Rilancio un articolo particolarmente bello di Anthony Lilles sul papa emerito Benedetto XVI. Esso è stato pubblicato sul National Catholic Register. Ve lo propongo nella mia traduzione.

 

Papa Benedetto XVI
Papa Benedetto XVI

 

“In Gesù… l’uomo diventa capace di avvicinarsi a Dio nella profondità e nell’intimità del rapporto di un figlio con suo padre”. (Papa Benedetto XVI, Scuola di preghiera: i santi ci mostrano come pregare).

Il Papa Emerito Benedetto ha vissuto una nuova libertà e speranza per il futuro che ha trovato nell’accesso che solo Cristo dà al cuore di Dio. Nella sua contemplazione e solitudine davanti al Signore, le vicende terrene lasciavano il posto ai misteri liturgici del cielo. Qui ha trovato un’intensità dell’essere che la politica cerca di ostacolare, anche nella Chiesa. Non essendo un ingranaggio del progresso sociale, rifiutò a lungo una vita guidata dall’ambizione. Si sforzò invece di essere obbediente al Dio di Gesù Cristo.

Come prefigurato nella Pasqua ebraica, Joseph Ratzinger si è lasciato condurre fuori dalla schiavitù del tran tran quotidiano per entrare nella libertà della volontà di Dio, la libertà dell’amore. Ha trovato la libertà di pregare perché, sotto i segni sacramentali, il Figlio eterno del Padre ha stabilito in lui un nuovo rapporto con Dio, quello di un figlio con suo padre.

Arruolato contro la sua volontà nell’esercito tedesco, Ratzinger fu interrogato dal suo sergente su cosa avrebbe fatto dopo che la Germania avesse “vinto” la guerra mondiale. Il giovane soldato disse di voler diventare sacerdote e fu deriso. Non ci sarebbe stato bisogno di preti nella nuova Germania perché nessuno avrebbe avuto bisogno di salvezza, gli fu detto. In quel momento il futuro Papa si rese conto che la Germania non solo avrebbe perso la guerra, ma che il suo Paese avrebbe avuto ancora più bisogno di lui come sacerdote.

Le sue preghiere sono state segnate dalla convinzione che solo Dio dà un futuro e la libertà al suo popolo.

Ogni giorno, attraverso simboli e segni sacri, gesti e parole sacerdotali, spazio e tempo sacri, egli ha trasmesso la speranza cristiana non vista dal mondo: non nella lotta dello spirito contro i limiti della materia, non nella ricerca di altezze spirituali immutabili al di sopra di quelle meramente materiali, ma nella gratitudine per un dono immeritato, nell’umile accettazione del Salvatore crocifisso.

Quando il Verbo si fa carne, il sacro invade il profano per trovare riposo nella debolezza umana. Non limitato ai più potenti, il Dio onnipotente ha scelto di manifestarsi in ciò che è più piccolo. Ratzinger ha vissuto in umiltà riverente perché ha aderito a un Dio umile.

Una spiritualità così incarnata è in contrasto con le voci che affermano di essere spirituali ma non religiose o di credere in Cristo ma non nella Chiesa. Se la nostra situazione fosse semplicemente quella di spiriti individualizzati, sarebbe una cosa. Ma qualsiasi approccio che ignori la realtà della vita è semplicemente una cattiva religione. In un mondo morente, in cui le forze dell’interesse personale tentano di sottomettere tutto ciò che è più meraviglioso, persino nel grembo materno, nel cuore, rimane una bontà profonda che cerca un futuro.

La vera religione vede l’umanità come incarnata insieme nel grande dramma del bene e del male che si svolge nella storia, dove tutti sono coinvolti nella lotta di ciascuno, e propone non una fuga, ma una ragione di speranza di fronte a tutto ciò che minaccia il nostro prosperare.

Papa Benedetto ha compreso la nostra situazione come ostacolata dal peccato e dalla morte, ma ancora intrinsecamente ordinata verso una comunione significativa. Infatti, a immagine e somiglianza della Trinità, era certo che la società umana è condannata a meno che il Dio salvatore non entri nelle nostre relazioni e le infonda di nuova vita. A questo proposito, la vita del Papa emerito ha testimoniato che il Salvatore entra nella nostra realtà umana per redimerla tutta: anche la politica, la tecnologia e l’arte. Il Dio di Gesù Cristo sta dalla parte dell’umanità. Con lui, il meglio non è dietro, ma davanti a noi.

Pur credendo che Dio sia all’opera nel profano, la spiritualità liturgica di Papa Benedetto era comunque fondata sul sacro. Con riverente familiarità, ha meditato a lungo sulle parole della Parola e ha trovato un punto di osservazione. Se gli altri si lasciano trasportare dai cicli di notizie e dagli scontri ideologici, lui ha appoggiato il peso della sua esistenza sulla verità e lì ha preso posizione. Ha studiato in preghiera la Bibbia e la tradizione come bussola per navigare nel caos della vita. Ha percepito il passaggio che il nostro Dio crocifisso ha aperto per primo attraverso le paure e i dolori dell’umanità e, tenendo gli occhi fissi su di lui, cammina sul sentiero della Chiesa. Per questo pellegrinaggio di fede, la sua spiritualità ha anticipato una vita che questo mondo che passa non può più trattenere.

Questa spiritualità liturgica contempla la Parola eterna. Se Benedetto XVI ha battezzato i suoi pensieri nella Bibbia, facendo del suo linguaggio il linguaggio del suo cuore, ha anche frequentato la Parola che parla attraverso più che le parole. L’autocomunicazione di Dio nello spazio e nel tempo non si limita alla mera storia, ma apre un livello di esistenza più profondo: il sacramentale.

I cristiani adorano in una selva di silenzi pieni di significato e di ricche solitudini di solidarietà. Non attraverso i simboli e i riti, Cristo si dona nella sostanza più profonda del cuore. Papa Benedetto ha insegnato la nuova soggettività che il cristiano conosce: non viviamo più la nostra vita, ma la vita di Cristo in noi – una vita che è da e per l’amore del Padre e, attraverso la fede della Vergine Madre, da e per l’umanità.

Nel volto eucaristico di Cristo, l’amore di Dio per noi fa nuove tutte le cose, perché il Padre ci ha benedetto nel suo Figlio con ogni benedizione spirituale. Nello sguardo d’amore di Cristo, anche dopo due millenni di cristianesimo, Papa Benedetto sapeva che abbiamo solo scalfito la superficie di ciò che ci è stato donato. La sua contemplazione liturgica vuole farci precipitare in nuove profondità nel cuore di Cristo:

“Dopo lo strappo del velo del Tempio e l’apertura del cuore di Dio nel cuore trafitto del Crocifisso, abbiamo ancora bisogno di spazi sacri, di tempi sacri, di simboli mediatori? Sì, ne abbiamo bisogno, proprio perché attraverso l'”immagine”, attraverso il segno, impariamo a vedere l’apertura del cielo. Ne abbiamo bisogno per avere la capacità di conoscere il mistero di Dio nel cuore trafitto del Crocifisso” (Spirito della Liturgia, p. 61).

L’Ufficio petrino ha informato la sua vita spirituale. Il ministero papale è una paternità spirituale in un mondo che vive una grave crisi di paternità. La paternità deve irradiare ciò che l’uomo non può fare per sua natura: l’amore di Dio Padre.

La paternità spirituale nella Chiesa eleva questa vocazione su un piano soprannaturale: i padri nell’ordine della grazia sono segni fragili e imperfetti dell’amore perfetto del Padre celeste. Tale amore si esprime nell’ombra cruciforme e nel grido senza parole. Basta pensare all’incapacità di Pietro di affrontare la croce per vedere lo scandalo della fragilità umana di fronte al mistero della paternità divina. Il mistero è che il Signore risorto lo incarica comunque di “pascere le mie pecore”. Sotto il soffio dello Spirito, lo fa.

Benedetto, come tanti altri sacerdoti che osano vivere in questo mistero, ha scoperto non solo la sua fragilità, ma ancor più la potenza nascosta di Dio all’opera nel mondo. L’unico modo per camminare in una tale tempesta è l’estrema umiltà fissata su Cristo, e il Santo Padre ha sofferto tutti i tradimenti e le umiliazioni che questo significa. Così, come pastore capo della Chiesa, ha servito con una grazia estesa anche a coloro che pubblicamente erano in disaccordo con lui. Non era un uomo che cercava il controllo o manipolava le cose per il suo piacere, ma continuava a vivere abbandonato alla volontà di Dio attraverso il continuo rinnovamento della sua mente.

Timido per natura, il suo cuore di pastore lo spingeva a proclamare con coraggio la Buona Novella. Chi potrebbe mai dimenticare la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia, quando, con le braccia alzate, muoveva le dita sorridenti come se le grida di giubilo del raduno internazionale fossero lo Spirito Santo che suonava gli accordi su un pianoforte? Eppure questo amante di Mozart non ha nascosto la sfida del Vangelo. Nei suoi insegnamenti, ci ha ricordato le verità fondamentali che lui stesso ha vissuto: la necessità di disciplinare i desideri allontanandoli da ciò che è egoistico e ordinandoli verso ciò che è nobile, la necessità di imparare a “offrire”, la necessità di leggere la Bibbia con devozione di cuore, la necessità di essere riverenti quando ci avviciniamo all’altare.

Nei suoi ultimi anni di ritiro, ha affrontato la presenza di Cristo nella storia umana – e per ogni anima affidata alla sua preghiera – come un mistero trasformativo. Ha pregato per scatenare questa trasformazione nelle prove che affrontiamo oggi, e sapeva che la nostra speranza non delude. Ha pregato credendo che il Signore crocifisso trasforma costantemente la nostra violenza in amore e la nostra morte in vita, proprio come trasforma il pane nel suo Corpo.

Per fede, il Papa in pensione si è aggrappato a un nuovo principio di unità dell’umanità e, quindi, a una salvaguardia della speranza e della libertà del cuore umano. Questo principio è Gesù di Nazareth, il Signore Risorto. Forse la testimonianza spirituale dell’ex Santo Padre è che, anche quando la sua umanità non riusciva più a tenere il passo con le esigenze del papato moderno, ritirandosi addirittura nella solitudine e nel nascondimento, egli ha vissuto come se la sua più grande opera nella Chiesa fosse appena iniziata, perché l’amore è nel cuore della Chiesa, e questo amore scaturisce più dalla devozione del cuore che dal mero esercizio della carica ecclesiale. L’amore di Benedetto XVI per il Corpo di Cristo ha risposto alla crisi di paternità che abbiamo di fronte: Nella sua preghiera silenziosa, la voce del Padre ci chiama di nuovo.

 

Anthony Lilles, membro fondatore del Seminario Teologico St. John Vianney di Denver, ora presta servizio nell’Arcidiocesi di Los Angeles come decano accademico del Seminario Saint John di Camarillo, California, e come consulente accademico della Juan Diego House di Gardena, California. È stato determinante nella fondazione dell’Avila Institute of Spiritual Formation e conduce podcast per DiscerningHearts.com. Tra le sue prossime pubblicazioni figurano Fire from Above, un trattato sulla preghiera contemplativa pubblicato da Sophia Institute Press e 30 Days with Saint Therese of Lisieux, pubblicato da Emmaus Press, in collaborazione con Daniel Burke. Lilles si è laureato all’Università Francescana di Steubenville. Ha completato gli studi universitari e post-universitari a Roma, presso la Pontificia Università di San Tommaso, e la sua tesi di laurea ha studiato la Beata Elisabetta della Trinità. Ulteriori informazioni su Anthony sono disponibili qui.

 


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