di Giovanna Ognibeni
No, è inutile, non ce la fanno proprio. Non riescono a giungere ad un pensiero proprio o razionale, men che meno ad un pensiero proprio e razionale.
Non so negli altri Paesi, ma nel nostro pare proprio che gli intellighenti, siano essi giornalisti o politici o talkshowisti, già frequentanti discount di periferia delle idee, trovino gli scaffali sempre più vuoti e debbano arrangiarsi a prepararci la tavola con un po’ di scatolame, cercando di convincerci che è roba di prima scelta.
Per trovare una ragione a tale desolazione, mi devo rifare ad un paradigma di mia invenzione che ho battezzato come sindrome del Canaro.
Molti ricorderanno questo cupo personaggio di fine anni ’80, assurto alla gloria cinematografica con Dogman. Alla Magliana er Canaro era noto nella sua doppia vita di toelettatore di cani e tossico malvivente con precedenti di rapinatore, succube di un complice pugile, tossico e spacciatore pure lui, che si divertiva a terrorizzarlo e malmenarlo. In un pomeriggio di febbraio 1988, er Canaro attira in bottega il suo aguzzino, lo immobilizza come uno dei suoi cani e dopo orribili sevizie lo uccide. Il caso naturalmente suscitò grande scalpore e nell’opinione pubblica si formarono, come di consueto, due partiti, furiosi nelle loro buone ragioni, divisi tra l’orrore e l’idea che l’altro se la fosse in qualche modo cercata.
Ma il punto cruciale era che si doveva prendere una posizione, non ci possono essere due vittime o due carnefici.
Nel migliore dei mondi possibili la separazione tra bene e male è per così dire pacifica, ma noi non viviamo in esso. Nel caso di specie del Canaro abbiamo due vittime e due carnefici, seppure in momenti diversi ed intendo sottolineare la comunanza del secondo aspetto: magari il Nazismo fosse stato il Male Assoluto! Ne abbiamo sotto gli occhi infiniti esempi.
Forse che l’azione del Canaro potrebbe essere mai giustificata dalle vessazioni del suo aguzzino? Mai e poi mai; giustificare significa “rendere giusta” l’azione che ha compiuto, e questo è impossibile. Ma la sua azione va spiegata.
Stabilire i necessari rapporti di causa ed effetto ci toglie dall’infantilismo di ritorno che caratterizza il nostro ragionare (parola decisamente grossa per l’attuale vagare del pensiero).
Spesso ho avuto difficoltà nel sostenere che prima di attraversare sulle strisce pedonali è meglio guardare a destra e sinistra o che è prudente non entrare in certi quartieri ed a certe ore col Rolex d’oro o la minigonna vertiginosa: vero è che tu hai il diritto di precedenza, e questo farà felici voglio dire consolerà i tuoi eredi nella causa civile, o che una donna ha diritto a non essere molestata ma non viviamo appunto nel migliore dei mondi possibili. Voglio forse giustificare il guidatore scriteriato o il molestatore? No certamente, ma la prudenza, anche a non considerarla una Virtù cardinale, torna sempre utile.
Tutte le azioni producono delle reazioni, una volta almeno le fiabe lo insegnavano.
Non è questione di cerchiobottismo; è solo realpolitik del pensiero.
Ma il principio di realtà è proprio quello che si è perso: nei due esempi casuali che ho fatto, il dato comune, non casuale, è l’idea di diritto – di precedenza sulle strisce pedonali come di andare vestiti come ci pare. In realtà non esistono in quanto tali, esistono norme particolari per regolamentare certe evenienze. Tutto qua.
Mi sia concessa una piccola divagazione, suggeritami dalla mia esperienza personale. Sono il caso clinico, ma non unico, di persona inguaribilmente disordinata con la mania dell’ordine e perciò in continua tensione per trovare cassetti in cui dividere le cose; in uno dei rari soprassalti di autocoscienza realizzo che l’optimum per me sarebbe un cassetto per ogni singola mutanda. Poi mi guardo intorno e vedo che gran parte delle ambientazioni, meglio conosciute come location, per pubblicità suggeriscono un identico approccio; tutto quanto sul modello Ikea, un sabba di organizer, contenitori e divisori, ganci e mensole, cesti e cestini, tutto diabolicamente necessario e appetibile nelle forme e nei colori. Una persona naturaliter ordinata non avrebbe bisogno di questa irreggimentazione. Ma come non siamo capaci di un ordine negli oggetti fisici, ancor meno lo possediamo per gli oggetti mentali.
Ed ecco che ci sovvengono con organizer e divisori del pensiero: c’è chi pensa per noi, così non perdiamo tempo, mentre confondiamo allegramente proposizioni causali con proposizioni concessive, tanto manco sappiamo cosa siano e così anche chi ci ascolta.
Per vivere bene e pensare meglio oggi basta seguire i protocolli.
Come in uno slalom gigante, dobbiamo solo stare dentro il percorso segnalato dalle bandierine, se ne saltiamo una siamo eliminati. Se ti trovi sul lato sbagliato, come si usa dire, della Storia sono rogne senza fine.
Finzioni giuridico-narrative: prendiamo la guerra Russia Ucraina; la finzione è che l’Ucraina un giorno abbia deciso di voler entrare nella Nato, così per aspirazione legittima (in fondo già da bambina lo desiderava), mentre gli Usa erano tutti impegnati a seguire la finale del Super Bowl, i Russi si esercitavano nella balalaika e i Cinesi perfezionavano il loro shanghai. Vale a dire gli equilibri dei blocchi di potere politico e soprattutto economico se li sono immaginati gli inventori del Risiko.
Poi, se a qualcuno viene in mente la storia, meglio le storie del Donbass, ecco il pannello separatore; prima di ogni eventuale e prudente obiezione, deve essere scandita a voce alta la distinzione tra Paese invasore e Paese invaso. Ce lo raccomandava quotidianamente Mattarella, il Presidente dal congiuntivo esortativo: “Non si invochi la libertà per non vaccinarsi” “Si distinguano le responsabilità” e via esortando.
Per esempio non ci si attardi a spiegare che forse per la Russia potrebbero valere le stesse considerazioni che spinsero Kennedy al braccio di ferro con Kruscev per i missili installati a Cuba (d’altra parte non era colpa di Kruscev se Cuba si trovava a poco più di 400 Km da Miami) nel non troppo lontano 1962.
Quando gli Usa intervennero nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq e forse in appena uno o due altri Paesi ci furono sì delle contestazioni ma nessuno additò il Presidente americano di turno come un criminale o un animale (forse perché alla ribalta politica non c’era ancora Luigi Talleyrand Di Maio).
Forse perché l’Occidente esportava la democrazia, come suggeriva una delle menti meno brillanti dell’italico giornalismo. Ecco quindi le obiezioni messe in ordine nel cassetto giusto.
Stesso criterio nel separare i calzini oggi, nella questione Hamas/ Israele.
Niente di più lontano dal mio sentire che trovare una qualche giustificazione per gli attentati di Hamas. Come avvertiva Dostoevskij nei Demoni, il terrorismo è alla radice ateo. Nel momento in cui gli uomini hanno intravisto Dio nel sacro, tutte le esperienze fondamentali sono state introdotte nel suo spazio normativo: tregue, patti (pacta servanda sunt), seppellimento dei caduti e tutta una serie di espliciti o taciti accordi e regole. Perché a differenza di leoni iene e gazzelle, il nemico non è solo una cosa da mangiare o distruggere, ma rimane una persona. Già nell’Iliade, Canto IV, è un’ignominia la rottura della tregua per lo sconsiderato attentato di un Troiano verso Menelao (suggeritogli da Atena, la dea protettrice dei Greci per scongiurare la pace. Vedi tu quant’erano moderni gli dei dell’Olimpo).
Gli atti di terrorismo sovvertono la grammatica di base delle relazioni umana. E sono vili.
In tutte le forme.
Che i civili siano sempre finiti nel mezzo delle guerre, tra saccheggi e rappresaglie è un dato di fatto, ma solo nel civilissimo ventesimo secolo diviene una tattica militare bombardare la popolazione civile per terrorizzarla. E dopo ottant’anni si potrebbe forse incominciare a riconoscere come Terrorismo le azioni militari di bombardamenti inaugurate dai Nazisti ma ben presto imparate e perfezionate dagli Alleati e uscire dalla retorica presbite per cui si vedono benissimo le pagliuzze degli eccidi durante le Crociate ma non si mettono a fuoco i bombardamenti su Dresda o Hiroshima.
Giustificate queste dalla guerra dichiarata? Ma né i bambini ed i vecchi dell’Ucraina né quelli di Bassora o di Belgrado hanno mai dichiarato guerra a chicchessia. Comunque i bombardamenti sui civili presentano il vantaggio di avere un indubbio effetto di moral suasion sul nemico, e, last but not least, di abbattere le voci di spesa.
Poi certamente la barbarie di Hamas è senz’altro più impressionante per quell’aspetto di ferocia primitiva, sangue e sgozzamenti e urla (belli ed epici i combattimenti del Gladiatore, ma al cinema). Le bombe non portano kefiah ed occhi pieni di odio, ma ci vedono benissimo.
Ma anche qui, gli orribili attentati di Hamas fanno di Israele, inteso come Stato che persegue una certa politica e che esprime il governo Netanyahu, una vittima innocente? Al punto di giustificare qualunque azione di ritorsione, senza un mezzo fiato per discutere di gradualità della risposta, per non parlare di giustizia?
Così, in Occidente abbiamo ricominciato l’infantile guerra a parole di legno, secondo gli stilemi già collaudati per Covid e vaccini, con il corredo di soliti insulti e di consueti moduli espressivi tratti dal genere trash, fatto di mantra come “Non ti permettere! (variante non ti permetto)” e ripetizione per almeno tre volte della stessa frase.
La cosa è risibile ma non innocua, perché prepara a battaglie con spade vere: ho colto dichiarazioni riportate senza commenti, e perciò in qualche modo legittimate, di riservisti israeliani o placide massaie tra i coloni sulla volontà e l’obbligo morale di sterminare tutti i palestinesi a cominciare dai bambini. Ho letto su Tempi un articolo che raccontava come il soldato azero Safarov in una caserma di Budapest con altri soldati dell’Est Europa per un corso, sia entrato nella camera di un soldato armeno e l’abbia massacrato a colpi d’ascia ed Interrogato abbia risposto che sentiva il dovere di uccidere tutti gli armeni, perché pericolosi per il suo popolo. Anni dopo venne estradato in Azerbaijan, dove gli venne concessa subito la grazia ed oggi è considerato un eroe nazionale.
Safarov come il riservista israeliano. Solo che quest’ultimo suscita in più l’interrogativo di come un ebreo, portatore in qualche misura della tragedia del suo popolo, arrivi a considerare altri degli untermenschen, a riprova di come talvolta si realizzi un’osmosi di odio tra carnefice e vittima, come raccontava Visconti nelle sequenze finali de “La Caduta degli Dei”: ai nazisti serviva l’odio puro, non importa quali ne fossero le cause.
Tutti i Safarov del mondo tornano non solo all’epoca preomerica ma al livello belluino di leoni e iene.
Del resto, per noi evoluti occidentali, dalla coscienza così vibrante e quasi umbratile, i bambini non ancora nati sono anch’essi di fatto degli untermenschen.
La tragedia non sta nelle parole del riservista e neppure nell’atto folle e orrendo del giovane Safarov, ma nel potere che li sancisce, approva e giustifica.
Perché le anime belle, per cui il paragone tra l’olocausto e le sopraffazioni subite dai non vaccinati era semplicemente ridicolo, dovrebbero ricordare che superata quella sottile linea rossa è solo questione del caso se la pietra del destino non rotola giù allo stesso modo.
La classe politica occidentale è una parata di dilettanti allo sbaraglio, la classe intellettuale fa di tutto per superarla in faziosità e inconsistenza, al punto che non sai dove finisca la malafede e dove abbia inizio la stupida ignoranza (va bene anche stupidità ignorante, il prodotto non cambia).
Non è solo una debolezza degli intelletti, qui è in atto un crollo spirituale generale.
Il sonno della ragione, che è come dire l’assenza di Dio, genera mostri.
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