Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Eduardo Echeverria e pubblicato su Crisis Magazine. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 

 

 

Come può la Chiesa conciliare l’insegnamento secondo cui il magistero è un servitore della Parola di Dio (“Magisterium verbum Dei ministrant“) e non al di sopra di essa (“non supra verbum Dei“), come afferma la Dei Verbum (§ 10), con la presunzione, espressa recentemente in un’intervista con Edward Pentin (qui la traduzione italiana, ndr) dal cardinale arcivescovo designato Victor Manuel Fernández, che Papa Francesco abbia un

carisma particolare… un carisma unico,… un dono vivo e attivo, che è all’opera nella persona del Santo Padre… [non solo] per la salvaguardia del deposito della fede… [ma anche per] la dottrina del Santo Padre.

L’affermazione di Fernández è sconcertante. Una cosa è affermare che il magistero ha un carisma relativo alla missione di preservare infallibilmente la Fede una volta per tutte consegnata alla Chiesa (Giuda 1,3); un’altra è affermare che il Papa stesso ha un carisma che salvaguarda la sua stessa dottrina.

Possiamo sintetizzare un’affermazione della presunzione che il Papa abbia un carisma unico che salvaguardi la sua stessa dottrina con il seguente sillogismo: “Ciò che il magistero papale insegna con l’assistenza dello Spirito Santo deve essere vero; ma il magistero papale insegna X. Quindi, X deve essere vero”. Si tratta di un argomento a priori che pretende di essere la base per confidare nella promessa di Cristo che lo Spirito di verità guiderà la Chiesa verso la pienezza della verità (Giovanni 16:13).

L’affermazione dell’arcivescovo Fernández sul carisma unico del Papa rischia di far crollare ogni distinzione tra il magistero e le sue fonti normative, come la Scrittura, il che, come sostiene Ratzinger, “minaccia il primato delle fonti che, (se si continuasse logicamente in questa direzione) distruggerebbe in ultima analisi il carattere di servizio dell’ufficio di insegnamento”. In breve, il problema di questa argomentazione a priori è che confonde la differenza tra due affermazioni: la prima, che dovremmo accettare l’insegnamento della Chiesa perché è vero, in accordo con la supremazia della Scrittura e delle altre fonti autorevoli della fede, e la seconda, che dovremmo accettare l’insegnamento della Chiesa semplicemente perché la Chiesa lo insegna.

La prima affermazione è vera, ma non la seconda. Ratzinger approfondisce l’implicazione che deriverebbe dalla verità della seconda affermazione:

Il risultato di questa [argomentazione a priori] è stato che la Scrittura è stata considerata fondamentalmente solo sotto l’aspetto della prova che offriva per affermazioni già esistenti, e anche quando questo è stato fatto con grande attenzione e con metodi esegetici moderni, questo modo di procedere difficilmente ha permesso di sviluppare un tema dalla prospettiva della Scrittura stessa o di sollevare questioni dalla Bibbia che non erano coperte dal corpo dell’insegnamento della Chiesa.

La direzione logica di questo argomento a priori, e quindi dell’affermazione dell’arcivescovo Fernández, è il magistero solum.

La posizione del magistero solum è talvolta chiamata “positivismo ecclesiastico”. Il cardinale Avery Dulles descrive la direzione logica di questa posizione come segue:

In alcune presentazioni sembrava che il credente dovesse dare un assegno in bianco al magistero. La fede cattolica era intesa come una fiducia implicita nel magistero e la prova dell’ortodossia era la disponibilità dell’uomo a credere a qualsiasi cosa la Chiesa potesse insegnare per il motivo stesso che la Chiesa la insegnava. Un pericolo di questo approccio era quello di generare una certa indifferenza nei confronti del contenuto della rivelazione. Si sentiva dire che se la Chiesa avesse insegnato che in Dio c’erano cinque o dieci persone, l’avrebbero creduto con la stessa fede con cui ora credevano nelle tre persone divine.

Ora, la posizione del magistero solum è sbagliata perché fa del magistero della Chiesa la norma suprema della fede. In altre parole, la Chiesa cattolica non ritiene che la sua autorità sia la base – “credo a causa dell’autorità della Chiesa” – per assentire intenzionalmente alla verità divina che viene creduta, insegnata e proclamata dalla Chiesa. Piuttosto, la Chiesa è uno strumento divino attraverso il quale noi diamo il nostro assenso a quella verità.

Si pensi, ad esempio, alle osservazioni di Ratzinger sui limiti dell’autorità della Chiesa riguardo all’ordinazione delle donne. Le sue osservazioni si riferiscono alla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II del 1994, Ordinatio Sacerdotalis. Ratzinger scrive a proposito dell’affermazione chiave di questa Lettera:

[Volendo rimanere fedele all’esempio del Signore], “la Chiesa non si ritiene autorizzata ad ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale”. In questa affermazione il Magistero della Chiesa professa il primato dell’obbedienza e i limiti dell’autorità ecclesiastica: La Chiesa e il suo magistero non hanno un’autorità in sé e per sé, ma solo dal Signore. La Chiesa credente legge le Scritture e le vive… nella comunione viva del popolo di Dio in ogni tempo; sa di essere vincolata da una volontà che l’ha preceduta, da un atto di “istituzione”. Questa volontà preveniente, la volontà di Cristo, si esprime nel suo caso con la nomina dei Dodici.

E più di trent’anni prima Ratzinger scrive nello stesso senso:

“La “Tradizione”, infatti, non è mai una semplice e anonima trasmissione di insegnamenti, ma è legata a una persona, è una parola viva che ha la sua realtà concreta nella fede. E, viceversa, la successione [apostolica] non è mai l’assunzione di alcuni poteri ufficiali che sono poi a disposizione del titolare dell’ufficio; piuttosto, è l’essere assunti al servizio della Parola, l’ufficio di testimoniare qualcosa che è stato affidato e che sta al di sopra del suo titolare, in modo che egli passi in secondo piano rispetto a ciò che ha assunto e sia (per usare la meravigliosa immagine di Isaia e di Giovanni Battista) solo una voce che permette alla Parola di essere ascoltata ad alta voce nel mondo.

Il punto principale che Ratzinger sta sostenendo qui è che l’autorità dell’ufficio di insegnamento della Chiesa non si basa su sé stessa, e quindi la Chiesa non è essa stessa la norma della fede. La Chiesa afferma il primato dell’autorità di Dio, della sua Parola, in breve, della rivelazione divina, sull’autorità didattica della Chiesa, che è un’autorità derivata da Cristo.

Certo, la Chiesa ha autorità didattica, anzi partecipa all’autorità della Scrittura, ma “è solo una regola secondaria”, dice Yves Congar, “misurata dalla regola primaria, che è la Rivelazione divina”. Forse possiamo chiarire meglio questo punto distinguendo tra la “ragione formale” della fede e l’autorità didattica della Chiesa. La prima è la ragione per cui crediamo qualcosa, ad esempio che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. Lo crediamo in virtù della rivelazione divina. “La rivelazione divina è quindi la ragione senza la quale non ci sarebbe motivo di avere fede”. Quest’ultima – l’autorità ecclesiastica – è il mezzo che la Chiesa ha “per evitare di perdere questa preziosissima rivelazione”. Il cardinale domenicano Caetano (1469-1534) spiega quali sono questi mezzi:

E affinché non appaia alcun errore nella proposta o nella spiegazione delle cose da credere, lo Spirito Santo ha fornito una regola creata, che è il senso e la dottrina della Chiesa, in modo che l’autorità della Chiesa sia la regola infallibile della proposta e della spiegazione delle cose che devono essere credute per fede. Pertanto, nella fede concorrono due regole infallibili, cioè la rivelazione divina e l’autorità della Chiesa; tra loro c’è questa differenza: la rivelazione divina è la ragione formale dell’oggetto della fede, mentre l’autorità della Chiesa è il ministro dell’oggetto della fede.

La negazione del solum magisterium rinuncia all’autorità del magistero? In altre parole, il magistero della Chiesa è, secondo le parole del cardinale Dulles, “capace di certificare la verità rivelata con autorità divina”? Sì, il magistero della Chiesa serve come “colonna e baluardo della verità” (1 Timoteo 3:15), il che significa che parla in modo autorevole e dogmatico a tutta la Chiesa in nome della Chiesa. Come insegna la Dei Verbum §10,

Questo ufficio di insegnamento non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando solo ciò che è stato tramandato, ascoltandolo devotamente, custodendolo scrupolosamente e spiegandolo fedelmente secondo un incarico divino e con l’aiuto dello Spirito Santo, trae da questo unico deposito della fede tutto ciò che presenta alla fede come divinamente rivelato.

In sintesi, il cardinale Dulles spiega un infallibilismo moderato riguardo all’autorità del magistero e un corrispondente carisma per preservare la Chiesa:

1. Dio fornisce alla Chiesa mezzi efficaci con i quali essa può rimanere e rimarrà di fatto nella verità del Vangelo fino alla fine dei tempi.

2. Tra questi mezzi non ci sono solo le Scritture canoniche ma anche, come controparte essenziale delle Scritture, l’ufficio pastorale. Senza tale ufficio pastorale la comunità cristiana non sarebbe adeguatamente protetta dalle corruzioni del Vangelo.

3. L’ufficio pastorale è esercitato per la Chiesa universale dal titolare dell’ufficio petrino (che per i cattolici significa il Papa). È quindi ragionevole supporre che il Papa sia dotato da Dio di uno speciale carisma (o grazia dell’ufficio) per interpretare correttamente il Vangelo alla Chiesa universale, secondo le circostanze.

4. Affinché il papato possa svolgere adeguatamente la sua funzione di preservare l’unità nella fede e di smascherare gli errori pericolosi, il carisma papale deve includere il potere di affermare la verità del Vangelo e di condannare gli errori contrari in modo deciso e obbligatorio. I pronunciamenti autorevoli dell’ufficio petrino, seriamente vincolanti per tutti i fedeli, devono avere una verità adeguatamente certificata, perché non potrebbe esserci alcun obbligo di credere a ciò che probabilmente è un errore.

Come fa, dunque, l’ufficio petrino a certificare adeguatamente la verità? Se la tradizione e la Chiesa sono intrinsecamente e necessariamente legate alla Scrittura, cioè coniugate come una rete di autorità interdipendenti, presumibilmente ciò significa che la Chiesa non può giustificare, o certificare adeguatamente, nessuna verità dalla sola Scrittura, ma nemmeno dalla sola tradizione o dal solo magistero. Sì, queste autorità funzionano insieme (ognuna a modo suo) con gradi diversi di autorità, con la Scrittura che è la regola suprema della fede, la norma normans non normata (la norma senza norma sopra di essa), in modo tale che la Scrittura non è sottomessa alla tradizione o al magistero della Chiesa.

Inoltre, la Chiesa non ritiene che il magistero della Chiesa operi da solo, cioè senza riferimento ad alcuna norma superiore. Ancora in Dei Verbum, §10:

È chiaro, dunque, che la sacra tradizione, la Sacra Scrittura e l’autorità didattica della Chiesa, secondo il sapientissimo disegno di Dio, sono così legate e unite che l’una non può stare senza l’altra, e che tutte insieme e ciascuna a suo modo, sotto l’azione dell’unico Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.

C’è una coincidenza tra la Scrittura, la tradizione e la Chiesa nello schema dell’autorità teologica, tale che in modo intrinseco e necessariamente correlato esse “sono così legate e unite che una non può stare senza le altre”. Ma ” ciascuna a suo modo ” opera sotto l’azione dello Spirito Santo, cosicché all’interno di questo schema la Scrittura ha la priorità -prima Scriptura, secondo Dei Verbum, §21-26. Probabilmente, quindi, quando la Dei verbum afferma una relazione necessaria e intrinseca della tradizione e della Chiesa con la Scrittura, afferma anche una prima Scriptura, anzi, chiama la Scrittura “regola suprema della fede”.

Quindi, pace l’arcivescovo Fernández, non può esistere una “dottrina del Papa”. Questa frase mi ricorda il riferimento di un giornalista alla Messa funebre di Giovanni Paolo II al “divieto del Papa” sulla contraccezione, sulle donne prete, ecc. Non esiste una cosa del genere. Come afferma giustamente il cardinale Charles Journet a proposito dell’attività del magistero di insegnare la verità della Fede, è quindi necessario che ci sia

un’omogeneità e una continuità infallibile tra il deposito di fede divinamente rivelato una volta per tutte dagli apostoli, da un lato, e la sua effettiva conservazione attraverso i secoli per mezzo di un ufficio di insegnamento divinamente assistito, dall’altro.

L’osservazione di Journet non è incoerente con l’idea e la pratica dello sviluppo dottrinale espressa da San Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Vaticano II, riprendendo il Vaticano I, che a sua volta citava Vincenzo di Lérins: “Una cosa è infatti il deposito della fede, le verità contenute nella nostra venerabile dottrina; un’altra cosa è il modo in cui esse vengono espresse, ma con lo stesso significato e lo stesso giudizio [eodem sensu eademque sententia]”.

La clausola subordinata di questo passo fa parte di un passo più ampio della costituzione del Concilio Vaticano I, Dei Filius, e questo passo è a sua volta tratto dal Commonitorium 23 di Vincenzo di Lérins:

Pertanto, che ci sia crescita e abbondante progresso nella comprensione, nella conoscenza e nella saggezza, in ciascuno e in tutti, negli individui e nella Chiesa intera, in tutti i tempi e nel progresso delle epoche, ma solo entro i giusti limiti, cioè entro lo stesso dogma, lo stesso significato, lo stesso giudizio (in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia).

Anche se le verità della fede possono essere espresse in modo diverso, la Chiesa deve sempre determinare, alla luce delle garanzie ecclesiali, come la Sacra Scrittura, i concili ecumenici, i dottori della Chiesa, i fedeli cristiani e il magistero, se queste nuove riformulazioni conservano lo stesso significato e giudizio (eodem sensu eademque sententia), e quindi la continuità materiale, l’identità e l’universalità di quelle verità. Solo allora possiamo distinguere tra sviluppo vero e falso.

Eduardo Echeverria

 

Eduardo Echeverria è professore di filosofia e teologia sistematica presso il Seminario Maggiore del Sacro Cuore di Detroit. Ha conseguito il dottorato in filosofia presso la Free University di Amsterdam e la laurea in S.T.L. presso l’Università di San Tommaso d’Aquino (Angelicum) a Roma. È autore di diversi libri, tra cui Dialogo d’amore: Confessions of an Evangelical Catholic Ecumenist (Wipf & Stock, 2010).

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.


 

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