di Aurelio Porfiri
Sembra ovvio che quando si parla di clericalismo e delle sue ricadute nella vita ecclesiale, che sono enormi, non possiamo evitare di considerare il ruolo dei laici e soprattutto le debolezze degli stessi nei confronti del clero. Un documento della Commissione per la dottrina della Conferenza episcopale canadese, chiamato La corresponsabilità dei laici nella Chiesa e nel mondo dice: “A volte confondiamo l’assunzione di varie funzioni e ruoli nella Chiesa con l’esercizio della corresponsabilità. Questo tipo di confusione può essere riduttivo nei confronti del laicato, in quanto limita il vasto campo di gioco del laico, che è il mondo. Questa, anzi, è una forma di clericalismo, perché si basa sul presupposto che il ruolo del clero sia qualcosa a cui i laici dovrebbero aspirare. Papa Francesco ha denunciato questo fenomeno, definendolo «un doppio peccato», perché sia i laici sia i sacerdoti ne sono spesso complici: i sacerdoti tendono a clericalizzare i laici e i laici chiedono di essere clericalizzati. «È uno dei mali, è uno dei mali della Chiesa. Ma è un male “complice”, perché ai preti piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma tanti laici, in ginocchio, chiedono di essere clericalizzati, perché è più comodo, è più comodo! E questo è un peccato a due mani!». La verità è che c’è una dignità originale in ogni vocazione: laicato, ordini sacri, vita consacrata. Il clericalismo nega la chiamata universale alla santità, così come chiaramente insegnata dal concilio Vaticano II.
La vocazione laicale è sempre svalutata quando avviene la clericalizzazione, o perché si trattano i laici come inferiori (un problema più comune parecchie generazioni fa) o perché si affidano loro incarichi e compiti tipici del clero (qualcosa di più comune ai nostri giorni). La grande chiamata dei laici, però, è fondamentale per la missione della Chiesa e non può essere annullata: è portare Cristo al mondo interiormente; evangelizzare dall’interno verso l’esterno»”.
Questo è un passaggio complesso, in quanto la tendenza clericalista del clero è proprio quella di controllo ed estromissione del laicato da qualunque possibile intromissione in campi non strettamente riservati al clero stesso. Faccio sempre l’esempio della musica, dove sembra che se un coro in chiesa non è diretto da un sacerdote qualcosa viene meno (questo è un problema tipicamente italiano, nei paesi anglosassoni i laici sono pienamente in carico di questa funzione). Ma è vero che il male del laico clericalizzato è anche pernicioso e purtroppo favorito da certo clero che cerca di far passare persone con interessi personali o problemi emotivi o di identità come “persone pie”. Quante volte ho visto girare persone quantomeno discutibili intorno a prelati che non mancavano di favorirle, pensando forse che la mancanza di un affetto (femminile) fosse segno di una vita virtuosa. No, non è questo il tipo di laico cristiano.
Il concetto è ripreso in un articolo di Umberto Folena (Avvenire, 24 agosto 2012):
“«Operosa corresponsabilità»: bellissimo! Non ci sono più io vescovo, io parroco e voi laici: ci siamo noi. Non c’entrano la diversità di ministero, che qui nessuno – e ovviamente non il Concilio – mette in discussione, né il grandissimo rispetto che ogni laico deve a chi, nella comunità, rende presente sacramentalmente il Signore. Con tutto ciò non c’è una «mia comunità» alla quale posso invitarvi a collaborare facendovi un poco di spazio, ma la «nostra comunità» della quale tutti siamo insieme responsabili.
L’operosa corresponsabilità taglia netto con ogni tentazione di pensare e agire in termini di potere.
C’è stato – e forse c’è – un clero che pensa ai laici come coloro a cui è necessario concedere degli «spazi di potere», di gestione e decisione, se non altro perché il clero scarseggia, non ci sono più abbastanza preti: i laici panchinari, buoni per il secondo tempo o per subentrare agli infortunati. E c’è stato – e forse c’è – un laicato che pensa in modo analogo, sia pure con due esiti opposti. Di qua ci sono i laici convinti che, per ottenere spazio, occorre clericalizzarsi. Pensa, parla, scrivi, comportati come un presbitero, e il clero ti riconoscerà come «uno di loro», si rasserenerà e ti accoglierà. I laici clericalizzati sono in contraddizione con la lettera e lo spirito del Concilio che, al contrario, invita i laici a valorizzare ciò che è loro proprio, un proprio stile, una propria sensibilità; ma possono fare fortuna. Di là, troviamo i laici che cercano non di associarsi e affiancarsi, con operosa responsabilità, ma semplicemente di sottrarre spazi e competenze e ruoli al clero: potere per potere. Costoro fanno fortuna assai più difficilmente, perché il clero si difende; molto più facile è che si trovino banalmente fuori, out, dalla comunità. Delusi e incattiviti tanto quanto i laici del primo tipo sono docili e, magari solo all’apparenza, “morbidi”. Certo non bisogna scatenare lotte di potere, ma bisognerebbe capire come fare in modo che quel “noi” ecclesiale possa mai attuarsi in un sistema che pensa soltanto a perpetuare le sue strutture di potere.
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