di Un sacerdote
“20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. 24 In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27 Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!” (Gv 12, 24-28).
Carissimo Sabino, è un bel po’ che non ti scrivo, ma in occasione della morte di papa Benedetto XVI (preferisco non aggiungere “emerito” perché credo che in cielo non ci siano emeriti) due righe te le voglio proprio inviare, aggiungendo qualche rivolo ai fiumi di parole che stanno inevitabilmente scorrendo per celebrare (o no) questa eminente figura. È un fatto di gratitudine per tutto quello che la sua persona ha rappresentato per me, per la Chiesa e per il mondo. Per me, poi, e lo diciamo in tanti, va benissimo che sia “santo subito” ed anche “dottore della Chiesa subito”, e chi se ne importa se il card. Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha messo già le mani avanti dicendo che vanno rispettati i tempi canonici per iniziare l’eventuale processo di beatificazione (cinque anni, se ricordo bene), così magari (aggiungo io) sarà già terminato il “sinodo” ereticale della chiesa tedesca (o terminata la chiesa tedesca?).
Pensando alla parabola della vita di questo “magno” servitore di Cristo e della Chiesa, così contrastato durante il suo ministero attivo, e all’epilogo misterioso delle sue dimissioni, mi sono venute in mente le parole di risposta che Cristo diede all’apostolo Andrea quando gli riferì del desiderio di alcuni greci (sicuramente proseliti della fede ebraica) di poterlo “vedere” (Gv 12, 21). La risposta di Gesù può apparire paradossale, ma ci ricorda come davvero soltanto lo si può “vedere”, ci indica l’unica prospettiva che dobbiamo avere per poterlo scorgere secondo quella verità che egli rappresenta in se stesso e con la quale egli vuole rivelarsi a coloro che hanno nel cuore la stessa domanda di quei Greci.
Come si può vedere Gesù? E come lo si può vedere in coloro che lo testimoniano nella verità, dato che egli dice: “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo” (Gv 12, 26)? Dove è Lui per poterlo ammirare in tutta la sua regalità? Certamente non in quei luoghi / troni dove trionfa l’apparenza della gloria mondana, troni politici, finanziari, mediatici o, ancora, visto ciò che è accaduto in questo due anni, sui troni di una imperante pseudo scienza, tutti luoghi dove più che mai si manifesta il trionfo disumanizzante del mondo. La gloria di Cristo, lo dice bene la voce del Padre che scende potente dal cielo (cfr. Gv 12, 28), si manifesta invece solo nel luogo e nell’ora decisiva della Croce, quando il chicco della sua vita, caduto nella terra della morte, inizierà a portare il suo frutto compiuto, certo visibile solo agli occhi della fede ed anche della Chiesa, quando è vera Chiesa, che nel tempo ha posto sulla gloria degli altari i suoi Santi servitori.
Ciò che a noi appare immediatamente tragico nella parabola discendente del pontificato di papa Benedetto è stato in realtà la traiettoria già gloriosa seguita dal seme che cade per poi risorgere come spiga matura e rimanere glorioso e fecondo di frutti per sempre: “L’ho glorificato [durante la sua missione sulla terra] e di nuovo lo glorificherò [prima sulla Croce e poi nella Risurrezione e per sempre]!” (Gv 12, 28). Vale per il “servo” ciò che è accaduto a colui che si è fatto Servo di tutti.
Credo che papa Benedetto abbia vissuto la sua drammatica parabola con questa coscienza di fede, consapevole di seguire la stessa sorte del suo Maestro e Signore. Le sue dimissioni, certamente provocate da una serie complessa di circostanze ostili che già in qualche modo stanno emergendo con maggiore chiarezza, sono state decise non con la rassegnazione di chi sa di essere stato sconfitto, ma con la consapevolezza di chi ha compreso che solo così, in quelle circostanze, e con perfetta coerenza, egli poteva ancora servire il suo Signore e glorificarlo negli ultimi anni della sua vita. Ha “odiato” la sua vita (cfr. Gv 12, 25) per affermare la Vita. Ha accettato l’umiliazione che lo ha crocifisso, per partecipare e testimoniare che essa è il segno unico dell’esaltazione di Dio e dell’uomo insieme. È stato “odiato senza ragione” (Gv 15, 25) per far comprendere, non solo con la sua brillante teologia, ma anche con la sua stessa esistenza, quale sia l’unica Verità che porta a compimento, nel dono immeritato della Grazia, ogni cammino di verità della ragione umana. Ragione che solo nella fede trova il riposo per la sua inquietudine: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Agostino), “en la sua voluntade è nostra pace” (Piccarda Donati, Paradiso, III, 85). Questo papa “magno” ha preso a cuore nel suo ministero e nella sua teologia le parole che pronunciò don Giussani come chiusura di un suo grande intervento in un lontano Meeting di Rimini: “Vi auguro di non essere mai tranquilli”; le ha prese a cuore offrendo la Via della pace vera, quella pace che ora sicuramente egli vive nel cuore stesso di Dio, nel cui “seno” (Gv 1, 18) è tornato Cristo (cfr. Gv 14, 2. 12), aprendo a lui e, se lo vogliamo, anche a noi tutti, in se stesso la Via: “dove sono io, là sarà anche il mio servo” (Gv 12, 26): prima nel luogo / trono della Croce, poi nel luogo / trono della gloria definitiva ed eterna.
Carissimo Sabino, il nuovo anno si apre con un santo in più che ci ha ricordato e ci ricorda che Cristo è la sola speranza (Enciclica Spe salvi). Questa speranza sia al cuore della tua fede e del tuo sempre ottimo lavoro d’informazione. Benedico te, i tuoi cari e tutti i tuoi collaboratori.
Ciao.
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Proprio oggi, sul sito Duc in Altum, campeggiava l’intervista di Valli a Radaelli in cui, per farla breve, quest’ultimo sponsorizzava il suo ultimo libro incentrato su di un BXVI addirittura eresiarca!
L’autore del testo ha ritenuto doveroso accusare il Santo Padre Benedetto di “ratzingerismo”, enunciato sinteticamente in 18 eresie!
Siamo a due dolorosissimi poli opposti: da un lato il fantascientifico”Codice Ratzinger” che di quest’ultimo se ne fa un remunerativo idolo, dall’altro il “Codice Radaelli”, strumento (anche questo remunerativo, non a caso!) d’intercettazione di eresie ratzingeriane, dotato di radar valutativo persino delle intenzioni del Papa defunto.
Per fortuna, dopo questi tremendi pugni in pieno volto, approdo qui e vi trovo questa profonda riflessione. Di un sacerdote che ama, evidentemente, e che, non giudicando, giunge alla verità. Con semplicità, che non è semplicioneria.
Un amico, ben a ragione, una volta scrisse: “La superbia è l’antitesi della verità”.