Solennità della SS. Trinità (Anno C)
(Pr 8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15)
di Alberto Strumia
Terminato il Tempo Pasquale, con la solennità della Pentecoste – che la Chiesa ha celebrato nella scorsa domenica – la liturgia sembra ricordarci, ogni anno, che è stato detto tutto da parte di Dio, è stato rivelato all’umanità tutto quanto serve per vivere sulla faccia della terra. Ora si tratta, ormai, “solo” di approfondire la comprensione di ciò che è stato rivelato, di non perdere il tempo fingendo di non sapere, di annaspare nella storia, in questo nostro tempo presente, come se le nostre “culture” non conoscessero più come stanno veramente le cose. Semplicemente perché il farlo “non conviene”: cercare di vivere come se Dio non esistesse, come se Cristo non fosse Dio, unico Salvatore – perché è il solo attraverso il quale riapprodare al “giusto modo” di vivere – non solo è tempo perso, ma è distruttivo dell’essere umano. E oggi lo vediamo con sempre maggiore evidenza (non solo per le guerre, ma ancora più capillarmente per la “cattiveria diffusa” che si annida nei singoli come nella società). A che serve, allora, continuare ad ostinarsi nell’errore di Satana quando questa ostinazione porta ad un sistematico fallimento umano?
Non è forse più saggio ripercorrere la comprensione che gli uomini hanno avuto della loro storia – particolarmente quella degli ultimi secoli – fino a risalire all’errore che si trova “all’origine”, ed è la causa della desolazione dei nostri giorni? Perché, allora, non tentare la strada di una ri-comprensione cristiana della condizione umana, alla luce della Rivelazione? Del resto non ci sono alternative ragionevoli! La solennità della Santissima Trinità è l’invito più esplicito che la liturgia ci guida a compiere in questa direzione di recupero di consapevolezza, perché l’uomo rientri in se stesso («Allora rientrò in se stesso«, Lc 15,17).
La Sacra Scrittura ci spiega come tutto ha un “Fondamento” (un Principio), che “fa esistere” e “conserva” tutto quello che esiste: è ciò che essa chiama creazione («In principio Dio creò il cielo e la terra», Gen 1,1). E da sempre questo Principio viene chiamato Dio («omnes Deum nominant», San Tommaso, Summa Theol., I, q. 2, a. 3co). Questo fondamento “di tutto” non può che essere “uno” e uno solo, perché se fossero anche solo due, l’uno non potrebbe essere il fondamento dell’altro, che di conseguenza non sarebbe più il fondamento “di tutto”. Questo è quanto possiamo “vedere” noi di Dio, per così dire “dall’esterno”, con la sola intelligenza umana. A questo punto entra in gioco la Rivelazione, quello che la Scrittura, e soprattutto Gesù Cristo ha detto di Dio, parlandone quale Dio Egli stesso, quindi per così dire “dall’interno”. E parlandone con “naturalezza”, per la comunanza di “natura” con Dio. Ci ha parlato di Dio Padre, come di una Persona che è un tutt’uno con Lui («Io e il Padre siamo una cosa sola», Gv 10,30.) pur essendo distinto da Lui, tanto da parlarne come di un’altra Persona dalla quale è amato («Il Padre infatti ama il Figlio», Gv 5,20) e che ama. E poi Gesù parla dello Spirito Santo, come di una terza Persona che («Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di Lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”», Mt 3,16-17). I dottori medievali, di certo illuminati da Dio stesso, hanno riflettuto profondamente su questo mistero della fede comprendendo come le tre Persone si possono concepire come tre “relazioni” (paternità, figliolanza, amore) talmente stabili (non temporanee come la maggior parte delle nostre relazioni interumane), eterne, da esistere (“sussistere”) eternamente, essendo l’unico Dio esse stesse. Più di così il nostro modo di esprimerci non riesce a dire. Dal punto di vista logico la cosa è immune da contraddizioni pur non essendo “interamente” paragonabile alle cose create che conosciamo.
Ma parzialmente, in qualche modo, anche paragonabili, per “analogia”. Una vola che la Trinità di Dio ci è stata raccontata (“rivelata”) da Gesù Cristo, ne ritroviamo traccia un po’ dappertutto. Prima non eravamo in grado di immaginarla; poi si rivela come la chiave di comprensione più profonda dell’essere umano e della realtà cosmica intera.
Si riesce a vedere l’immagine e somiglianza di Dio nell’essere umano («Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”», Gen 1,26), “creato” come due persone distinte l’uomo e la donna, della stessa “natura” umana («Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò», Gen 1,27). A differenza della “generazione” di Dio Figlio (il “Verbo”), che è una sola “sostanza” con Dio Padre, con la “creazione” Dio fa sì che l’uomo e la donna siano, invece, ciascuna due “sostanze” individue indipendenti, tanto che l’una può sopravvivere all’altra. La loro “relazione” di amore, insieme a tutte le relazioni interumane, sono importanti per la loro vita, ma sono in gran parte “contingenti”, mutevoli, non eterne come in Dio. Ci vorrà la “Grazia” di un Sacramento come il Matrimonio per rendere possibile la stabilità “per la vita” dell’amore tra l’uomo e la donna, a somiglianza della stabilità dell’Amore reciproco tra il Padre e il Figlio. La generazione umana dei figli, da parte della coppia, è somiglianza di quella tra il Padre il Figlio, ma con la differenza che ciascun figlio non è né suo padre, né sua madre, ma una “sostanza” autonoma, mentre in Dio il Figlio e il Padre sono una sola sostanza («Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza», prefazio).
Queste somiglianze si ritrovano, come “attenuate”, per l’emergere di maggiori differenze, anche nel mondo della vita animale e vegetale, nel quale pure esiste la coppia maschio-femmina, la negazione ideologica della quale produce solo squilibrio e danno. E addirittura nel mondo inanimato delle cose materiali. Perfino tra le particelle elementari le relazioni (“interazioni”) tra due di esse sono veicolate da una terza particella di scambio. Quasi un ultimo vestigio di somiglianza con la Trinità.
La storia della Salvezza ci insegna a prendere coscienza di questo quadro completo della realtà, perché impariamo a muoverci all’interno di esso, quasi timorosi (è il “timore di Dio”, dono dello Spirito Santo) di guastare qualcosa, e desiderosi di conoscere e comprendere (è la “Sapienza”, che rende saggia la “Scienza”, essi pure doni dello Spirito Santo).
E a guidarci nel percorso della storia della Salvezza troviamo la Madre di Dio, Maria Santissima, prima redenta, alla quale dobbiamo affidarci sicuri, perché lei per prima ha già percorso la strada e ha avuto in sé, in anticipo su tutti noi quella pienezza definitiva (“eterna”) della vita che tutti aspettiamo di avere a tempo debito, e che nessuno potrà mai più togliere («nessuno vi potrà togliere la vostra gioia», Gv 16,23).
Bologna, 12 giugno 2022
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