di Pierluigi Pavone
1.
Chiariamolo subito. I concetti aristotelici di tempo e spazio lasciano molto perplessi, già nella pratica. Il movimento per lui avviene sempre nel…“pieno”: vale a dire, un corpo si muove attraverso l’elemento (aria o acqua) che lo accoglie e avvolge. E si muove perché tende a tornare al suo luogo naturale: terra, acqua, aria, fuoco. Quanto al tempo, è semplicemente la misurazione del movimento dei cieli.
La sua “geografica astronomica” non aiuta: modello geocentrico – affascinante forse per i matematici quando Claudio Tolomeo teorizzerà gli epicicli – ma estremamente piccolo e diviso in mondo sub-lunare e mondo sovra-lunare fatto di etere (il quinto elemento perfetto). Il “tetto delle stelle” a chiudere gli orizzonti. Chiudere gli orizzonti spaziali, ma non temporali: il tempo c’è sempre stato come il movimento eterno dei cieli.
2.
Non basta. Rispetto ad Aristotele siamo arrivati a chiederci la natura del tempo intimamente umano. Talmente intimo che sant’Agostino definiva il tempo, con la difficoltà di comprenderlo e spiegarlo, distensio animi. Abbiamo distinto (Bergson) il tempo della fisica dal tempo della coscienza: il primo è fatto di istanti identici e uniformi, quantizzabile e ripetibile. Il secondo è continuo e soprattutto qualitativo, denso di memoria e attesa.
3.
E ancora non è sufficiente. Perché ci siamo chiesti “in che cosa” si espande l’universo!
Quando lo abbiamo fatto il modello antico già non c’era più da quattro secoli. Solo che in questi quattro secoli ci siamo “accontentati” di porre il sole al centro e al massimo di scardinare l’idea dei pianeti perfetti fatti di etere, che ruotano su altrettante orbite perfette, cioè circolari. In fondo… “nulla più”.
Abbiamo continuato a credere che la velocità fosse sommativa (un uomo che si muove sul treno in corsa, nella stessa direzione del suo moto, avrà per un uomo fermo alla stazione la somma tra la velocità del treno e la velocità propria). Era solo la relatività di Galileo! Inoltre si credeva che poiché la massa del Sole esercita una forza gravitazionale sulla Terra, se potessimo “togliere” all’istante il Sole, automaticamente nello stesso istante verrebbe meno anche la forza percepita dalla Terra.
Entrambe le credenze apparentemente corrette sono… relativa la prima e sbagliata la seconda. Maxwell quando studia l’elettromagnetismo capisce che la luce ha velocità finita. Non si somma!! Ovvero, se invece dell’uomo abbiamo un fascio di luce, quella velocità sarà la velocità della luce… per tutti e chiunque. È l’assoluto di quella che diventerà poco più di un secolo fa la teoria della relatività, quando Einstein concilia Maxwell con Galileo. Ovviamente ad un prezzo. Offre sul piatto della trattativa un pezzo da novanta: il tempo!
Il tempo non è una grandezza assoluta. La gravità lo “rallenta”: un uomo che vive sempre nell’attico di un grattacielo altissimo perde qualche secondo rispetto a chi vive al primo piano, perché la vicinanza alla Terra dilata per qualche secondo il tempo! Alla prossimità di un buco nero molto molto di più!
Con la velocità della luce si dilata, cosicché un gemello tornando da un viaggio su una astronave velocissima, troverebbe il fratello terrestre invecchiato di vari anni!
L’universo è un enorme tessuto caratterizzato da una struttura spazio-temporale. Una struttura, come chiarirà la relatività generale, “curvata” dalla massa. E così il tetto delle stelle fisse, la sfera che chiudeva il mondo di Aristotele non è un tetto, ma… un libro di storia: un testo aperto quando guardiamo il cielo di luci partite, da stelle remote, chissà quanti anni fa.
Ma un testo…finito. L’universo immenso è infatti illimitato, ma non infinito. Un universo finito nel tempo e nello spazio.
4.
Ed è proprio qui che Aristotele si prende la sua rivincita. È tempo (è il caso di dirlo) di riprendersi dallo smacco subito per qualche secolo, dopo che i moderni avevano riabilitato Democrito. Vale a dire, uno contro tutti nel mondo greco, che aveva teorizzato una visione atomistica e meccanicistica, in grado di ammettere, contro Aristotele, pure il vuoto, cioè il “non-essere” di Parmenide dove si muovono gli infiniti atomi, che per caso (cioè in virtù di leggi meccaniche e non per intervento di una qualche ragione divina o secondo un fine) si uniscono e separano.
Copernico e Keplero avevano capito la struttura del sistema solare e delle orbite. Nasceva via via la chimica moderna. E tutta la visione scientifica, con gli esperimenti di Galileo e Newton, e quella tesi empirista che la conoscenza deriva solo dalla esperienza. Il motto di Newton è proprio hypotheses non fingo. Proprio quelle ipotesi che invece Einstein avrebbe inventato senza neppure che ci fosse la matematica opportuna!
Ma la scienza in realtà era molto più affine a ciò che molti odiavano perché troppo medievale. Doveva conservare necessariamente affinità, perché nelle Università di San Tommaso si insegnava logica e principio di non contraddizione. Alla base delle stesse “cinque vie” che conducono a Dio.
5.
Esiste tra Aristotele e Newton una profonda comunione di idee. Direi essenziale. Nonostante tutto. Nonostante il metodo sperimentale e il rifiuto di conoscere l’essenza della realtà ma solo il suo funzionamento. Nonostante quel “dio minore” della fisica classica pensato come grande orologiaio, che Hawking arriverà a rendere inutile per spiegare l’universo.
Già. Perché l’ateismo dichiarato dal grande fisico Stephen Hawking è un ateismo relativo.
(qui tutte le obiezioni mosse contro la tesi della creazione spontanea in virtù delle leggi fisiche: qui).
Il suo dio negato è il dio della fisica classica. È il dio di Cartesio, che già Pascal escludeva come dio di astrazione, contrapposto a quello di Cristo e della Genesi…
Già…la Genesi che aveva prima di tutti posto la creazione dal nulla. E tutto in un versetto. IN PRINCIPIO DIO CREÒ IL CIELO E LA TERRA. E aggiunge poco oltre una cosa straordinaria. L’assoluto di Einstein. La luce! Tanto che, forse in modo suggestivo ma certamente interessante, il fisico Gabici ha riflettuto, sulle colonne di Avvenire (4 settembre 2010), circa la relazione tra il “fiat lux” della Bibbia e quanto risulta proprio dalla meccanica quantistica, dal «principio di indeterminazione» di Heisenberg, dagli studi sulle “fluttuazioni” e l’apparizione di piccole quantità di energia.
6.
Newton e Aristotele, San Tommaso e Einstein sono tutti convinti della realtà dello spazio e del tempo. Al di là della loro interdipendenza o meno. Al di là della dilatazione del tempo, dipendente dalla velocità della luce. Anche al di là della geometria quantica e quelle ipotesi del fisico italiano Ravelli di rivedere la struttura spazio-temporale: non sarebbe più non un continuum, ma una struttura schiumosa ad anelli (loop), in cui l’equazione matematica non contempla più… il tempo (come se a livelli fondamentali non servisse più come fattore descrittivo).
La qual cosa non equivale affatto a fare del tempo una illusione (anche se è più cool dire così). La qual cosa, ancora, non ha nulla a che vedere con le convinzioni di Kant, il quale fa dello spazio e del tempo solo quadri mentali della esperienza umana: le forme a priori della sensibilità rispetto a cui, la realtà si adegua e quindi “appare” all’uomo. Una sorta di programma di ricezione mail del cellulare, in virtù di cui leggiamo le mail non come sono scritte da remoto, ma come mi “appaiono”, cioè secondo la modalità ricettiva preinstallata (immaginiamo, Verdana grandezza 11, colore verde).
Nonostante le enormi distanze teoriche, Aristotele e lo scienziato contemporaneo sono accomunati dall’idea che il principio di causa-effetto esista nella realtà e la mente dell’uomo, quando conosce, non fa altro che adeguarsi all’essere della natura.
Anche qui, è solo Kant che farà del principio di causa-effetto un giudizio sintetico a priori dell’intelletto umano. Per San Tommaso è un principio reale. Quanto per la scienza. Proprio il limite della velocità luce conferma il rapporto logico e reale tra causa ed effetto!
Le leggi non creano nulla. Al massimo spiegano. E proprio le leggi della fisica spiegano che l’universo è finito nel tempo e nello spazio… IN PRINCIPIO DIO CREÒ.
Le scoperte scientifiche contemporanee non fanno altro che confermare la ragionevolezza dell’esistenza di Dio. Causa prima che non diviene.
E così anche Aristotele, oltre a Cesare, potrebbe dire per altri motivi: VENI VIDI VICI.
O se preferite sant’Agostino: “non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poichè il tempo stesso l’hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con te” (Confessioni, XI).
[…] tomisti sembrano più ragionevoli di quelli kantiani e hanno maggiore conferma, con tutta la complessità della fisica quantistica: sia per san Tommaso sia per Einstein – con buona pace di Occam e Lutero – l’universo ha una […]