di Moreno Morani
La vicenda del cosiddetto “Vangelo della moglie di Gesù” è un paradigma per tanti versi esemplare del modo con cui procede e si alimenta oggi il dibattito sia in ambito accademico sia in ambito ecclesiale.
Nel 2012 una studiosa americana annuncia la scoperta di un frammento fino allora sconosciuto di un Vangelo apocrifo scritto in copto (la lingua usata dai cristiani dell’Egitto) in cui si parla della moglie di Gesù. La studiosa, una teologa e storica specialista di Cristianesimo antico e di Storia della Chiesa, ha un curriculum accademico di altissimo livello, tale da fare impallidire molti specialisti di chiara fama, non solo in America: ha ottenuto, prima donna in America, la nomina per insegnare Storia ecclesiastica presso la Hollis Chair of Divinity (cattedra di teologia) della Harvard Divinity School, la più antica cattedra dell’università americana, istituita nel 1721 dal ricco commerciante inglese Thomas Hollis e ritenuta da alcuni in assoluto la più prestigiosa cattedra d’America. La scoperta del nuovo testo viene annunziata durante un convegno di studi copti che si tiene a Roma: si tratta di un frammento di papiro di pochi centimetri scritto in copto, nel quale si leggono con molta fatica alcune parole fra cui: «Gesù disse loro: “Mia moglie ..”.» e poi «potrebbe essere uno dei miei discepoli» e poche altre parole scarsamente comprensibili (con un accenno a «Maria mia madre»). La studiosa sostiene che si trattava di una traduzione copta di un vangelo apocrifo scritto originariamente in greco nel II secolo, dunque un testo antichissimo. Questa ipotesi nasceva dal fatto che riteneva di intravedere alcune somiglianze con vangeli apocrifi della medesima epoca, quali il Vangelo di Tommaso o il Vangelo di Maria o altri testi similari. In favore dell’autenticità del frammento si pronunciano vari illustri colleghi appartenenti a famosi istituti di ricerca americani e non americani, dall’Istituto per lo studio del mondo classico di New York alla Princeton University all’Asbury Theological Seminar, fino all’Università di Gerusalemme. La scoperta non rimane confinata nel chiuso degli ambienti accademici, e del nuovo testo si parla sui media, organi di stampa e dibattiti televisivi. La novità del testo era costituita dal fatto che nessuno dei testi del Cristianesimo primitivo finora conosciuti accennava all’esistenza di una moglie di Gesù.
La datazione del documento fu sottoposta a laboratori scientifici, che attraverso diversi metodi di analisi dell’oggetto giunsero a risultati discordanti, che andavano dal V secolo a.C. (un Vangelo apocrifo del V secolo avanti Cristo sarebbe una performance sensazionale!) fino al 741.
Sull’autenticità del papiro espressero però immediatamente dubbi e perplessità molti studiosi. Alcuni fecero notare che la lingua presentava dei caratteri anomali, oppure che la scrittura non si accordava con quella di altri testi egiziani dell’epoca, perché l’incisione dei caratteri presumeva l’uso di inchiostri e strumenti diversi da quelli in uso a quei tempi, e ancora notavano alcune singolarità che facevano sospettare una falsificazione moderna: ad esempio nelle parole “mia moglie” il possessivo era scritto in caratteri più rilevati (oggi diremmo in neretto), come se si volesse espressamente orientare l’attenzione del lettore su questa parte di testo.
La studiosa che aveva annunciato la scoperta del papiro non volle né rivelare il nome della sua fonte, cioè il proprietario del papiro, né la via attraverso cui questi ne era venuto in possesso. Si parlava genericamente di un acquisto da parte di un collezionista americano, che nel 1997 avrebbe comprato il papiro insieme ad altro materiale antico di provenienza egiziana, e avrebbe vantato anche il possesso di perizie firmate da illustri cattedratici che garantivano l’autenticità dei reperti. La svolta definitiva si ebbe quando, nel 2016, un’inchiesta giornalistica permise di identificare il nome del proprietario. L’uomo era un cittadino di origine tedesca trasferitosi negli Stati Uniti dopo essersi laureato in egittologia a Berlino ed aver lavorato per alcuni anni in un museo tedesco (da dove, a quanto pare, sarebbe stato allontanato dopo la scomparsa di alcuni oggetti). In America aveva svolto diverse professioni, tra cui il manager di siti porno, mentre la moglie aveva pubblicato alcuni libri in cui si presentava come detentrice di rivelazioni che le venivano da San Michele Arcangelo e da Dio stesso. Dopo qualche iniziale resistenza l’uomo ammise di possedere le capacità tecniche per la realizzazione del falso (anche se, a sua discolpa, affermava di non aver mai preteso di affermare il carattere autentico del frammento). La stessa studiosa che aveva dato notizia del ritrovamento dovette ritrattare il suo parere iniziale sull’autenticità del frammento, mentre la rivista che nel 2014 aveva ospitato il primo contributo scientifico sulla questione, la Harvard Theological Review, prendeva le distanze e affermava di non essersi mai impegnata nella difesa dell’autenticità del papiro.
Che insegnamento trarre da tutta questa vicenda?
Innanzitutto l’inadeguatezza e la fallibilità dei metodi usati per la datazione dei materiali, che da soli non garantiscono in modo definitivo un giudizio (il papiro può anche essere antico, nel senso che si è utilizzato un frustulo di papiro antico, ma il testo che viene vergato sul papiro può benissimo essere contraffatto). Il giudizio sulla validità di un reperto va inserito in un contesto più ampio, in cui la riflessione sul piano storico e linguistico offre l’apporto decisivo.
In secondo luogo, anche l’ambiente accademico è percorso da correnti di sensazionalismo e di personalismo, che portano studiosi anche seri ad anticipare dati e conclusioni, mentre si dovrebbero valutare con prudenza le novità e le scoperte, soprattutto quelle che appaiono più sensazionali. Questo modo di procedere rende precaria la valutazione di fatti ed ipotesi e potrebbe ingenerare nel non specialista sospetto e diffidenza.
In terzo luogo, è interessante l’uso che si è fatto di questa notizia. Un papiro con poche parole scritto in una lingua esotica accessibile solo a pochi specialisti diventa occasione per sostenere tesi che poco hanno a che fare con la serena valutazione storica. Un papiro in cui si accenna all’esistenza di una pretesa moglie di Gesù per lo storico serio avrebbe pochissima rilevanza, perché una fonte incerta e marginale non avrebbe abbastanza autorità per rimettere in discussione l’infinità di testi, canonici e no, che in modo unanime descrivono Gesù come celibe. I Romani dicevano testis unus testis nullus: una testimonianza unica non ha valore, tanto più se c’è un’infinità di testimonianze diverse e contrarie: la moglie di Gesù e le astronavi aliene in Arizona per lo storico serio avrebbero lo stesso grado di credibilità. Ma in vicende di questo genere non esiste solamente la storia, esistono anche delle narrative parallele. Da una testimonianza irrilevante si possono trarre insinuazioni, che puntualmente sono state riprese e amplificate nei media.
Si può fare un uso grossolano della notizia. Si può sostenere per esempio che nell’antichità sarebbero circolate fonti in cui la figura del Redentore ha tratti più simili al Gesù di Dan Brown che al Gesù della tradizione cristiana. Della relazione fra Gesù e una donna (Maria Maddalena) si accenna appena in un vangelo apocrifo di ispirazione gnostica (il Vangelo secondo Filippo), che però descrive questa relazione in senso puramente allegorico, senza nessuna implicazione fisica o sentimentale, e per di più sia Gesù sia Maria Maddalena sono rappresentati come l’incarnazione di eoni divini, secondo la complessa e astrusa visione della teologia gnostica. Dunque solo il frammento copto accennerebbe a una effettiva relazione coniugale di Gesù: una novità assoluta, una notizia sorprendente che si vorrebbe eliminata e censurata dalla tradizione successiva. Le Chiese avrebbero operato una vasta opera di selezione ed eliminazione di una quantità innumerevole di fonti, nascondendo una verità che solo ora comincerebbe (finalmente!) a trapelare. Anche senza menzionare i sostenitori della non esistenza storica di Gesù (relativamente pochi, ma attivissimi), l’idea che la vicenda storica di Gesù sia stata in parte manipolata dalle Chiese e dai preti viene così ventilata ad arte, e purtroppo qualche cristiano si lascia abbindolare da queste sirene di menzogna.
Ma c’è anche un modo ancora più insidioso di usare la notizia: pur senza darle credito (e dunque accettando tranquillamente che il matrimonio di Gesù sia la forzatura di una fonte tendenziosa e interessata), utilizzare queste presunte scoperte per indirizzare in una ben precisa direzione il dibattito ecclesiale. Gesù non ha mai avuto una moglie, ma se una fonte antica ne parla significa che già nella Chiesa primitiva c’era un dibattito sul ruolo della donna nella Chiesa. Come si legge in una fonte popolare quale Wikipedia, alla voce Vangelo della moglie di Gesù, dal papiro si dovrebbe desumere che «c’era già nel secondo secolo una tradizione legata al dibattito se i cristiani dovessero sposarsi e avere rapporti sessuali. Inoltre, il frammento documenta l’esistenza di controversie nei primi secoli del cristianesimo sul discepolato e sull’assegnazione di ruoli di guida a figure femminili». Si noti la data: secondo secolo, poche generazioni dopo la Resurrezione di Gesù, quando si poteva ancora interrogare qualche anziano che aveva conosciuto apostoli e discepoli che avevano ascoltato le parole di Gesù dalla sua viva voce: ma nessun dato concreto ed oggettivo ci porta a questa datazione, non vi è nessun elemento, nemmeno tenue, che la suggerisca, tanto che non può essere considerata nemmeno un’ipotesi. Secondo questo modo di vedere, già ai primordi della Chiesa si dibattevano problemi che oggi sono tornati d’attualità, come il celibato o il ruolo della donna nella gerarchia. La vicenda diventa dunque intrigante, perché mostra che anche nell’epoca attuale ricorrono le stesse condizioni che hanno portato nei primi secoli dell’era cristiana alla costruzione delle fonti apocrife. Queste nascevano con la precisa intenzione di proiettare all’epoca di Gesù affermazioni e tesi coerenti con visioni proprie di particolari ambienti cristiani o marginali al Cristianesimo, eretici e gnostici: si dimostra la legittimità di determinate affermazioni, in quanto garantite dall’autorità stessa di Gesù e degli apostoli che sarebbero all’origine della loro diffusione, ponendo loro in bocca quello che si vorrebbe sentir dire da loro. In questo senso la costruzione di nuove fonti artefatte (e facilmente impugnabili) aveva a quei tempi una sua ragione. Questo modo di ricostruire una realtà inesistente dovrebbe essere più difficile nell’epoca attuale, in cui lo studio delle fonti dovrebbe essere vagliato in modo accurato attraverso indagini rigorose e attente persino ai minimi dettagli, tanto da dare vita a una produzione bibliografica ormai gigantesca. Ma evidentemente le cose non stanno così, non solo nelle semplificazioni spesso interessate dei media, ma anche nel dialogo accademico.
Il papiro copto avrebbe portato alla luce una storia originale e affascinante, mostrandoci un Gesù regolarmente coniugato con una sua discepola, un Gesù non più Dio e Figlio di Dio, ma assimilato a predicatori e santoni, magari a guaritori, personaggi tutti che tanti consensi riscuotono nell’epoca attuale: c’è materia per costruire narrazioni e trattati, libri di teologia e romanzi d’amore. Peccato però che non ci sia niente di vero.
Buona sera Prof. Morani. Vorrei sottoporre ad un esperto alcune mie osservazioni in materia di fede. Può dedicarmi un po’ di tempo, oppure indicarmi qualcuno che possa farlo? Grazie.
Potrebbe scrivere qui sul blog alla mail del blog. La sua lettera sarà girata al prof. Morani e se riterrà di risponderle pubblicamente, sarà fatto.