di Nicola Lorenzo Barile
Qual è lo stato di salute della scuola, e in particolare di quella cattolica, alla vigilia del nuovo anno scolastico, in tempi di COVID-19? Mentre quella statale sembra afflitta dai soliti problemi di edilizia scolastica (nella variante, stavolta, dei banchi singoli) e di organico (gli inevitabili concorsi da espletare), la scuola paritaria può gioire dei finanziamenti promessi dal governo (150 milioni di euro).
In attesa dei cahiers de doléances degli opinionisti italiani della materia, segnalo la notevole riflessione di Nicole Stelle Garnett, John P. Murphy Foundation Professor of Law presso la Law School dell’Università di Notre Dame: Why We Still Need Catholic Schools? They provide a unique educational alternative for disadvantaged kids (=Perché abbiamo ancora bisogno delle scuole cattoliche? Esse offrono una alternativa educativa unica per i bambini svantaggiati), apparsa sul numero estivo di «City Journal» (qui) che sintetizzerò e commenterò brevemente; benché incentrata sulla realtà statunitense, sempre precorritrice di usi e costumi, mi sembra non priva di interesse.
L’articolo di Garnett vede la luce in un momento molto particolare del dibattito sulla scuola privata negli Stati Uniti, successivamente a due eventi. Il primo è la pubblicazione della sentenza Espinoza v. Montana della Corte Suprema degli Stati Uniti (30 giugno 2020), secondo la quale non si può invocare il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti sulla libertà di scelta per impedire alle scuole confessionali, e in particolare a quelle cattoliche, di accedere alle risorse pubbliche in quanto istituzioni religiose. Infatti, secondo il Giudice Supremo Samuel Alito, i cosiddetti Blaine Emendments, dal nome del senatore James G. Blaine del Maine, che nel 1876 tentò senza successo di modificare la costituzione federale per vietare il finanziamento delle scuole confessionali da parte del governo, così come molte disposizioni statali, furono ispirati «da pregiudizi virulenti contro gli immigrati, in particolare gli immigrati cattolici».
Le scuole cattoliche statunitensi, in effetti, non hanno mai avuto vita facile, ricorda Garnett, dovendo affrontare ostacoli politici e legali, tra cui la veemente resistenza dei sindacati degli insegnanti e una significativa incertezza costituzionale, eliminata una volta per tutte dalla sentenza della Corte Suprema Zelman v. Simmons-Harris (27 giugno 2002), che respinse la tesi secondo la quale il programma di vouchers dell’Ohio, consentendo ai bimbi poveri di Cleveland di iscriversi alle scuole religiose, violasse il Primo Emendamento. Oggi, oltre la metà degli stati federali finanzia almeno un programma di scelta della scuola privata, più che triplicati nell’ultimo decennio, grazie anche a iniziative meno controverse dei vouchers, come quelle che non finanziano direttamente borse di studio, ma incoraggiano piuttosto donazioni private attraverso una politica di sgravi fiscali, o che consentono ai genitori di utilizzare fondi statali per una serie di spese, tra cui il pagamento della retta delle scuole private, sicché negli Stati Uniti si può dire che attualmente operano ben 55 differenti programmi di finanziamento della scelta di una scuola privata.
Questi innegabili successi, tuttavia, non hanno impedito nell’ultimo decennio la chiusura di oltre 1.200 scuole elementari e secondarie cattoliche, la maggior parte delle quali situate nelle aree urbane, nonché la diminuzione delle iscrizioni di oltre 400.000 studenti, pari al 18,4 per cento. Questa crisi della scuola cattolica ha molte cause, nota Garnett, tra cui la secolarizzazione e la suburbanizzazione dei cattolici americani e il drastico calo del numero di suore e sacerdoti, che ha aumentato il costo degli insegnanti e il peso delle rette scolastiche. Un altro importante fattore è stata la diffusa convinzione che le charter schools (scuole autorizzate a ricevere contributi privati e, seppur in minor misura delle statali, pubblici) offrissero la scelta scolastica necessaria: infatti, nello stesso periodo del calo di iscritti alle scuole cattoliche, sono state aperte oltre 2.500 charter schools e le iscrizioni presso di esse sono aumentate di quasi 2 milioni.
Il secondo evento, di segno diverso, è la recente, tenace volontà del governatore della California, il democratico Gavin Newsom, di non autorizzare questo autunno l’apertura di alcuna scuola, pubblica o privata che sia, fino a quando lo stato non stabilisce che è sicuro farlo (si veda l’editoriale del «Wall Street Journal»: Politicians vs. Catholic Education. Private schools want to reopen, but Newsom in California and other governors say no, 19 luglio 2020).
Grandi distretti scolastici, tra cui quelli di Los Angeles, San Diego e San Francisco, infatti, hanno già annunciato l’intenzione di tenere lezioni online, ma la contea di Orange e alcuni distretti minori, così come molte scuole cattoliche, fra cui quelle dell’arcidiocesi di Los Angeles, si stanno organizzando invece per riportare i bambini in classe.
Ciò si può spiegare con il fatto che mentre le scuole pubbliche hanno il monopolio dell’istruzione, le scuole cattoliche, invece, devono darsi da fare per far iscrivere gli studenti; inoltre, la maggior parte dei genitori degli alunni delle scuole cattoliche non sono ricchi e molti non sono nemmeno cattolici: risparmiano per offrire ai loro figli un’istruzione di qualità che includa valori religiosi, nonché la disciplina e l’educazione che spesso mancano nelle scuole pubbliche.

Questo il contesto. Dopo di che, Garnet ribadisce come la cultura e le buone pratiche delle scuole cattoliche sono valori eminentemente cattolici, che includono la credenza in una verità oggettiva e la compatibilità fra la fede e la ragione; la convinzione che tutti i bambini, indipendentemente dalle circostanze della vita, sono formati a immagine e somiglianza di un Dio amorevole e gli educatori cattolici hanno il dovere di aiutarli a esprimere le potenzialità donate loro, e che il successo personale e il buon carattere di ciascuno derivano non solo dall’obbedienza alle regole, ma anche dal seguire abitudini virtuose; infine, che Dio ci chiama a servire il bene comune, piuttosto che massimizzare semplicemente i nostri risultati individuali. Questi attributi distintivi delle scuole cattoliche, se radicati nella fede e condivisi e attuati da insegnanti e dirigenti scolastici, possono spiegare l’attrattività e la convenienza della frequenza di una scuola cattolica, com’è dimostrato, a sua volta, dal numero dei loro alunni laureati e occupati con successo.
Per prevenire il disimpegno nell’educazione dovuto a una certa tiepidezza della fede tipica del nostro tempo, segnato da un progressivo disincanto del mondo e un evidente pluralismo sociale, Garnett ricapitola la generale ricaduta positiva della presenza di una scuola cattolica, grazie a una serie di dati raccolti fra Chicago, Philadelphia e Los Angeles e analizzati con Margaret F. Brinig nel volume Lost Classroom, Lost Community: Catholic Schools’ Importance in Urban America (2016) , scoprendo così che la chiusura di una scuola cattolica provoca una complessiva diminuzione del capitale sociale e un parallelo, anche se non necessariamente conseguente, aumento del crimine organizzato nei quartieri più urbani, suggerendo che il crimine è, in media, inferiore di almeno il 33 % nelle zone sorvegliate dalla polizia di Chicago con scuole cattoliche aperte, rispetto a quelli senza istituzioni del genere. Al contrario, secondo Garnett e Brinig, la presenza delle charter schools non sembra avere alcun effetto statisticamente significativo sui tassi di criminalità del quartiere, anche se non è possibile stabilire un nesso di causalità diretto.
Le charter schools indubbiamente hanno aggiunto un prezioso pluralismo al panorama educativo americano, constata Garnett, fornendo speranza e opportunità a milioni di bambini; da quando il Minnesota ha promulgato la prima legge sulle charter schools nel 1991, infatti, esse sono diventate la principale opzione di scelta scolastic. Le charter schools, inoltre, sono gratuite e i genitori con mezzi limitati, comprensibilmente, le hanno viste come sostituti ragionevoli delle scuole cattoliche, che invece prevedono il pagamento di tasse scolastiche. Per molti politici, inoltre, la presenza di charter schools come opzione per i genitori a basso reddito riduce o elimina la necessità di offrire a tali genitori l’aiuto finanziario di cui avrebbero bisogno per scegliere le scuole cattoliche per i loro figli.
Il crescente vantaggio delle charter schools ha avuto profonde implicazioni per le scuole confessionali, che, invece, non possono attingere a fondi pubblici, a meno che non si secolarizzino e diventino charter schools. Alcune diocesi sono arrivate a sostenere apertamente che le charter schools forniscono, o possano essere autorizzate a farlo predisponendo un’istruzione religiosa supplementare, un’esperienza educativa sostanzialmente equivalente a quella cattolica. Tuttavia, suggerire che possano sostituire completamente una scuola cattolica significa trascurare il fatto che le charter schools, per legge, devono essere laiche, anche se possono prevedere l’insegnamento della religione, ma non come frutto di una verità rivelata. Quando una scuola cattolica è diventata una charter school, com’è successo a Memphis, la scuola cattolica ha chiuso i battenti ed è stata sostituita da un’istituzione completamente nuova, distinta e interamente laica.
Secondo Garnett, è tempo di ripensare ampiamente l’educazione cattolica. Le scuole cattoliche offrono una significativa alternativa educativa per i bambini svantaggiati che le charter schools non possono eguagliare facilmente, ma la loro redditività futura, insieme a quella delle altre scuole confessionali, dipenderà molto dalla possibilità di scegliere una scuola privata da parte dei genitori.
Garnett individua due percorsi principali per ampliare tale possibilità di scelta: il primo, autorizzare charter schools autenticamente religiose, eliminando il requisito di legge della loro assoluta laicità; il secondo, aumentare i finanziamenti per consentire ai bambini più poveri di beneficiare della scelta di una scuola privata.
La prima scelta, riflette Garnett da giurista, è poco praticabile, almeno a breve termine, visto che la luna di miele fra charter schools e istituzioni statali è finita. Nel luglio 2017, ad esempio, la National Education Association (il più grande sindacato degli insegnanti negli Stati Uniti) ha rivisto la sua politica sulle charter schools, definendole un «esperimento fallito», ha chiesto che fossero poste sotto il controllo dei distretti locali e autorizzate ad aprire solo quando non avessero avuto un impatto negativo sulle scuole pubbliche locali. Lo stesso governatore della California Newsom, lo stato con il maggior numero di studenti di charter schools, si impegnò nella sua campagna elettorale a imporre una moratoria e, successivamente, ha firmato una legge che autorizza i distretti a bloccare l’apertura di nuove charter schools o l’espansione di quelle esistenti. Quasi tutti gli aspiranti democratici alla presidenza degli Stati Uniti, inoltre, hanno espresso ostilità nei confronti delle charter schools, tra cui Joe Biden, pure un loro sostenitore in passato, mentre alcuni oppositori storici delle charter schools sono recentemente arrivati al punto di accusarle di razzismo, nonostante i loro meriti nell’aiutare proprio gli studenti delle minoranze.
Per Garnett, non ha molto senso che la scelta della scuola privata sia così ostacolata. Centinaia di migliaia di bambini americani frequentano scuole private con assistenza pubblica, mentre milioni si iscrivono a charter schools private. Le leggi statali e federali considerano le charter schools «pubbliche», anche se funzionano, a tutti gli effetti pratici, come scuole private e forse, come hanno deciso diversi tribunali statali e federali, hanno anche una finalità costituzionale.
Pertanto, il percorso con la minor resistenza è il secondo. Le risorse fornite ai programmi di scelta della scuola privata dovrebbero aumentare, ad un livello almeno commisurato al finanziamento delle charter schools, soprattutto dopo la sentenza Espinoza v. Montana, che cancella, in molti stati, un grave ostacolo legale alla possibilità di scelta da parte dei genitori, oltre che politico, dal momento che i Blaine Emendments sono stati uno spauracchio (bogeyman) evocato dagli avversari della libertà di scelta dei genitori nelle controversie legali. Il Congresso ne sta discutendo e l’amministrazione Trump sta spingendo fortemente la legislazione federale per orientarla alla scelta della scuola privata sulla scia del COVID-19. La Florida ha recentemente ampliato notevolmente i suoi programmi di scelta delle scuole private, aprendo le porte delle scuole private e confessionali a altre migliaia di bambini. Altri stati, secondo Garnett, dovrebbero seguirne l’esempio e le notizie sulla chiusura di scuole cattoliche a causa del COVID-19 fanno capire che non c’è tempo da perdere.
Qualche considerazione. Benché non manchi il consueto riferimento alla necessità da parte del governo di stanziare finanziamenti per le scuole private onde garantire la libertà di scelta cara alla scuola di Milton Friedman, nel contributo di Garnett colpisce l’enfasi posta costantemente sul valore, tipicamente cattolico, della garanzia della libertà di educazione, non a caso annoverato fra le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede presieduta dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger (24 novembre 2002); divenuto Benedetto XVI, riconobbe chiaramente l’unicità del sistema educativo del cattolicesimo statunitense: «(…) la comunità cattolica in questo Paese ha fatto dell’educazione una delle sue più importanti priorità. (…) Innumerevoli Religiose, Religiosi e Sacerdoti, insieme con genitori altruisti, hanno aiutato, attraverso le Scuole cattoliche, generazioni di immigrati a sollevarsi dalla miseria e a prendere il loro posto nella società odierna. Questo sacrificio continua anche oggi. (…) In effetti, deve essere fatto tutto il possibile, in collaborazione con la comunità più vasta, per assicurare che esse siano accessibili a persone di ogni strato sociale ed economico. A nessun bambino o bambina deve essere negato il diritto di una educazione nella fede, che di rimando nutre lo spirito della nazione» (Incontro con gli educatori cattolici. Discorso di Sua Santità Benedetto XVI, Washington, D.C., 17 aprile 2008).
Scrivi un commento