giustizia

 

Domenica XXIII del Tempo Ordinario (Anno C)

(Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 9b-10.12-17; Lc 14,25-33)

 

 

di Alberto Strumia

 

– Una liturgia, quella di questa domenica, tutta incentrata sul “realismo” – come capacità di guardare e affrontare la realtà così com’è – necessario per gestire la vita personale e organizzare la vita sociale, senza coprire tutto con fantasie, sogni, ideologie che tentano di convincerci e di convincere il mondo che le cose stiano come decidiamo noi! Imparare da Dio Creatore e da Cristo Redentore come vanno davvero le cose è la saggezza che ci occorre per vivere al meglio anche i momenti più difficili e metterci nella prospettiva che senza tenere conto dell’Eternità non si riesce a vivere nel tempo della storia umana. È questo il nocciolo dell’insegnamento della prima lettura che parte dalla constatazione dell’appesantimento dell’anima associato all’appesantimento del corpo («un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni»). Questo appesantimento lo avvertiamo come uno stato di “ingiustizia”, perché siamo stati creati per vivere in una condizione pienezza di “giustizia” (è la felicità), nella libertà. Questo “stato di ingiustizia” è ciò che conosciamo come “peccato originale”: la giustizia con Dio Creatore c’è originariamente, ma l’uomo/umanità, istigato da Satana – che prima ha fatto lo stesso errore volontario – ha presunto di poterne fare a meno, di fare meglio da solo; ed è rimasto non con una giustizia migliore, come si illudeva ideologicamente, ma del tutto senza giustizia («Una sorte penosa è disposta per ogni uomo, un giogo pesante grava sui figli di Adamo, dal giorno della loro nascita dal grembo materno al giorno del loro ritorno alla madre comune», Sir 40,1). Tutto il mondo di oggi si dibatte in questa ideologica illusione che porta gli esseri umani solo ad uccidersi (in casa, per strada e in guerra) fino ad autodistruggersi.

La Rivelazione da parte di Dio all’uomo, contenuta già in parte in tutta la Creazione – pur segnata dagli effetti del peccato degli Angeli e degli uomini – e definitivamente in pienezza, in Cristo e nella Sua dottrina, ci guida a non insistere nel presumere di costruire una “giustizia migliore” di quella stabilita da Dio Creatore. E la Redenzione con la quale Cristo ha riaperto la via per attingere nuovamente alla “giustizia originale”, ristabilendo il “giusto rapporto” tra noi e il Creatore, ci permette di raddrizzare le storture occorse all’esistenza nostra e delle persone che vogliamo amare: «Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra» (prima lettura); «gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito» (la Rivelazione); «furono salvati per mezzo della Sapienza» (la Redenzione).

– Nella seconda lettura, l’Apostolo Paolo applica questa visione “universale” della “giustizia” ad un caso concreto, “particolare”, in una semplice contingenza che Dio gli ha messo tra le mani. Così insegna a noi a fare altrettanto nelle circostanze della nostra vita, con il nostro prossimo. L’esperienza della Redenzione (riscatto dell’uomo schiavo della sua ingiustizia) da parte di Cristo, viene vissuta da Paolo nel caso concreto di Onesimo, lo schiavo riscattato (“liberto”, secondo il linguaggio dell’antica Roma) da Filemone, e che lui, Paolo, aveva evangelizzato durante la sua prigionia («Ti prego per Onesimo, figlio mio, che ho generato nelle catene»).

– Nel Vangelo, Gesù insegna, con un linguaggio “diretto” che suona perfino troppo duro (ma è la durezza del “realismo” della “verità”) che per riuscire ad amare veramente il padre e la madre, la sposa e lo sposo, i figli, il prossimo, e addirittura se stessi, occorre non pretendere di possedere le persone come oggetti/schiavi (l’amore non può essere vissuto come un potere di possesso sull’amato): occorre distaccarsi dal possesso per amare prima di tutti Cristo, e imparare da Lui come si fa a volere il bene dell’altro. Per amare veramente occorre che sia l’amore di Cristo a raggiungere l’altro attraverso di noi («Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo», ovvero non ha capito come si fa a vivere).

Infine, il Vangelo, contiene un insegnamento di Cristo su un aspetto del “realismo” necessario su questa terra, che potremmo chiamare addirittura “politico”, “strategico”, esemplificato paragonando l’esistenza dell’uomo ad una guerra contro un nemico. Un nemico che nella sua radice ultima è il demonio, che si insinua in ogni altro nemico umano, e perfino in noi stessi.

Il “realismo” di Gesù Cristo insegna che il nemico va affrontato valutando le proprie forze per riuscire a vincerlo: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace». Se in quest’ultima guerra si fosse ragionato così, invece di presumere fanaticamente di potere affrontare il nemico a tutti i costi, suicidando il proprio popolo, le cose sarebbero andate diversamente. Quando poi il nemico è Satana che è, per natura, più forte dell’uomo, occorre allearsi con Dio, stare con Cristo che lo ha già sconfitto, per avere anche noi la vittoria.

E così è anche per la costruzione di quella torre che è la propria vita personale e di famiglia: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”». Vivere come se Dio non esistesse non consente di portare a termine l’impresa di costruire la propria vita senza rimanere a metà dell’opera privi del “senso” che la fonda e le dà valore fino alla fine e oltre il suo termine terreno.

La Madre di Dio, con tutti i santi hanno seguito questa Sapienza “rivelatrice” e “riparatrice”, indicando a noi la strada per la “vita buona”. Con le nostre preghiere chiediamo loro di aiutare anche noi e tutti gli uomini di buona volontà a seguire il tracciato percorso da loro, così che possiamo portare a termine il combattimento della nostra guerra e la costruzione della nostra torre e arrivati, in cima, contemplare dall’alto la bellezza del panorama della Gloria di Dio.

 

Bologna, 4 settembre 2022

 

 


 

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