Hanno sempre strombazzato l’efficacia della vaccinazione nel ridurre la mortalità da COVID. Il problema però è come si contano i decessi da COVID  e a quale gruppo attribuirli, ai non vaccinati o ai vaccinati? In Svezia, dopo aver fatto una richiesta di accesso agli atti presso le autorità sanitarie, 29 medici e scienziati sono riusciti a ottenere i dati disaggregati per poter capire a chi attribuire quei decessi. Un articolo di Hartgroup ci racconta cosa è stato trovato. Ve lo propongo nella mia traduzione. 

 

Landskrona, città della svezia meridionale.
Landskrona, città della Svezia meridionale.

 

Nel dicembre 2021 Norman Fenton, Martin Neil, Clare Craig, Josh Geutzkow, Joel Smalley, Scott McLachlan e Jonathan Engler hanno pubblicato un articolo che mette in dubbio l’efficacia del vaccino implicita nelle statistiche ufficiali di mortalità del Regno Unito in relazione allo stato di vaccinazione, sollevando l’errata classificazione dei decessi dei vaccinati subito dopo l’iniezione come non vaccinati come possibile fattore significativo.

Gli autori – come previsto – non sono riusciti a pubblicare l’articolo in nessuna rivista tradizionale, poiché tutto ciò che contrasta la posizione ufficiale del governo su tutto ciò che riguarda la pandemia, in particolare le vaccinazioni, è stato effettivamente soppresso o censurato negli ultimi due anni.

Nonostante le ripetute richieste di FOI da parte di diversi soggetti, nessuna agenzia governativa britannica ha mai rilasciato dati sufficientemente granulari suddivisi nelle categorie necessarie per consentire un’analisi significativa della portata (se esiste) di questo problema di miscategorizzazione.

Ora, però, sembra che una richiesta FOI all’Agenzia svedese per la salute pubblica da parte di 29 medici e scienziati sia riuscita a ottenere tali dati (per la Svezia). Hanno scritto un articolo al riguardo (in inglese) qui.

I dati sono rivelatori. Dimostrano essenzialmente che gli individui morti entro 2 settimane dalla vaccinazione sono stati classificati e conteggiati come non vaccinati. Incredibilmente, questo vale per il periodo di 14 giorni dopo la seconda e la prima dose. I numeri in gioco non sono certo banali. In un blog di substack, Jessica Rose ha rieseguito le statistiche sull’efficacia del vaccino alla luce della nuova categorizzazione dei dati (qui trovate la mia traduzione in italiano dell’articolo di Jessica Rose, ndr).

In conclusione, la corretta categorizzazione ribalta completamente il calcolo dell’efficacia del vaccino, suggerendo un significativo aumento del rischio di morte nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, piuttosto che la conclusione viceversa che le autorità avevano inizialmente propagandato. Sebbene non vi sia una suddivisione per età, l’entità del ribaltamento delle conclusioni è comunque abbastanza netta da far concludere che vi è stato un travisamento molto grave e probabilmente deliberato di ciò che le statistiche sulla mortalità implicano realmente sull’efficacia dei vaccini contro la mortalità.

C’è da chiedersi quanti altri Paesi abbiano fatto scherzi simili con i loro dati.

Post-scriptum:

Un altro autore – anonimo – ha pubblicato un articolo (qui trovate la mia traduzione in italiano, ndr) che sostiene di basarsi sul pezzo di Jessica Rose, calcolando i tassi di mortalità nei vaccinati e nei non vaccinati e confrontandoli con l’influenza.

L’autore riconosce nel testo il possibile effetto dell’age-confounding, ma riferendosi ad esso come a un effetto “lieve”, sottovaluta il suo potenziale di interferenza con la sua analisi; per trarre le conclusioni che egli stesso fa, infatti, sarebbe necessaria un’adeguata suddivisione per età dei decessi mese per mese. Tuttavia, se l’analisi può portare a un’interpretazione errata dell’efficacia del vaccino a causa della distorsione dovuta all’età, spetta a coloro che hanno accesso ai dati per età confutare l’analisi.

La principale conseguenza dell’episodio di questa FOI non è che i vaccini siano o non siano efficaci (contro la morte), ma piuttosto che c’è stato un errore sistematico di classificazione che (1) sembra essere stato intenzionale e (2) ha portato a un quadro estremamente fuorviante di ciò che i dati suggeriscono.

Episodi di questo tipo – che oggi appaiono fin troppo comuni in molti Paesi – rischiano di far crollare la fiducia del pubblico nelle istituzioni su cui dovremmo fare affidamento.

 


 

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