Gesù e la parabola dell'amministratore scaltro

 

 

Domenica XXV del Tempo Ordinario (Anno C)

(Am 8,4-7; Sal 112; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13)

 

 

di Alberto Strumia

 

Le letture di questa domenica richiedono un’attenzione particolare per essere comprese correttamente, nel loro contenuto, ed essere, quindi, di insegnamento in ordine ad una “vita buona”, seriamente “cristiana”.

Potremmo dire che sono letture dedicate alla vera “astuzia”, o scaltrezza, quella che è l’unica veramente tale, perché veramente “conveniente”. Nella vita “non conviene” fare i furbi, ma conviene esserlo veramente, cioè essere saggi.

– Nella prima lettura troviamo un’esplicita condanna della “disonestà” motivata sull’“astuzia” di chi è convinto non solo di “farla franca”, ma soprattutto che, fare i furbi in questo modo («diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false»), sia “umanamente più conveniente” dell’essere onesti.

Ma Dio avverte – per mezzo del profeta Amos – chi si lascia convincere da questa forma di “parvenza di astuzia”, che è quella di Satana: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

Tradotto per noi, oggi, questo significa che, vivere secondo il principio che sostiene che Dio non esiste e se esiste non c’entra, è il modo più sicuro per ingannarsi. Questo tipo di “astuzia” non è astuto come sembra, perché la “realtà delle cose” finisce per rivoltarsi contro chi la pratica, già su questa terra e non solo, ma pesantemente e definitivamente, nell’eternità.

– Nella seconda lettura l’Apostolo Paolo, istruisce il suo discepolo Timoteo a fare il Vescovo, per educare il popolo cristiano che gli è affidato («Raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio») per avere una “vita buona” già su questa terra, inizio di quella pienezza di bene che, seguendo questa strada, sarà goduta pienamente e definitivamente nell’Eternità.

Per avere sulla terra un anticipo di “vita buona”, occorre riconoscere e vivere con la consapevolezza della “centralità” di Cristo («Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti») e comportarsi di conseguenza. Questa è la vera “astuzia” cristiana, l’unica che resiste quando tutte le “furbizie” del mondo si dimostrano fallimentari. Cedere anche solo alla tentazione di essere “furbi secondo il mondo” per fare il presunto “bene della Chiesa” è l’inganno tipico che ha sempre tentato gli uomini di Chiesa e i loro stretti collaboratori laici. Ma questo è un modo troppo “politico” di intendere l’essere cristiani, per essere quello giusto, quello dei santi! Oggi, il fallimento di un mondo in cui si vive come se Dio non esistesse – o pur ammettendo che esista, si dice che non c’entra con le faccende umane – è un “dato sperimentale”, scientificamente osservabile… coperto solo dall’ideologia politicante.

– Nell’ascoltare il Vangelo, viene da domandarsi perché il padrone della parabola raccontata da Gesù – che sta a rappresentare Dio Padre che dona agli uomini i beni della propria vita da amministrare – loda questo amministratore disonesto? Non certo per la sua disonestà, ma per un atto di “astuzia giusta”, di scaltrezza. In che cosa consiste questa scaltrezza che spesso i figli della luce, cioè̀ i cristiani, non hanno mentre dovrebbero averla. Quale scaltrezza dobbiamo avere per non rendere inutile la nostra esistenza umana e la nostra vita cristiana?

Anzitutto cerchiamo di capire il contesto della parabola che viene generalmente frainteso. Stando ai metodi in uso nella Palestina, al tempo di Gesù, un amministratore non veniva pagato direttamente dal padrone, ma si pagava con gli interessi guadagnati facendo dei prestiti con i beni del suo padrone, interessi che all’atto della restituzione spettavano di diritto a lui (cfr. La Bibbia di Gerusalemme, nota al v. 8 del cap. 16). Per cui riducendo il valore degli importi sulle ricevute il fattore non compì un atto disonesto, ma semplicemente rinunciò agli interessi che gli spettavano: in questo modo si fece amici i debitori che dovettero restituire di meno, e si ingraziò il padrone che lo lodò per questa sua trovata intelligente, forse la prima azione onesta di tutta l’attività amministrativa di quell’uomo, che non venne giudicato disonesto, quindi, per questa azione ma per tutte quelle precedenti.

Possiamo imparare, da questa lode di Gesù, per questa scaltrezza, o “astuzia cristiana”, della quale, per altro, troviamo traccia anche in un passo di Matteo («siate dunque scaltri come i serpenti e semplici come le colombe», Mt 10,16), a servirci dei beni terreni, ad incominciare dal denaro, usandolo in maniera onesta, ma non ingenua per non rischiare di essere ricattabili, in futuro, per esserne rimasti privi, essendo stati licenziati dal padrone, mondano o ecclesiastico che sia (!). Non possiamo permetterci, neppure nella Chiesa, di essere ricattati da coloro che, in cambio del nostro sostentamento materiale, pretendessero di obbligarci a diffondere dottrine che tradiscono l’insegnamento del Signore, custodito per secoli come patrimonio della fede. Ce lo ha insegnato, fino dall’inizio della Chiesa anche l’Apostolo Paolo che ha preferito lavorare per rendersi economicamente indipendente e non pesare sulla comunità («Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani», At 20,34), fino ad essere condizionato in ciò che doveva insegnare e correggere.

Ce lo ha insegnato san Giuseppe, il lavoratore per antonomasia nel Vangelo, che, istruito dall’angelo apparsogli in sogno, ha salvato in ogni pericolo la Santa Famiglia, anche grazie al suo lavoro, sapendo evitare di farsi ricattare da Erode che tentava di imporgli di sacrificare il figlio al suo dispotico potere.

Ce lo insegna la Vergine Maria che, affidandosi alla fiducia di Giuseppe, anche grazie alla sua autonomia economica, non ha accettato alcun tipo di ricatto per nascondere una maternità che, con la logica di oggi sarebbe stata sicuramente soppressa al momento stesso del suo primo affacciarsi.

La scaltrezza di chi, in una situazione del mondo e della Chiesa come quella attuale, ha saputo rendersi non ricattabile economicamente per non essere ricattato dottrinalmente e spiritualmente, sembra essere proprio quella che il padrone della parabola del Vangelo suggerisce anche a noi di avere, oggi. Non lo avremmo forse mai immaginato fino a qualche anno fa! Ma Gesù, nel Vangelo, ci riserva sempre più profondi elementi di comprensione della Parola di Dio.

 

Bologna, 18 settembre 2022

 

 


 

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