Un interessante articolo in cui lo scrittore e giornalista Ryan T.Anderson risponde ad un editoriale di Andrea Long Chu pubblicato domenica scorsa sul New York Times. L’autore, uno scrittore transgender, comunica il suo prossimo intervento di “transizione” da uomo a “donna”. Chu, pur asserendo il suo assoluto diritto ad ottenere l’intervento poiché questo è il suo desiderio, confessa una serie di dolorose verità sull’essere transessuale con una lucidità quasi crudele.

Del caso, su questo blog, abbiamo parlato anche qui.

Per chi conosce l’Inglese consigliamo la lettura integrale dell’editoriale in questione:

https://www.nytimes.com/2018/11/24/opinion/sunday/vaginoplasty-transgender-medicine.html.

Qui invece la replica/confutazione di Anderson.

La traduzione è a cura di Annarosa Rossetto.

Andrea Long Chu

Andrea Long Chu


Il New York Times rivela verità dolorose sulle vite dei transgender

 

Perché un medico dovrebbe eseguire un intervento chirurgico quando sa che questo non renderà felice il paziente, non conseguirà l’obiettivo previsto, non migliorerà la problematica di base, potrebbe peggiorare la sofferenza e potrebbe aumentare la probabilità di suicidio? La vera sana medicina non riguarda il desiderio, riguarda la guarigione.

Nel numero di domenica del New York Times , Andrea Long Chu scrive un sentito e straziante editoriale sulla vita con disforia di genere. Intitolato “La mia nuova vagina non mi renderà felice “, l’articolo rivela verità dolorose su molte vite transgender e inconsapevolmente comunica quasi l’esatto contrario di ciò che vuole sostenere.

La prossima settimana, Chu subirà un intervento di chirurgia vaginoplastica. O, come dice Chu: “Giovedì prossimo, otterrò una vagina. La procedura durerà circa sei ore e io sarò in convalescenza per almeno tre mesi “.

Questo gli porterà felicità? Probabilmente no, ma Chu la vuole lo stesso:

“Questo è quello che voglio, ma non c’è alcuna garanzia che mi renderà più felice. In effetti, non me lo aspetto. Questo non dovrebbe impedirmi di ottenerla.”

Chu sostiene che il semplice desiderio di un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso dovrebbe bastare affinché un paziente vi si possa sottoporre. Nessuna considerazione sulla salute e il benessere autentici o la preoccupazione per gli esiti negativi dovrebbero impedire ad un medico di eseguire l’intervento chirurgico se un paziente lo desidera. Chu spiega: “nessuna quantità di dolore, previsto o continuativo, ne giustifica la negazione”.

Questa è una conclusione piuttosto estrema. Chu scrive: “l’unico prerequisito della chirurgia dovrebbe essere una semplice dimostrazione di volontà”. Questa sì che è una dichiarazione forte! E ci torneremo. Ma mentre l’editoriale si basa su questa conclusione così netta, Chu rivela molte verità spesso non riconosciute sulle vite dei transgender, verità delle quali ci dovremmo occupare.

 

Il sesso non è “assegnato” e la chirurgia non può cambiarlo

Innanzitutto, Chu riconosce che l’intervento chirurgico non “riassegnerà” effettivamente il sesso: “il mio corpo considererà la vagina una ferita;  di conseguenza, richiederà una manutenzione regolare e dolorosa. ”

La riassegnazione del sesso è letteralmente impossibile. La chirurgia non può realmente riassegnare il sesso  perché il sesso, in primo luogo, non è “assegnato”. Come faccio notare in Quando Harry divenne Sally , il sesso è una realtà corporea, la realtà di come un certo organismo è strutturato rispetto alla riproduzione sessuale. Quella realtà non viene “assegnata” alla nascita o in qualsiasi momento successivo. Il sesso – l’essere maschi o l’essere femmine – è stabilito al momento del concepimento di un bambino, può essere accertato con mezzi tecnologici anche nelle primissime fasi dello sviluppo umano e può essere osservata visivamente molto prima della nascita con le ecografie. La chirurgia plastica e le terapie con ormoni del sesso opposto non cambiano la realtà biologica .

Le persone che si sottopongono a procedure di riassegnazione del sesso non diventano del sesso opposto, ma si limitano a mascolinizzare o femminilizzare il loro aspetto esteriore.

 

La disforia di genere è profondamente dolorosa

In secondo luogo, Chu riconosce il profondo dolore della disforia di genere, il senso di angoscia o alienazione che si prova nel proprio sesso biologico:

“La disforia ti fa sentire come il non essere in grado di scaldarti, non importa quanti strati hai addosso. Sembra fame senza appetito. Sembra di salire su un aereo per volare a casa, solo per rendersi conto proprio a mezz’aria che le cose stanno così: passerai il resto della tua vita su un aereo. Sembra una sofferenza. Sembra non avere nulla per cui soffrire.”

La “Transizione” potrebbe non migliorare le cose e potrebbe renderle peggiori

In terzo luogo, Chu riconosce che “la transizione” potrebbe non rendere le cose migliori e potrebbe persino peggiorare le cose. Chu scrive: “Mi sento decisamente peggio da quando ho iniziato con gli ormoni.” E continua: “Come molti dei miei amici trans, ho visto la mia disforia gonfiarsi da quando ho iniziato la transizione.”

Infatti, come ho documentato in Quando Harry divenne Sally , le prove mediche suggeriscono che la riassegnazione del sesso non risponde adeguatamente alle difficoltà psicosociali affrontate da persone che si identificano come transgender. Anche quando le procedure hanno successo dal punto di vista tecnico ed estetico, e persino in culture che sono relativamente “trans-friendly”, i transitioner ottengono comunque risultati scadenti.

Persino l’amministrazione Obama ha ammesso che gli studi più accurati non riportano miglioramenti dopo la chirurgia di riassegnazione . Nel mese di agosto 2016, i Centers for Medicare e Medicaid hanno scritto: “I quattro studi meglio progettati e condotti che hanno valutato la qualità della vita prima e dopo l’intervento chirurgico utilizzando studi psicometrici validati (anche se non specifici) non hanno dimostrato cambiamenti clinicamente significativi o differenze nel test psicometrico somministrati dopo GRS [chirurgia di riassegnazione di genere].”

Cosa significa? Una popolazione di pazienti soffre così tanto che è disposta a sottoporsi ad amputazione e ad altri interventi chirurgici radicali, e la migliore ricerca che l’amministrazione Obama è riuscita a trovare suggerisce che non apporta miglioramenti significativi nella loro qualità di vita.

 

Il suicidio è un rischio serio

Quarto punto, Chu confessa una lotta con l’ideazione suicidaria: “Non avevo desideri suicidi prima degli ormoni. Adesso li ho spesso. ”

Nel 2016, l’amministrazione Obama ha riconosciuto una realtà simile. In una discussione sul più ampio e più robusto studio sulla riassegnazione del sesso, il Centers for Medicare e Medicaid hanno sottolineato: “Lo studio ha identificato un aumento della mortalità e dell’ospedalizzazione psichiatrica rispetto ai controlli corrispondenti. La mortalità era dovuta principalmente ai suicidi completati (19,1 volte superiori a quelli degli Svedesi di controllo) ”

Questi risultati sono tragici. E contraddicono in toto sia la narrazione dei media più popolari, che molti degli studi che fotografano la realtà senza seguire le persone nel tempo. Infatti l’amministrazione Obama ha osservato che “la mortalità di questa popolazione di pazienti non è stata evidente fino a dopo 10 anni”. Quindi quando i media dedicano studi che registrano risultati solo per alcuni anni e affermano che la riassegnazione è uno straordinario successo, ci sono buone motivi di scetticismo.

 

Lo scopo della medicina è la guarigione

Questo ci riporta alla tesi di Chu secondo cui “l’unico prerequisito della chirurgia dovrebbe essere una semplice dimostrazione della volontà di farlo”. Come considerare questa affermazione?

Perché un medico dovrebbe eseguire un intervento chirurgico quando sa che non renderà felice il paziente, non conseguirà l’obiettivo previsto, non migliorerà il disturbo di base, potrebbe peggiorare il disturbo di base e potrebbe aumentare la probabilità di suicidio? Chu vuole trasformare il concetto della professione della medicina, trasformando un medico in niente più che “una siringa altamente competente, a noleggio”, nelle parole di Leon Kass .

Sfortunatamente, Chu non è il solo. Molti professionisti ora considerano l’assistenza sanitaria, compresa quella per la salute mentale, principalmente come un mezzo per soddisfare i desideri dei pazienti, qualunque essi siano. Kass spiega:

“Il modello implicito (e talvolta esplicito) della relazione medico-paziente è quello del contratto: il medico – una siringa altamente competente a noleggio, per così dire – vende i suoi servizi a richiesta, vincolato solo dai limiti di legge (sebbene sia libero di rifiutare i suoi servizi se il paziente non vuole o non può pagargli l’onorario). Questo il patto: per il paziente, l’autonomia e il servizio; per il dottore, i soldi e la soddisfazione di aver dato al paziente ciò che vuole. Se un paziente vuole aggiustarsi il naso o cambiare sesso, determinare il sesso di bambini non ancora nati, o prendere droghe euforizzanti per svago, il medico potrà fare e farà il suo lavoro, a condizione che il prezzo sia giusto e che il contratto sia esplicito su cosa succede se il cliente non è soddisfatto.”

Questa visione della medicina e dei professionisti della salute è un errore. I professionisti dovrebbero dedicarsi agli scopi e agli ideali che servono. Questo è ciò che li rende professionisti e non solo fornitori di servizi. Gli insegnanti dovrebbero dedicarsi all’apprendimento, gli avvocati alla giustizia secondo la legge e i medici a “guarire i malati, cercandone la salute e l’integrità”. La guarigione è “il nucleo centrale della medicina”, scrive Kass, “guarire, integrare, è l’attività principale del dottore.”

Ma la visione di Chu della Medicina trasforma il medico in qualcuno che soddisfa semplicemente i desideri, anche se ciò che fa non è bene per quel paziente. Chu scrive:

“Voglio ancora questa cosa, tutta. Voglio le lacrime; voglio il dolore. La transizione non deve rendermi felice perché io la voglia. Lasciati a loro stesse, le persone raramente perseguono ciò che li fa sentire bene a lungo termine. Il desiderio e la felicità sono agenti indipendenti.”

La buona medicina non riguarda il desiderio, riguarda la guarigione. Fornire la migliore assistenza possibile, servire gli interessi sanitari del paziente richiede una comprensione della completezza e del benessere umano. La salute mentale deve essere guidata da un sano concetto di benessere umano

I nostri cervelli e sensi sono progettati per metterci in contatto con la realtà, connettendoci con il mondo esterno e con la realtà di noi stessi. Pensieri e sentimenti che mascherano o distorcono la realtà sono fuorviati e possono causare danni. In  Quando Harry divenne di Sally , io sostengo che dobbiamo fare un lavoro migliore di aiutare le persone che devono affrontare queste lotte.

 

Travisamento del mio lavoro

E Chu mi contesta:

“Molti conservatori chiamano questo [disforia di genere] pazzia. Una diffusa narrativa di destra sostiene che la disforia di genere sia una forma di allucinazione; quindi, nutrire quell’illusione con ormoni e interventi chirurgici costituisce una violazione dell’etica medica. Basta chiedere Ryan T. Anderson, membro della Heritage Foundation, , il cui libro “When Harry Became Sally” attinge pesantemente al lavoro del dott. Paul McHugh, lo psichiatra che  chiuse la clinica dell’identità di genere  a Johns Hopkins nel 1979 con la motivazione che la terapia affermativa significava “cooperare con una malattia mentale”. Il signor Anderson scrive: “Dobbiamo evitare di aggiungere dolore alle persone con disforia di genere, mentre presentiamo loro alternative alla transizione”.

Naturalmente non definisco “pazzi” le persone con disforia di genere. E affermo nel libro esplicitamente che non prendo posizione sulla questione clinica se percepirsi del sesso opposto sia una forma di allucinazione. Ecco perché Chu non ha potuto citare nessuna parte del mio libro che dica così.

In tutto  il libro  io sottolineo che i sentimenti riferiti dalle persone che si identificano transgender sono reali – si sentono davvero scollegati dal loro sesso corporeo – ma constato anche il fatto che quei sentimenti non cambiano la realtà corporea. Riconosco il vero disagio che la disforia di genere può causare, ma non lo faccio mai definendo chi lo sperimenta come un “pazzo”.

Constato ripetutamente che la disforia di genere è una condizione grave, che le persone che vivono un conflitto di identità di genere dovrebbero essere trattate con rispetto e comprensione, che abbiamo bisogno di trovare risposte migliori, più umane ed efficaci, per le persone che soffrono di disforia.

Ciononostante, Chu afferma che sono impegnato in “pietà pelosa”, “spaccio di bigotteria sotto le spoglie di preoccupazione comprensiva”.

Per la cronaca, Chu non mi ha mai contattato per quanto riguarda la mia ricerca o il mio libro. Né il Times mi ha contattato per verificare nessuna delle affermazioni fatte su di me nell’editoriale. In effetti, questa è la seconda volta che il New York Times ha pubblicato un editoriale con critiche imprecise su di me e sul mio libro.

Gli Americani non sono d’accordo sulla questione dell’identità di genere e sui “migliori approcci medici” per trattare la disforia di genere. Dobbiamo rispettare la dignità delle persone che si identificano come transgender e allo stesso tempo fare tutto il possibile per aiutare le persone a trovare la completezza e la felicità. Ciò richiederà una discussione migliore di questi problemi, motivo per cui  ho scritto il mio libro . Ed è presumibilmente il motivo per cui Chu ha scritto questo editoriale. Ora non è il momento degli attacchi personali e chiamate in causa nominali, ma per dire la verità in modo sobrio e rispettoso.

Chu potrebbe considerarmi un “bigotto”, ma io considero Chu un essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio che sta lottando con una condizione dolorosa e pericolosa. In quanto tale, Chu merita attenzione e sostegno che portino salute e integrità, non l’elargizione su richiesta di “servizi” che persino Chu riconosce sia improbabile che migliorino la sua vita e potrebbe peggiorarla sensibilmente.

 

fonte: The Pubblic Discourse

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