa pesante e difficilmente sostenibile per tutta la famiglia e dannosa per i più piccoli.
Non si tratta qui di voler evitare ai bambini il sacrificio della quarantena. Sarà certo un buon insegnamento per molti di loro, iper protetti da ogni sorta di sacrificio o sofferenza, rinunciare alle uscite, ai divertimenti, a tante cose “normali”. Si tratta bensì di guardare al loro bene e di prendersi cura anche di loro in questo momento drammatico per tutti sapendo che spesso i bambini sanno adattarsi con più facilità al cambiamento rispetto agli adulti. Come afferma la prof. Susanna Mantovani, docente di pedagogia generale alla Bicocca di Milano: «I bambini sono fortissimi. Se al loro fianco hanno adulti sereni che non generano ansia ce la possono fare». Ma qualcosa di più si doveva comunque pensare e fare.
C’è da tener conto che le scuole sono state chiuse all’improvviso: senza nessun preavviso i bambini hanno smesso di frequentare le lezioni senza neanche la possibilità di salutare compagni e maestri. Specialmente i più piccolini avranno sofferto emotivamente lo “strappo” improvviso, dopo che da settembre, giorno per giorno, si erano iniziati ad abituare alla classe, alle relazioni coi compagni, con le attività didattiche e con le proprie maestre. Eppure, nonostante l’impegno e le lodevoli iniziative di molti educatori ed educatrici, sono molte le maestre della scuola dell’infanzia che da un mese non si fanno vedere né sentire (tramite le tecnologie che conosciamo, s’intende) dai loro bambini, perché non è loro dovuto né richiesto.
Si guadagna nel rapporto coi genitori, troppo spesso difficile, intermittente o del tutto assente. Ma di fronte a questa anomala situazione non è difficile immaginare le problematiche che un bambino è costretto a soffrire nel rimanere tutto il giorno a casa per un mese, con la prospettiva di continuare a rimanerci ancora per diverse settimane. I più grandicelli (preadolescenti e adolescenti, frequentanti le scuole elementari e medie) hanno sì un gran da fare coi compiti e le lezioni, che per alcuni non si sono mai interrotte, ma proprio per questo sentono il bisogno di staccare, di distrarsi, di rilassare la vista e il corpo, di respirare e di guardare il cielo, magari di dare due calci al pallone… proprio in un momento cruciale per la loro crescita e il loro sviluppo fisico ed emotivo.
Ho tre figli piccoli (sotto i sei anni) e posso dunque parlare di (e per) loro. I piccolini non avranno forse compiti o attività di didattiche da affrontare, ma passare dodici o tredici ore della giornata tra le mura domestiche per 30, 40 o 60 giorni di fila senza la possibilità di cambiare aria o attività, senza una routine che scandisca i tempi e le attività non è certo facile… E hai voglia a spiegare ai bambini che “fuori c’è il coronavirus” (perché non posso dire ai miei figli di 4 e 6 anni che fuori c’è il malvagio troll Gunmar o la Strega Morgana pronti ad istaurare la “morte eterna” in città. Cit. “Trollhunters”). I piccoli giocano, poi giocano ancora, poi corrono e spesso si azzuffano. Avendo perso le consuete abitudini, gli orari scanditi dalla frequenza della scuola, di eventuali attività pomeridiane, dei piccoli ma significativi rituali domestici quotidiani. E va bene farli aiutare in cucina, mettere regole, aiutarli a fare lavoretti… tutte iniziative che faticosamente molti genitori cercano di mettere in pratica… ma non tutti possono, non tutti ne hanno la capacità (provate a far fare un lavoretto a tre bambini di età e capacità diverse allo stesso tempo), la pazienza e (è così) la voglia…
Poi ci sono i figli unici – una grandissima parte delle famiglie italiane – che non hanno con chi azzuffarsi, se non coi genitori; al contrario ci sono le famiglie numerose, dove far convivere le esigenze di molti bambini di diverse fasce d’età richiede una buona organizzazione e una buona dose di pazienza e comprensione reciproca; ci sono le case troppo piccole – la maggior parte, soprattutto per le famiglie numerose – dove non è possibile correre o spaziare in libertà o ritirarsi in una camera libera; ci sono le situazioni familiari disagiate economicamente; le situazioni dove l’ambiente familiare e domestico non è sereno e i conflitti esasperano genitori e figli… tutte situazioni alle quali le famiglie – genitori e bambini – devono far fronte con grande dispendio di energie fisiche e psicologiche. Senza dimenticare i disabili, i bambini e ragazzi affidati alle case-famiglia, coloro che subiscono violenze domestiche e coloro che hanno bisogno di cure particolari.
Ricordiamo inoltre che è proibito l’acquisto di quaderni, carta, pennarelli e tempere colorate, materiale che potrebbe rivelarsi utilissimo per intrattenere, distrarre ed educare i bambini in quarantena.
Inoltre ci sono le tecnologie, cellulari, computer, smartTV e tablet che attirano persino i più piccoli e che troppo facilmente vanno a riempire gli spazi vuoti, tra un compito e un altro, tra un gioco e un altro, tra un pasto e un altro. Facilmente i genitori sono più indulgenti e meno severi, facilmente i bambini risulteranno sempre più tecno-dipendenti.
Infine c’è l’interrogativo che inizia a diventare comune ed impellente: come ne usciremo? Il ritorno alla normalità non sarà facile per nessuno, in modo particolare per i bambini. Innanzitutto perché dovremo convincerli che la vita reale, quella vera, è lì fuori: scuola, lavoro, sport, parchi, passeggiare, commissioni, acquisti, visite mediche, ecc… Riportare i bambini a scuola, tornare a salutare i genitori che vanno al lavoro, tornare a relazionarsi con compagni e docenti, ritrovarsi nuovamente a casa dei nonni o in mano alle babysitter… non sarà certo facile per nessuno di loro.
È per questo che in questi ultimi giorni diverse voci si sono alzate per chiedere al governo di poter far uscire i bambini di casa. Non solo genitori ma pediatri e psicologi, si sono uniti all’appello per il bene dei bambini. Dopo tre settimane di reclusione obbligatoria: «Chiediamo un’ora d’aria per tutti i bambini/e e ragazzi/e, senza alcun assembramento nel rispetto delle distanze di sicurezza e delle normative…». Così inizia la lettera che diverse associazioni e singoli professionisti (docenti, sociologhi, psicologi, psicomotricisti, educatori, ma anche singoli genitori) hanno rivolto al Governo.
Anche l’associazione UPPA (un pediatra per amico) ha chiesto più attenzione al Governo Conte: «Le misure che il governo ha emanato in queste ultime settimane non prendono in alcuna considerazione le necessità dei bambini… la situazione di isolamento prolungato in cui vivono rischia di provocare, e in alcuni casi sta già provocando, problematiche che compromettono la salute e il benessere dei più piccoli, tra cui alterazioni nel ritmo sonno/veglia, scorrette abitudini alimentari, abuso di tecnologie; i bambini, esposti a situazioni di stress prolungato, rischiano di pagare un prezzo altissimo sul piano della salute mentale»
D’altronde i decreti coi quali il Governo Conte ha affrontato l’emergenza sanitaria del Coronavirus, finora non si sono occupati dei bambini, mentre sin dall’inizio è stata prevista la passeggiata col cane, vista come una attività urgente e strettamente necessaria.
Ora finalmente, a un mese dall’inizio della quarantena, il Viminale accoglie le proteste dei genitori e dei professionisti e concede una breve uscita giornaliera coi bambini. Con una circolare emanata il 31 marzo dal Ministero dell’Interno, vengono dunque permesse brevi passeggiate sotto casa con un genitore. «…È da intendersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto , purché in prossimità della propria abitazione». Restano proibite le attività ludiche o ricreative, l’accesso ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici.
Bene dunque che l’Italia si occupi anche dei (pochi) bambini presenti sul territorio nazionale, guardando al loro benessere psicologico oltre che fisico. Male che per arrivare a concedere un piccolo sfogo ai bambini sia passato un mese e che siano state necessarie le voci di genitori, insegnanti, psicologi e pediatri preoccupati (loro sì) per la salute dei piccoli. Non è un paese per bambini, l’Italia. Da la sensazione che per i nostri governanti, le famiglie e i bambini (degli altri) non esistano, o che siano del tutto invisibili.
Per approfondire:
https://www.internazionale.it/notizie/claudia-bellante/2020/03/31/coronavirus-bambini
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